24 marzo 1944: strage delle Fosse Ardeatine

Era il 24 marzo 1944 quando i nazisti decisero, come rappresaglia nei confronti di un attacco partigiano avvenuto il 23 marzo contro le truppe d’occupazione tedesche in Via Rasella, a Roma, di rastrellare 355 persone tra civili e militari dalle carceri romane. L’intento dei militari nazisti fu chiaro sin da subito, individuare delle persone da massacrare per vendicare i 32 tedeschi uccisi dai partigiani romani. Il generale in carica nella piazza di Roma era Kurtz Maeltzer, il quale, si racconta, rimase particolarmente colpito dall’attentato compiuto dai partigiani della GAP (Gruppo di Azione Patriottica) di Roma.
Per questo motivo i nazisti, che già si erano resi protagonisti di stragi efferate in diverse località italiane, decisero di vendicarsi uccidendo 10 italiani per ogni tedesco ucciso. Da qui la decisione di rastrellare 355 persone (la notte successiva morì un altro tedesco e si decise di aggiungere altri 10 italiani alla lista), tra le quali si trovavano anche membri del personale sanitario, infermi, feriti e malati. Una vera e propria rappresaglia, vietata peraltro dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Come se non  bastasse i nazisti non compirono alcuna indagine per appurare l’identità dei responsabili dell’attacco di Via Rasella, nè attesero le consuete 24 ore per verificare se gli autori dell’attentato si sarebbero consegnati alle autorità naziste. Inizialmente vennero scelti partigiani o persone colluse o compromesse con l’antifascismo, ma poi, non essendo stata raggiunta la cifra prefissa, i nazisti avrebbero chiesto al questore fascista Caruso (poi fucilato dai Tribunali antifascisti al termine della guerra) di rastrellare altre cinquanta persone tra i detenuti non politici. Un crimine terribile, consumato nelle tristemente note Fosse Ardeatine da Herbert Kappler, all’epoca ufficiale delle SS, e già responsabile del rastrellamento del ghetto di Roma. Una strage orrenda, forse la peggiore mai consumata in Italia.
I responsabili dell’eccidio, Kappler, Priebke e Kesserling, furono tutti e tre condannati (i primi due all’ergastolo, il terzo alla pena di morte), ma per un motivo o per l’altro nessuno di loro scontò integralmente la pena. Kappler dopo qualche anno nel carcere militare di Roma riuscì a sfuggire in Germania, Priebke fu arrestato dopo una lunga latitanza in Argentina, e Kesserling dopo pochi anni di carcere si riunì ai neonazisti bavaresi, trovando la morte solo per un attacco cardiaco, nel 1960.

Scrive Carla Capponi, che aveva partecipato a quell’azione in via Rasella, nel suo libro “Con cuore di donna- Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista”:
“Per noi quell’ordine assassino era un crimine contro il quale occorreva mobilitarsi, attaccare con maggiore durezza e determinazione. L’annuncio “questo ordine è già stato eseguito” con cui terminava il breve comunicato, suonava come una sfida: non avevano scritto “La sentenza è già stata eseguita”, perché nessun tribunale avrebbe sancito una condanna così efferata, contro ogni legge, contro ogni morale, contro ogni diritto umano.
Dopo la liberazione di Roma, quando si indagò su quella strage si scoprì che solo tre delle vittime erano state condannate a morte con sentenza; neppure il tribunale tedesco installato a via Lucullo aveva avuto il coraggio o la possibilità di emettere una sentenza che desse appoggio legale a quel massacro. Volevano fare intendere che al di sopra di tutte le leggi del diritto e della morale, c’erano gli “ordini” del comando nazista, il “Deutschland über alles”, della razza ariana, destinata a dominare tutte le altre considerate inferiori e per le quali non c’era bisogno né di tribunale né di sentenze.
Avevano assassinato in fretta gli ostaggi, occultato i cadaveri e lasciato le famiglie senza notizie, così che ciascuna potesse sperare che i propri cari non fossero nel numero dei destinati alla morte e aspettassero fiduciose. Per questo non fecero indagini, non cercarono i partigiani, non usarono il mezzo del ricatto chiedendo la resa dei GAP. L’eccidio doveva consumarsi per vendetta, non per cercare giustizia.
Volevano nascondere un altro crimine, l’avere ucciso quindici persone oltre i trecentoventi dichiarati, come scoprimmo quando, liberata Roma, furono riesumate le salme: trecentotrentacinque. I tedeschi uccisi erano stati trentadue, uno dei settanta feriti era morto durante la notte a seguito delle ferite: Kappler decise di sua iniziativa di aggiungere dieci vittime a quelle già predestinate e, nella fretta di dare immediata esecuzione all’eccidio, ne prelevarono dal carcere quindici, cinque in più della vile proporzione tra caduti tedeschi e prigionieri da assassinare, quindici in più di quelli autorizzati dal comando di Kesserling. Dell’ “errore” si rese conto Priebke mentre svolgeva l’incarico di “spuntare” le vittime prima dell’esecuzione, rilevandole da un elenco all’ingresso delle cave Ardeatine, luogo prescelto per l’esecuzione e l’occultamento dei cadaveri. Lui stesso e Kappler decisero di assassinare anche quei cinque, rei di essere testimoni scomodi della strage”.

