Mirano 3 maggio 2013: Ruolo dei media audio-visivi ieri e oggi

Sofia Gobbo
Venerdì 3 maggio 2013 ore 20.45 a Mirano nella sala conferenze di villa Errera si terrà la conferenzaRuolo dei media audio-visivi ieri e oggi” con documenti video elaborati dall’ ANPI di Mirano e con l’intervento della Partigiana  Sofia Gobbo.
Da una intervista di Laura Fiorillo del 23 aprile 2011 su “La Nuova Venezia”:
Sofia Gobbo la Resistenza l’ha fatta e gira per le scuole medie e superiori affinché la sua esperienza sia un monito alle nuove generazioni. Di scuole se ne intende Sofia Gobbo, 90 anni portati in maniera splendida, insegnante, ex preside. Ancora studentessa, dall’aprile de ’44 all’aprile del ’45 con la sua bicicletta ha girato il Veneto facendo la staffetta per la Resistenza. «Dopo l’armistizio – racconta – moltissimi soldati italiani sono scappati dalle caserme. I tedeschi li inseguivano per catturarli e deportarli in Germania. In quel periodo mi recavo da un professore che mi preparava agli esami da privatista al liceo classico, perché col diploma della scuola magistrale non potevo entrare all’università. Un giorno mi ha chiesto se mi fidavo di lui e gli ho detto di sì. Così mi ha confidato di essere il presidente del Cln, il Comitato di liberazione nazionale, di Vittorio Veneto e mi ha offerto di diventare il collegamento tra Vittorio e Cordignano, il Cansiglio, Treviso e Padova. Ogni tanto dovevo passare per certi posti, chiedere di certe persone, lasciare dei pacchi e prenderne altri. A Sarmede, un paesino vicino al Cansiglio, dovevo entrare in un osteria e chiedere di Pietro. A Padova andavo a prendere i giornali clandestini, quelli dei partiti come il comunista o quello d’azione. Quando entravo in questi posti dovevo inserivo sempre nella frase una parola d’ordine. All’epoca c’era chi ospitava in casa i partigiani o gli alleati, chi cucinava, chi cuciva le divise, ma era bene conoscersi il meno possibile. La cosa fondamentale era non sapere mai nulla delle persone con cui si aveva a che fare. Non chiedere mai, non interessarsi. Si trattava solo di fare quello che ti dicevano di fare. Se i fascisti ti avessero arrestato e torturato, non avresti avuto nomi o informazioni da dare».  È stata mai fermata per un controllo? «Per fortuna no, però una volta ho avuto molta paura. Era il ’44, tornavo dal Cansiglio con la mia bicicletta e mi sono trovata in mezzo a un rastrellamento per l’assassinio di un soldato tedesco. Cercavano un partigiano e quando mi hanno vista mi hanno detto di andarmene e che il ponte era chiuso. Così ho guadato il fiume e sull’altra sponda ho trovato una coppia appena scampata alla fucilazione fingendosi morta con le vittime, tra cui un ragazzo di 15 anni».  Che ne pensa della polemica di questi giorni, che sia leggittimo o meno cantare «Bella Ciao» il giorno della Liberazione? «Davvero hanno il coraggio di fare questo? “Bella ciao” era la canzone delle mondine, la cantavano contro il padrone. Io trovo questa polemica una cosa assurda. Credo che, a meno che non si cantino cose oscene, in democrazia ognuno sia libero di cantare quello che vuole. Se invece non gli va, nessuno gli impedisce di stare zitto. Oggi manca totalmente il senso della storia. Quando correvo lungo il Piave con la mia bicicletta mi imbattevo spesso in scritte sui muri come “Razza piave, purissima razza italiana, razza anche e soprattutto fascista”. Oggi vedo che c’è una lista per la provincia di Treviso che si chiama proprio “Razza Piave”. Mi auguro soltanto che non abbiano mai conosciuto quelle scritte…» (Nuova Venezia 23 aprile 2011 Laura Fiorillo )

