Siria, agosto 2013

Milano, agosto 1943

Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio: e l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

Salvatore Quasimodo

Festeggiamenti per Priebke che compie 100 anni: l’appello dell’ANED fiorentina a tutti i Parlamentari eletti in Toscana

Illustrissima/o Senatore, Deputato,

abbiamo deciso di scrivere questa lettera per porVi all’attenzione un evento che riteniamo leda la Memoria  di quanti hanno perso la vita per mano della follia omicida dei nazisti.
Si tratta della festa di compleanno di Erich Priebke, ufficiale delle SS condannato all’ergastolo per aver pianificato la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Un nazista della prima ora che con incommensurabile orrore si è reso complice di 335 omicidi di innocenti, studenti, lavoratori, partigiani, ebrei, fucilandoli al buio delle antiche cave di pozzolana.
Priebke gode di grande stima da parte dei giovani neonazisti in quanto, a differenza di molti altri gerarchi nazisti, non si è mai pentito pubblicamente dei suoi crimini commessi contro l’umanità.
Priebke il prossimo 29 luglio compirà 100 anni ed è proprio di queste ore la notizia secondo cui il militare della SS stia organizzando una festa in suo onore.
Appare evidente che la nostra Associazione non possa impedire lo svolgimento di una festa privata ma con la presente chiediamo fermamente che alla cerimonia del criminale nazista non siano presenti rappresentanti delle Istituzioni italiane, come purtroppo, per simili eventi, è già avvenuto in passato.
Lo dobbiamo alla Memoria di centinaia di innocenti deportati, torturati ed uccisi negli ex lager nazifascisti che, nella maggior parte dei casi, non hanno avuto la possibilità neanche di festeggiare il loro 20esimo compleanno.
Per tutte queste ragioni, chiediamo a tutti i Senatori e Deputati eletti  nella nostra regione di:

1) Sottoscrivere pubblicamente questa nostra richiesta, inviandoci risposta di adesione via mail Aned Firenze  – [email protected] – e provvederemo ad aggiornare i nostri profili internet;

2) Sensibilizzare l’intero Parlamento affinché vi sia una presa di posizione comune ed univoca che imponga indispensabili limiti di decenza agli eventuali festeggiamenti.

Perché è compito dell’intero Parlamento tutelare la Memoria delle vittime delle stragi naziste.

In attesa di una Vostra risposta, Vi ringraziamo per l’attenzione e la disponibilità,

Aned Firenze

Aggiornamento del 26/7/13: i parlamentari toscani accolgono l’appello

La costituzionalista Lorenza Carlassare: “Addio saggi, io non sto zitta”

Mentre attorno alla decisione di sospendere i lavori parlamentari contro la fissazione di un’udienza in Cassazione (imputato Silvio B) si fa un gran blaterare di “scelta faticosa” e di “errori di comunicazione” (lettera dei senatori Pd), qualcuno che sbatte la porta c’è. Lorenza Carlassare, professore emerito di diritto costituzionale a Padova, ha presentato ieri le sue dimissioni dalla commissione dei saggi per le riforme. E attenzione: non c’entrano nulla i lavori della citata commissione. C’entra proprio la decisione di sospendere i lavori del Parlamento: l’organo Costituzionale deputato alla funzione legislativa, non lo sfogatoio dei malumori di un imputato.

Professoressa, cosa pensa di quanto è accaduto in Parlamento mercoledì?

È un attacco alla democrazia. Con queste dimissioni voglio protestare contro un atto che io ritengo di una gravità inaudita. Una cosa inammissibile. Atto che ha avuto anche l’avallo del Partito democratico.
Stiamo precipitando in un baratro. Non so cosa pensare, sono indignata per quello che è accaduto. A cosa mira questo comportamento? A tacitare i giudici? Lo Stato di diritto dove va a finire? Non posso assolutamente più continuare a collaborare con la Commissione: la maggioranza ha deciso di fermare i lavori del Parlamento perché la data di una sentenza non consente a un imputato di beneficiare della prescrizione. Ma scherziamo?

