11 settembre 1973: colpo di stato in Cile

“Loro hanno la forza, potranno farci schiavi ma i progressi sociali non si arrestano né con il crimine, né con la forza, la storia è nostra ed è fatta dal popolo. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!”. Queste le ultime parole di Salvador Allende prima di essere assassinato dai golpisti cileni comandati da Pinochet e ispirati,aiutati e supportati dal governo americano che non voleva un governo marxista in America Latina. Il 24 febbraio 1974 sul settimanale “L’Espresso” compare un articolo del grande scrittore Gabriel Garcia Marquez: non si tratta di una narrazione storica ma di una ricostruzione appassionata, che utilizza tutte le fonti, i materiali, le ipotesi sul dramma cileno. “Ho scritto questa rievocazione soprattutto per far capire agli americani del nord quel che era successo sotto i loro occhi, e in parte per colpa loro” ha detto Marquez inviando il manoscritto al giornale. Questa è la parte finale dell’articolo:

“Aveva compiuto 64 anni il luglio prima ed era un leone perfetto: tenace, deciso e imprevedibile. “Quel che pensa Allende, solo Allende lo sa”, mi aveva detto uno dei suoi ministri. Amava la vita, amava i fiori e i cani, era di una galanteria un po’ all’antica, fatta di bigliettini profumati e di incontri furtivi. La sua maggior virtù fu la coerenza, ma il destino gli apparecchiò la rara e tragica grandezza di morire difendendo a colpi di mitra lo sgorbio anacronistico del diritto borghese, difendendo una Suprema corte di giustizia che l’aveva ripudiato ma che doveva legittimare i suoi assassini, difendendo un congresso miserando che lo aveva dichiarato illeggittimo ma che doveva soccombere compiaciuto davanti alla volontà degli usurpatori, difendendo la libertà dei partiti di opposizione che s’erano venduti l’anima al fascismo, difendendo tutto il bric-à-brac tarlato di un sistema di merda che egli si era proposto di distruggere senza sparare un colpo. Il dramma ebbe luogo in Cile, per sventura dei cileni, ma passerà alla storia come qualcosa che capitò a noi tutti, uomini di questo tempo, e c’è rimasto dentro, nelle nostre vite, per sempre.”

Questa è la sequenza finale del film “La memoria ostinata” di Patricio Guzman, una sequenza intensa e terribile: dopo la proiezione de “La guerra del Chile” (un documentario dello stesso Guzman sulla storia dell’esperienza di Unidad Popular in Chile) fa vedere i visi sconvolti, commossi dei giovani incapaci di dominare l’emozione che sgorga nel vedere la propria storia. Il film è una lotta contro l’oblio e la falsificazione della storia, sulla memoria negata. Come afferma José Balmes: “la memoria e l’oblio sono come il polo positivo e quello negativo della riflessione umana, ci fanno soffire e morire, ma ci permettono anche di vivere”.

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