2 maggio 1945: Strage di Avasinis

Il Memoriale di Avasinis

“A Osoppo e a Gemona le campane suonavano a festa, perché erano arrivati gli Alleati; ad Avasinis ha invece suonato per mezza giornata solo la campana a morto… ” – così un’anziana donna di Avasinis, ricorda la palese contraddizione della contemporanea presenza di un Friuli liberato, all’inizio di maggio 1945, contrapposto al dramma di un eccidio perpetrato ad Avasinis, piccola frazione del Comune di Trasaghis.
La strage di Avasinis costò la vita a 51 persone, in massima parte donne, vecchi e bambini ed ebbe luogo il 2 maggio 1945, proprio nella giornata in cui entrava in vigore in Italia l’atto di cessazione delle ostilità. Un reparto delle SS era giunto a Trasaghis nel pomeriggio del 1° maggio e al mattino del giorno successivo si diresse verso Avasinis. Uno sparuto gruppo di partigiani tentò di sbarrare la strada ma fu rapidamente messo in fuga dai mortai e dalle mitragliatrici pesanti di cui disponeva il reparto.
I tedeschi, appena giunti in paese, si sparsero per le vie e iniziarono una sistematica perquisizione ed il saccheggio delle case uccidendone spesso gli occupanti, donne o bambini o anziani inermi che fossero, apparentemente senza una logica preordinata: a volte uccisero tutti gli occupanti di una casa, a volte una sola persona, secondo il capriccio o la casualità delle scelte di ogni singolo soldato.
Relativamente alle motivazioni dell’episodio, di fronte alla discussione storico – politica che si trascina da decenni, un ricercatore come Diego Carpenedo ritiene che appaia verosimile “un’unica spiegazione: la volontà di trasmettere un messaggio sinistro e minaccioso, in grado di far comprendere che non sarebbe stato tollerato il minimo intralcio ai movimenti delle SS in ritirata verso l’Austria”.
Anche se sono passati sessantaquattro anni da quei fatti, un limite temporale capace di diradare inesorabilmente il numero dei testimoni diretti di quelle vicende, l’Amministrazione comunale di Trasaghis continua a proporre una occasione per mantenere vivo il senso della memoria, per trasmettere anche a quanti non hanno vissuto direttamente quei giorni la conoscenza del dramma e del sacrificio della popolazione. La periodica commemorazione si lega infatti a un piano articolato che ha previsto la effettuazione di ricerche e la presentazione di libri (come la pubblicazione del diario del parroco dell’epoca, don Zossi, a cura di Pieri Stefanutti) e filmati (“Avasinis luogo della memoria” di Dino Ariis) che hanno consentito di ricostruire nei dettagli le circostanze dell’episodio e la drammaticità di quello che è stato definito il maggiore eccidio di civili in Friuli nel corso della seconda guerra mondiale.

1° maggio, Festa dei Lavoratori, Festa del Lavoro

Quest’anno, in modo particolare, sarà un 1° Maggio di riflessione e di lotta in difesa del diritto ad un  lavoro giusto e garantito per tutti i cittadini così come è sancito dalla  Costituzione, nata dalla Lotta di Liberazione.

Un’occasione che deve servire ai lavoratori per prendere coscienza della loro forza, dei loro diritti ma anche del dramma che in questi anni sta attraversando il mondo del lavoro, colpito da una profonda crisi frutto di un sistema economico-finanziario globalizzato, dominato dalla speculazione e dallo sfruttamento smisurato, di uomini e risorse, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

E’ di questi giorni l’immane tragedia di Dacca, in Bangladesch, dove trecento operai, in gran parte giovani donne, sono morti nel crollo dell’edificio abusivo dove era ospitata la loro fabbrica tessile.
Nel Nord del mondo disoccupazione, recessione con licenziamenti e chiusura di attività produttive, nei paesi emergenti, sfruttamento selvaggio dei lavoratori e  negazione dei più elementari diritti sindacali.

Due realtà che tra loro sembrano contrapporsi ma che in realtà sono due facce della stessa medaglia: usare la crisi per ricattare il mondo del lavoro, riportarlo ad una condizione di subalternità rispetto alle logiche di mercato che non conoscono regole da rispettare, ma solo la realizzazione di un  profitto senza limiti, al di fuori di ogni forma di controllo e giustizia sociale.