Un atto intimidatorio contro i giudici che il 30 luglio dovranno deliberare sul ricorso proposto dai legali di Berlusconi contro la condanna che in appello lo ha visto condannato a quattro anni (più l’interdizione dai pubblici uffici) per frode fiscale?

Ma certo che è stata una cosa intimidatoria nei confronti dei giudici che dovranno decidere! Per questo è inaccettabile. Stiamo parlando di un potere dello Stato che sospende i lavori per protesta contro un altro potere.

I nodi delle sentenze che vedono imputato l’ex premier stanno venendo al pettine: era immaginabile che il governo e il parlamento sarebbero stati ostaggio delle proteste berlusconiane. E già un antipasto c’era stato, quando l’11 marzo i neo deputati del Pdl (tra cui alcuni futuri ministri) avevano manifestato davanti al Tribunale di Milano.

Ma quello che è accaduto in Parlamento è ancora più grave, molto più grave. Là si trattava di parlamentari, qui del Parlamento, del massimo organo dello Stato. Non un gruppo politico, ma l’organo costituzionale che sospende i lavori contro un altro potere dello Stato. Perché è questo che è accaduto.

In molti hanno taciuto. Troppi?

Sono sgomenta, esterrefatta e indignata: me lo faccia ripetere. Sono stupita dai silenzi che provengono da sedi di rilievo istituzionale e da autorità politiche. Questi silenzi sono inauditi. Le reazioni di tutti dovrebbero essere ferme e decise. Ma non dispero: sono sicura che si farà sentire presto la voce dei giuristi. È il fatto più grave accaduto in questi ultimi, tormentati, anni di vita della Repubblica.  (di Silvia Truzzi da “Il Fatto”)

9 maggio 1978: Giuseppe “Peppino” Impastato

Daniele Biacchessi ha scritto questo pezzo (“Quel giorno a Cinisi”) per ricordare l’uccisione di Peppino Impastato:

Ha braccia forti e un corpo allungato, come il suo volto.
Capelli mai pettinati, e baffi, e barba. E uno sguardo che osserva lontano.
Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.
È un uomo curioso, Giuseppe Impastato detto Peppino.
A Cinisi c’è nato e cresciuto.
Cinque gennaio 1948.
Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.
Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia, verrà ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.
È giovane Peppino.
Lui ha fatto un giuramento.
«Così, come mio padre, non ci diventerò mai.»
Fonda il circolo Musica e Cultura.
Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui. Siamo nel 1976. Insieme a un gruppo di amici mette su una radio libera. La chiama Radio Aut.
Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.
Nel 1978 Peppino Impastato decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.
Ma all’appuntamento non arriverà mai.
9 maggio 1978.
Sono le ore 1,40.
Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.
Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.
Località “Feudo”, territorio di Cinisi.
Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario:é tranciato.
Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.
Arrivano sul posto.
Compiono il primo sopralluogo.
Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.
E’ Giuseppe Peppino Impastato.
Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.
I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.
Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.
Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di “attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda”.
Undici aprile 2002, ventiquattro anni dopo.
Le 17.15. A Palermo esce la Corte.
Ergastolo a don Tano Badalamenti. È il mandante dell’assassinio.
Leggo un passo dalle conclusioni della sentenza.
“….Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l’omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all’eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell’attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.
Scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato:
“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.

Video “Munnizza”