Nel libro “La farfalla impazzita”  Giulia Spizzichino, scrive:
“Non ricordo come, ma a un certo punto si venne a sapere che alle Fosse Ardeatine c’era un numero impressionante di cadaveri. Non si sapeva esattamente chi vi fosse sepolto, ma era chiaro che si trattava di prigionieri prelevati dalle carceri dopo l’attacco di via Rasella. Erano loro gli scomparsi, e poi c’era stato l’annuncio sul giornale della rappresaglia eseguita. Il comando tedesco non aveva mai comunicato i nomi delle persone trucidate, ma le famiglie che non avevano notizie dei propri cari non si facevano illusioni circa loro sorte.
Chi andò alle cave a vedere riferì che era impossibile solo pensare di dare un nome alle vittime. Quei corpi erano rimasti là sotto per quasi tre mesi ed erano tutti ammassati, a formare un unico groviglio. Qualcuno propose di chiudere l’entrata, rendendo il luogo una grande tomba comune. Le famiglie degli scomparsi però non lo accettavano. Le figlie del generale Simoni, per esempio, si opposero violentemente, obiettando che in quel modo non avrebbero mai saputo se il loro padre fosse lì dentro.
Quando l’odio produce effetti tanto devastanti, per averne ragione non c’è che l’opera dell’amore. Chi si offrì di compierla fu un medico ebreo, il dottor Attilio Ascarelli. Un uomo stupendo, non ho altri modi per definirlo, che impegnò nella difficile impresa tutta la sua passione, la sua professionalità. Voleva attribuire un volto a ciascuno di quei miseri resti. Iniziò a separare i corpi uno per uno, dato che si erano attaccati. Attraverso i ritagli degli abiti e gli oggetti che avevano addosso – i documenti erano stati loro sottratti – riuscì un po’ alla volta a ottenere il riconoscimento di quasi tutti.
Naturalmente anche la mia famiglia fu coinvolta, tanti dei nostri cari mancavano all’appello, ma io andai sul posto poche volte, mia madre non voleva condurmi con sé. Ero sempre triste ogni volta che tornavo alle Fosse Ardeatine!
Ricordo che c’erano tanti pezzetti di stoffa lavati e sterilizzati, appesi a dei fili con le mollette. Erano numerati, per effettuare un riconoscimento bisognava annotarsi quei numeri. All’epoca i vestiti venivano fatti su misura dal sarto, non c’erano abiti confezionati come adesso, quindi le donne di casa tenevano da parte degli avanzi della stoffa per poterla utilizzare per le riparazioni. Per noi, come per tanti, è stata una fortuna. Solo così abbiamo potuto ritrovare i nostri familiari, li abbiamo riconosciuti attraverso la comparazione dei tessuti. Un pezzetto di stoffa per il nonno Mosè, un altro per lo zio Cesare. Mio cugino  Franco, i suoi sogni e i suoi presentimenti: tutto in qualche lembo di tessuto! E ogni volta quanto dolore, quanto quanto dolore …”

Se n’è andato a cento anni il partigiano Ferdinando

Aveva da poco festeggiato il secolo di vita. Ferdinando Angelini è morto all’Ospedale Civile dove era stato ricoverato in seguito a una caduta in casa. Conosciuto e stimato a Cannaregio, dove viveva, Angelini era uno dei veterani della lotta partigiana. Leggi tutto “Se n’è andato a cento anni il partigiano Ferdinando”