A questa difficile situazione di attacco ai diritti acquisiti in anni di sacrifici e di dura lotta, in un quadro politico nazionale confuso e caratterizzato da uno scivolamento verso forme di unanimismo difficili da immaginare solo pochi mesi fa, il mondo del lavoro deve rispondere con fermezza e lungimiranza, forte nella consapevolezza che le attuali difficoltà potranno essere affrontate e superate solo con l’unità delle forze progressiste, politiche e sindacali.

E’ necessario un rinnovato impegno di lotta per il lavoro, a difesa delle fasce più deboli, esposte alla povertà e alla deriva sociale, partendo proprio dai principi sanciti dalla Costituzione, pensati per dare forma ad una società più giusta, aperta alle sfide di un mondo in continua, anche se contraddittoria, trasformazione.

23 aprile 2013: Expo dei Diritti Umani

Martedì 23 aprile 2013, presso la piazzetta di Villa Errera a Mirano, si è svolta l’“Expo dei diritti umani”, la manifestazione conclusiva del progetto “Diritti dell’uomo, doveri di cittadinanza”, realizzato dall’ITIS “Levi” e dai Licei “Majorana – Corner” di Mirano e dalla Fondazione di Comunità Riviera Miranese.
Al progetto hanno prestato la loro collaborazione e dato il loro contributo la Provincia di Venezia, i Comuni di Mirano e di Campolongo Maggiore, il Ministero per i beni e le attività culturali, l’Anpi Mirano, l’associazione Esodo, Save Venice Inc, Gruppo Adulti Progetto Auschwitz, l’associazione Bandiera Florida, il Centro per la pace e la legalità Sonja Slavik, il presidio del Miranese di Libera, Emergency, Amnesty International.

Queste le foto dello stand dell’Anpi di Mirano: http://imgur.com/a/3A1Iq

30 aprile 1944: strage di Lipa (Fiume)

La lapide in ricordo della strage di Lipa

Non serve molto per capire cosa è stato fatto quel giorno, a meno di un’ora, a qualche decina di chilometri da Trieste, in questo piccolo villaggio vicino a Rupa, sulla strada tra Fiume e Trieste.
Quelle due cifre, 87 abitazioni e 85 tra stalle e altri edifici, ad appena 21 km da Fiume.
Era una domenica pomeriggio; i maschi adulti o giovani impegnati quasi tutti con i partigiani erano da tempo via dal villaggio. Un monumento nel centro del paese, quasi di fronte alla lapide della foto, ricorda i 17 partigiani di Lipa caduti durante la guerra di liberazione jugoslava. Nei pascoli intorno qualche ragazzo o ragazza, 4 o 5 in tutto, attenti al bestiame. La neve se ne era andata da poco. E una famiglia giù a Fiume, in città. Sarebbe ritornata il giorno dopo, sorpresa dai militari addetti alla “bonifica” e sterminata per impedire scomode testimonianze.
Al mattino era stata attaccata da una brigata partigiana la caserma di Rupa, un paese un po’ più grosso, dove la stazione dei carabinieri fascisti serviva da presidio per il controllo della strada che collegava Fiume a Trieste. Da Fiume sta sopraggiungendo una colonna di una trentina di soldati tedeschi che vengono chiamati in soccorso e mentre stanno ancora decidendo il da farsi una granata li colpisce; 4 soldati tedeschi muoiono. Questo episodio fa scattare la rappresaglia. Vengono chiamati rinforzi da Ilirska Bistrica, un reparto speciale guida l’azione che dovrà essere “esemplare”. Viene chiesto ai carabinieri da quale villaggio intorno a Rupa fossero originari con certezza i partigiani. E i carabinieri li accompagnano a Lipa…
Madri, bambini e anziani vengono condotti e stipati nell’ultima casa di Lipa e bruciati vivi. Le bombe a mano gettate dentro per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti furono 269, fra cui tre bambine che non avevano neanche un anno.
Ma la caratteristica straordinaria di questa strage sono le fotografie originali, scattate da qualche soldato addetto alla documentazione delle azioni di guerra (immagino), stampate di nascosto nel laboratorio fotografico di Ilirska Bistrica e ancor oggi conservate e solo parzialmente riprodotte nel piccolo Museo di Lipa; la cui visita è un vero “pugno nello stomaco” per chi non sa cosa abbiamo combinato – noi brava gente – in quei luoghi. (da http://fiumetrieste.blogspot.it)