24 marzo 1944: strage delle Fosse Ardeatine

Era il 24 marzo 1944 quando i nazisti decisero, come rappresaglia nei confronti di un attacco partigiano avvenuto il 23 marzo contro le truppe d’occupazione tedesche in Via Rasella, a Roma, di rastrellare 355 persone tra civili e militari dalle carceri romane. L’intento dei militari nazisti fu chiaro sin da subito, individuare delle persone da massacrare per vendicare i 32 tedeschi uccisi dai partigiani romani. Il generale in carica nella piazza di Roma era Kurtz Maeltzer, il quale, si racconta, rimase particolarmente colpito dall’attentato compiuto dai partigiani della GAP (Gruppo di Azione Patriottica) di Roma.
Per questo motivo i nazisti, che già si erano resi protagonisti di stragi efferate in diverse località italiane, decisero di vendicarsi uccidendo 10 italiani per ogni tedesco ucciso. Da qui la decisione di rastrellare 355 persone (la notte successiva morì un altro tedesco e si decise di aggiungere altri 10 italiani alla lista), tra le quali si trovavano anche membri del personale sanitario, infermi, feriti e malati. Una vera e propria rappresaglia, vietata peraltro dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Come se non  bastasse i nazisti non compirono alcuna indagine per appurare l’identità dei responsabili dell’attacco di Via Rasella, nè attesero le consuete 24 ore per verificare se gli autori dell’attentato si sarebbero consegnati alle autorità naziste. Inizialmente vennero scelti partigiani o persone colluse o compromesse con l’antifascismo, ma poi, non essendo stata raggiunta la cifra prefissa, i nazisti avrebbero chiesto al questore fascista Caruso (poi fucilato dai Tribunali antifascisti al termine della guerra) di rastrellare altre cinquanta persone tra i detenuti non politici. Un crimine terribile, consumato nelle tristemente note Fosse Ardeatine da Herbert Kappler, all’epoca ufficiale delle SS, e già responsabile del rastrellamento del ghetto di Roma. Una strage orrenda, forse la peggiore mai consumata in Italia.
I responsabili dell’eccidio, Kappler, Priebke e Kesserling, furono tutti e tre condannati (i primi due all’ergastolo, il terzo alla pena di morte), ma per un motivo o per l’altro nessuno di loro scontò integralmente la pena. Kappler dopo qualche anno nel carcere militare di Roma riuscì a sfuggire in Germania, Priebke fu arrestato dopo una lunga latitanza in Argentina, e Kesserling dopo pochi anni di carcere si riunì ai neonazisti bavaresi, trovando la morte solo per un attacco cardiaco, nel 1960.

Scrive Carla Capponi, che aveva partecipato a quell’azione in via Rasella, nel suo libro “Con cuore di donna- Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista”:
“Per noi quell’ordine assassino era un crimine contro il quale occorreva mobilitarsi, attaccare con maggiore durezza e determinazione. L’annuncio “questo ordine è già stato eseguito” con cui terminava il breve comunicato, suonava come una sfida: non avevano scritto “La sentenza è già stata eseguita”, perché nessun tribunale avrebbe sancito una condanna così efferata, contro ogni legge, contro ogni morale, contro ogni diritto umano.
Dopo la liberazione di Roma, quando si indagò su quella strage si scoprì che solo tre delle vittime erano state condannate a morte con sentenza; neppure il tribunale tedesco installato a via Lucullo aveva avuto il coraggio o la possibilità di emettere una sentenza che desse appoggio legale a quel massacro. Volevano fare intendere che al di sopra di tutte le leggi del diritto e della morale, c’erano gli “ordini” del comando nazista, il “Deutschland über alles”, della razza ariana, destinata a dominare tutte le altre considerate inferiori e per le quali non c’era bisogno né di tribunale né di sentenze.
Avevano assassinato in fretta gli ostaggi, occultato i cadaveri e lasciato le famiglie senza notizie, così che ciascuna potesse sperare che i propri cari non fossero nel numero dei destinati alla morte e aspettassero fiduciose. Per questo non fecero indagini, non cercarono i partigiani, non usarono il mezzo del ricatto chiedendo la resa dei GAP. L’eccidio doveva consumarsi per vendetta, non per cercare giustizia.
Volevano nascondere un altro crimine, l’avere ucciso quindici persone oltre i trecentoventi dichiarati, come scoprimmo quando, liberata Roma, furono riesumate le salme: trecentotrentacinque. I tedeschi uccisi erano stati trentadue, uno dei settanta feriti era morto durante la notte a seguito delle ferite: Kappler decise di sua iniziativa di aggiungere dieci vittime a quelle già predestinate e, nella fretta di dare immediata esecuzione all’eccidio, ne prelevarono dal carcere quindici, cinque in più della vile proporzione tra caduti tedeschi e prigionieri da assassinare, quindici in più di quelli autorizzati dal comando di Kesserling. Dell’ “errore” si rese conto Priebke mentre svolgeva l’incarico di “spuntare” le vittime prima dell’esecuzione, rilevandole da un elenco all’ingresso delle cave Ardeatine, luogo prescelto per l’esecuzione e l’occultamento dei cadaveri. Lui stesso e Kappler decisero di assassinare anche quei cinque, rei di essere testimoni scomodi della strage”.