Una mattina mi son svegliato…

Il Direttivo della sezione ANPI di Mirano e del miranese,

con grande disappunto constata come, a distanza di tempo, non si sia ancora provveduto a riattivare “Bella Ciao” in apertura del sito nazionale dell’ANPI.
Eventuali motivazioni dettate da “prudenza politica” o da altre opportunità, mai ufficialmente chiarite, non possono essere condivise visto che questo canto continua a echeggiare sempre più forte come segno di riconoscimento dell’ANPI e delle forze antifasciste in tutte le piazze d’Italia in occasione delle celebrazioni in ricordo della Lotta di Liberazione e del 25 Aprile, oltre che nelle manifestazioni ufficiali dell’Associazione, a tutti i livelli.
Si stupisce che proprio in questi anni, di revisionismo storico e di rilettura in chiave reazionaria della lotta partigiana, si privi, un canale informativo come internet, di un segno identitario così amato e universalmente riconosciuto come bandiera della Resistenza italiana.
Da sempre, infatti, “Bella Ciao” è un canto in grado di unire tutti i veri antifascisti, giovani ed anziani, non solo nel ricordo della Lotta di Liberazione ma nelle speranze, che in virtù di questa, maturarono nelle coscienze di uomini finalmente liberi, pronti ad impegnarsi per costruire un’Italia democratica.
Pertanto chiede agli organi competenti di provvedere al ripristino di “Bella Ciao” come espressione di coralità di valori e di intenti.

Documento letto ed approvato, all’unanimità dei presenti, dal Direttivo ANPI di Mirano e del miranese in data, 6 settembre 2012.

Invita tutte le sezioni ANPI a far proprio questo appello inoltrandolo agli organi competenti a livello provinciale, regionale, nazionale.

Mausoleo per il criminale di guerra Graziani

Ad Affile il tempo si è fermato. Nel comune, in provincia di Roma, l’amministrazione locale riunisce la comunità per esaltare “l’eroismo del soldato”, il generale mussoliniano e concittadino Rodolfo Graziani, seppellito nel cimitero comunale. Iniziativa pubblica, soldi di tutti per l’inaugurazione di un parco pubblico con sacrario dedicato a Graziani che fu protagonista della guerra di conquista fascista in Etiopia e poi ministro della Difesa nella Repubblica sociale italiana.
Nella Regione Lazio che chiude gli ospedali e sforbicia i servizi, il sindaco Ercole Viri, che guida una giunta di centrodestra, inaugura il sacrario con annesso parco costato 125 mila euro, prelevati da apposito fondo regionale. Una serata di commemorazione con il taglio del nastro alla presenza dell’assessore regionale Francesco Lollobrigida, discorso delle autorità in memoria della patria e di Graziani e cena sociale. Leggi tutto “Mausoleo per il criminale di guerra Graziani”

IL “LORO” 25 APRILE (di Furio Colombo da “Il Fatto” del 24/04/12)

Da ieri nelle strade e nelle piazze della Capitale italiana, si vedono grandi manifesti che celebrano la repubblica di Salò. Avete capito bene. Celebrano la repubblica di Salò sotto la data del 25 aprile.

La scritta è stampata in alto sopra la foto di un reparto di brigate nere passate in rivista dall’ultimo segretario del partito fascista, Pavolini. Non confondete. Non erano soldati per combattere.

Erano soldati da rastrellamento. Leggi tutto “IL “LORO” 25 APRILE (di Furio Colombo da “Il Fatto” del 24/04/12)”

Neofascisti contestano un partigiano

Dopo aver visto “Nazirock” ci chiedevamo quando sarebbe successa la prossima aggressione fascista: è successo ieri mattina al Liceo Avogadro di Roma, durante un dibattito in cui è intervenuto il partigiano Mario Bottazzi invitato dagli studenti dell’Avogadro a parlare della Resistenza in vista dell’imminente 25 aprile. Leggi tutto “Neofascisti contestano un partigiano”

Video: Piero Calamandrei, Discorso sulla Costituzione

[Video rimosso su richiesta degli autori.]

 

…Se vuoi andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perchè lì è nata la nostra Costituzione.

 

 

 

Articolo della Nuova Venezia sulla Statua dei Partigiani (01 dicembre 2009)


An, proposta choc a Mirano: “Via la statua dei partigiani”
An: “Quel monumento identifica una sola parte politica”. E in città scoppia la polemica

MIRANO. «Via il monumento del partigiano dalla piazza». Proposta choc di An. Nella Mirano che ai martiri della Resistenza ha dedicato la piazza centrale la proposta di «An verso il Pdl» ha l’effetto di una bomba in un negozio di cristalli. «Quel monumento – sostiene An – identifica una sola parte politica».

«La piazza torni agli albori – afferma il capogruppo Viviani Lorenzon – quel monumento identifica una parte politica, la guerra ha fatto morti da entrambe le parti». In città si è subito scatenato il putiferio. Anche perché, in una data già fissata da tempo, Mirano ospiterà il prossimo 12 dicembre, la manifestazione nazionale contro il razzismo indetta dall’Anpi, l’associazione dei partigiani d’Italia. Nella piazza che ricorda l’uccisione di 15 di loro tra il 1944 e il 1945, sono attese circa 3 mila persone. La proposta è una provocazione? Per An nient’affatto. Lorenzon anzi, fa riferimento a un manifesto apparso domenica, proprio sul monumento di piazza Martiri, accanto al quale restano da giorni tre carrelli di materiale, rimasugli del gioco dell’oca di qualche domenica fa. Sul cartello si legge: «Noi del Partito democratico ci chiediamo di chi sia questo deposito e se ha pagato l’occupazione del suolo pubblico. Questo è un monumento ai caduti in guerra, bisogna rispettarlo».