 

mt

Ho inviato una lettera a “Il Fatto” esprimendo le mie perplessità su quello che aveva scritto Marco Travaglio in un articolo su Giuseppe Saragat, in cui descriveva Francesco Moranino come “un criminale della guerra partigiana”. Questa la sua risposta (non pubblicata sul giornale):

Caro Roberto,
Moranino era un feroce aguzzino, colpevole di fatti che ben travalicavano la guerra. Cordiali saluti
mt

come potete leggere sono parole che non ammettono replica e che, Marco Travaglio (d’ora in poi mt), sicuramente  afferma sapendo di dire una cosa sbagliata, vista la notevole documentazione esistente e il libro di Massimo Recchioni appena uscito. Forse le sue fonti sono i libri di Pansa e allora si capisce la diffamazione di una figura simbolo della Resistenza (da leggere come viene descritto nel sito dell’Anpi nazionale) che mt prende ad esempio per denigrare una lotta di popolo che ha permesso di riscattare tutti gli italiani (compreso mt). Forse imparerebbe qualcosa di diverso e per lui sconosciuto, dalle parole di una ragazza di terza media che ha scritto questo: “Il popolo sotto oppressione di una dittatura terribile e insensata ha combattuto per la libertà, la fine della guerra, i propri diritti che venivano violati. È stato un movimento soprattutto di giovani di diverse età e classe sociale, anche di vari partiti.
E molti di quei giovani sono morti, ma ancora oggi è importante ricordarli poiché nei luoghi dove hanno combattuto e dato la vita si sono scritte le prime pagine della nostra Costituzione, quella della Repubblica Italiana, libera dalla dittatura e che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.”

Penso che mt dovrebbe vergognarsi per aver descritto il comandante “Gemisto” con quelle parole. Cordiali saluti (non a mt)

Roberto (Anpi Mirano)

 

27 aprile 2013: commemorazione di Antonio Gramsci

Nell’anniversario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937 dopo dieci anni di carcere fascista, il Centro Gramsci, in collaborazione con l’Anpi di Mirano, del Partito Democratico, del Partito della Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Ecologia e Libertà e l’Italia dei Valori organizza il convegno: “Partigiani prima del 1943” nella sala conferenze di Villa Errera alle ore 17.00.

P.P. Pasolini sulla tomba di Gramsci

Qualcosa tipo una liberazione

Nell’esporre la sua netta contrarietà all’esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera» durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica. Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.
Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
Massimo Gramellini “La Stampa” 24.4.2013

Mirano: 25 aprile 2013 Festa della Liberazione

Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è.In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale. (P. P. Pasolini “Scritti Corsari” 1975)

Per commemorare, per ricordare, perchè la memoria non sia una cosa astratta, troviamoci tutti (iscritti, simpatizzanti, antifascisti) questa mattina davanti alla Casa del Combattente a Mirano alle 9.30.

ORA E SEMPRE RESISTENZA!

Antonio Boschieri “D’Artagnan”

 

Antonio ”Ragazzo” Boschieri nato a Biadene nel 1921, partigiano sul Monte Grappa col nome di battaglia “D’Artagnan”. Combattè nella Brigata G. Matteotti come comandante del battaglione Zecchinel. Combattente freddo e deciso, amato e stimato dai compagni di lotta, partecipò a moltissime e pericolose missioni e azioni culminate nei tragici combattimenti del settembre 1944 durante il rastrellamento del Grappa da parte dei nazi-fascisti. Catturato, fu a lungo torturato ma non rinnegò le sue idee nè tradì i suoi compagni. Fu impiccato ad Arten di Feltre il 27 settembre del 1944. Aveva 23 anni…

Per tutta la giornata del 25 aprile, Antonio sarà ”presente” a Villa Pisani di Montebelluna con ricordi, foto, testimonianze e documenti nello spazio ANPI.

Come arrivare a Villa Pisani

Le foto della mostra di Biadene: http://imgur.com/a/3lYN0