Nel libro “La farfalla impazzita”  Giulia Spizzichino, scrive:
“Non ricordo come, ma a un certo punto si venne a sapere che alle Fosse Ardeatine c’era un numero impressionante di cadaveri. Non si sapeva esattamente chi vi fosse sepolto, ma era chiaro che si trattava di prigionieri prelevati dalle carceri dopo l’attacco di via Rasella. Erano loro gli scomparsi, e poi c’era stato l’annuncio sul giornale della rappresaglia eseguita. Il comando tedesco non aveva mai comunicato i nomi delle persone trucidate, ma le famiglie che non avevano notizie dei propri cari non si facevano illusioni circa loro sorte.
Chi andò alle cave a vedere riferì che era impossibile solo pensare di dare un nome alle vittime. Quei corpi erano rimasti là sotto per quasi tre mesi ed erano tutti ammassati, a formare un unico groviglio. Qualcuno propose di chiudere l’entrata, rendendo il luogo una grande tomba comune. Le famiglie degli scomparsi però non lo accettavano. Le figlie del generale Simoni, per esempio, si opposero violentemente, obiettando che in quel modo non avrebbero mai saputo se il loro padre fosse lì dentro.
Quando l’odio produce effetti tanto devastanti, per averne ragione non c’è che l’opera dell’amore. Chi si offrì di compierla fu un medico ebreo, il dottor Attilio Ascarelli. Un uomo stupendo, non ho altri modi per definirlo, che impegnò nella difficile impresa tutta la sua passione, la sua professionalità. Voleva attribuire un volto a ciascuno di quei miseri resti. Iniziò a separare i corpi uno per uno, dato che si erano attaccati. Attraverso i ritagli degli abiti e gli oggetti che avevano addosso – i documenti erano stati loro sottratti – riuscì un po’ alla volta a ottenere il riconoscimento di quasi tutti.
Naturalmente anche la mia famiglia fu coinvolta, tanti dei nostri cari mancavano all’appello, ma io andai sul posto poche volte, mia madre non voleva condurmi con sé. Ero sempre triste ogni volta che tornavo alle Fosse Ardeatine!
Ricordo che c’erano tanti pezzetti di stoffa lavati e sterilizzati, appesi a dei fili con le mollette. Erano numerati, per effettuare un riconoscimento bisognava annotarsi quei numeri. All’epoca i vestiti venivano fatti su misura dal sarto, non c’erano abiti confezionati come adesso, quindi le donne di casa tenevano da parte degli avanzi della stoffa per poterla utilizzare per le riparazioni. Per noi, come per tanti, è stata una fortuna. Solo così abbiamo potuto ritrovare i nostri familiari, li abbiamo riconosciuti attraverso la comparazione dei tessuti. Un pezzetto di stoffa per il nonno Mosè, un altro per lo zio Cesare. Mio cugino  Franco, i suoi sogni e i suoi presentimenti: tutto in qualche lembo di tessuto! E ogni volta quanto dolore, quanto quanto dolore …”

Se n’è andato a cento anni il partigiano Ferdinando

Aveva da poco festeggiato il secolo di vita. Ferdinando Angelini è morto all’Ospedale Civile dove era stato ricoverato in seguito a una caduta in casa. Conosciuto e stimato a Cannaregio, dove viveva, Angelini era uno dei veterani della lotta partigiana. Leggi tutto “Se n’è andato a cento anni il partigiano Ferdinando”