Il Pd nega la paternità del manifesto, affermando che si tratta di un pretesto architettato ad arte. In ogni caso per Lorenzon è lo spunto per partire all’attacco. «Riflettiamo sulla presenza di quel monumento in piazza, dopo oltre 60 anni. Tempo ne è passato, non ha più senso tenerlo lì. Sarebbe più indicata la sua collocazione in viale delle Rimembranze dove sono state poste tutte le anime che hanno contribuito alla nascita dell’Italia moderna».

Insomma, per An il partigiano dell’artista Augusto Murer, dopo circa 40 anni di esposizione, ha fatto il suo tempo e va riposto lungo il viale monumentale di Mirano, dove “riposano” (in maniera per la verità, neanche troppo decorosa) anche le statue di Giuseppe Mazzini e Vittorio Emanuele II. Il Pd definisce «oscena boutade» la proposta di Lorenzon, giurando di voler sollevare il caso in tutte le sedi possibili.

«E’ un assurdo – affermano Maria Rosa Pavanello e Roberto Artuso – frutto di un revisionismo del più squallido livello che vuole omologare chi ha dato la sua vita per la libertà e la democrazia a chi ha combattuto per un regime fantoccio di Hitler, criminale e sanguinario. Siamo sgomenti ma non sorpresi che parte di questa maggioranza voglia nascondere quel monumento che ricorda le radici stesse della storia di Mirano».

Per Luigi Gasparini, di Rifondazione comunista «quelli di An dovrebbero vergognarsi: sappiano che Mirano, loro malgrado, è e resterà antifascista. Che provino pure a spostare il monumento: la società civile non resterà a guardare. Si comprino anche un libro sulla Resistenza: la cultura e la memoria contribuiscono a evitare la nascita di idee malsane». Si dice offeso anche Bruno Tonolo, presidente dell’Anpi di Mirano: «Una chiara provocazione alla vigilia dell’appuntamento organizzato dall’Anpi nazionale – afferma – i cui dirigenti non sono pivelli qualsiasi, ma persone che hanno fatto la storia di questo Paese. Evidentemente qualche quarantenne dimentica troppo in fretta quanto successo».

fonte:
http://nuovavenezia.gelocal.it/dettaglio/an-proposta-choc-mirano-via-la-statua-dei-partigiani/1793972

Riconoscimenti Anpi, 12 Dicembre 2009

MOTIVAZIONE PER LA CONSEGNA DEI RICONOSCIMENTI ANPI  NEL CORSO DELLA MANIFESTAZIONE DEL  12 DICEMBRE 2009 IN PIAZZA MARTIRI A MIRANO.

L’ANPI DI MIRANO, IN OCCASIONE DI QUESTA STRAORDINARIA GIORNATA DI MOBILITAZIONE DELLE COSCIENZE CONTRO OGNI FORMA DI RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE,

INTENDE ONORARE

ASSIEME AL SACRIFICIO DEI MARTIRI E DEI COMBATTENTI NELLA LOTTA DI LIBERAZIONE, DI OGNI FEDE E APPARTENENZA POLITICA, L’IMPEGNO CIVILE E MORALE DI QUANTI  SCELSERO I VALORI DELLA DEMOCRAZIA CONTRO LA TIRANNIDE  E LA BARBARIE E CHE OGGI DANNO, DI QUEGLI EVENTI, TESTIMONIANZA IN UN DIALOGO APPASSIONATO E SOFFERTO CON LE GIOVANI GENERAZIONI,  

AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE, AGLI AMICI E ALLE AMICHE  PRESENTI E AI MOLTI ALLA MEMORIA, IN SEGNO  DI  PROFONDA RICONOSCENZA E GRATITUDINE PER IL CONTRIBUTO DA LORO DATO ALL’AVVENTO DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA,

L’ANPI CONFERISCE QUESTO RICONOSCIMENTO

A  MONITO DI QUANTI, CONFIDANDO NELL’OBLIO E NELL’IGNORANZA, NELL’IQUINAMENTO E NEL DEGRADO DELLE COSCIENZE, SPERANO DI RIPORTARE L’ITALIA INDIETRO NELLA STORIA, RICACCIANDOLA NEL BARATRO DELLA VIOLENZA FASCISTA E RAZZISTA.

MIRANO 12 DICEMBRE 2009