Una mattina mi son svegliato…

Il Direttivo della sezione ANPI di Mirano e del miranese,

con grande disappunto constata come, a distanza di tempo, non si sia ancora provveduto a riattivare “Bella Ciao” in apertura del sito nazionale dell’ANPI.
Eventuali motivazioni dettate da “prudenza politica” o da altre opportunità, mai ufficialmente chiarite, non possono essere condivise visto che questo canto continua a echeggiare sempre più forte come segno di riconoscimento dell’ANPI e delle forze antifasciste in tutte le piazze d’Italia in occasione delle celebrazioni in ricordo della Lotta di Liberazione e del 25 Aprile, oltre che nelle manifestazioni ufficiali dell’Associazione, a tutti i livelli.
Si stupisce che proprio in questi anni, di revisionismo storico e di rilettura in chiave reazionaria della lotta partigiana, si privi, un canale informativo come internet, di un segno identitario così amato e universalmente riconosciuto come bandiera della Resistenza italiana.
Da sempre, infatti, “Bella Ciao” è un canto in grado di unire tutti i veri antifascisti, giovani ed anziani, non solo nel ricordo della Lotta di Liberazione ma nelle speranze, che in virtù di questa, maturarono nelle coscienze di uomini finalmente liberi, pronti ad impegnarsi per costruire un’Italia democratica.
Pertanto chiede agli organi competenti di provvedere al ripristino di “Bella Ciao” come espressione di coralità di valori e di intenti.

Documento letto ed approvato, all’unanimità dei presenti, dal Direttivo ANPI di Mirano e del miranese in data, 6 settembre 2012.

Invita tutte le sezioni ANPI a far proprio questo appello inoltrandolo agli organi competenti a livello provinciale, regionale, nazionale.

Mausoleo per il criminale di guerra Graziani

Ad Affile il tempo si è fermato. Nel comune, in provincia di Roma, l’amministrazione locale riunisce la comunità per esaltare “l’eroismo del soldato”, il generale mussoliniano e concittadino Rodolfo Graziani, seppellito nel cimitero comunale. Iniziativa pubblica, soldi di tutti per l’inaugurazione di un parco pubblico con sacrario dedicato a Graziani che fu protagonista della guerra di conquista fascista in Etiopia e poi ministro della Difesa nella Repubblica sociale italiana.
Nella Regione Lazio che chiude gli ospedali e sforbicia i servizi, il sindaco Ercole Viri, che guida una giunta di centrodestra, inaugura il sacrario con annesso parco costato 125 mila euro, prelevati da apposito fondo regionale. Una serata di commemorazione con il taglio del nastro alla presenza dell’assessore regionale Francesco Lollobrigida, discorso delle autorità in memoria della patria e di Graziani e cena sociale. Leggi tutto “Mausoleo per il criminale di guerra Graziani”

IL “LORO” 25 APRILE (di Furio Colombo da “Il Fatto” del 24/04/12)

Da ieri nelle strade e nelle piazze della Capitale italiana, si vedono grandi manifesti che celebrano la repubblica di Salò. Avete capito bene. Celebrano la repubblica di Salò sotto la data del 25 aprile.

La scritta è stampata in alto sopra la foto di un reparto di brigate nere passate in rivista dall’ultimo segretario del partito fascista, Pavolini. Non confondete. Non erano soldati per combattere.

Erano soldati da rastrellamento. Leggi tutto “IL “LORO” 25 APRILE (di Furio Colombo da “Il Fatto” del 24/04/12)”

Neofascisti contestano un partigiano

Dopo aver visto “Nazirock” ci chiedevamo quando sarebbe successa la prossima aggressione fascista: è successo ieri mattina al Liceo Avogadro di Roma, durante un dibattito in cui è intervenuto il partigiano Mario Bottazzi invitato dagli studenti dell’Avogadro a parlare della Resistenza in vista dell’imminente 25 aprile. Leggi tutto “Neofascisti contestano un partigiano”