Lorenza Carlassare: Costituzione a rischio

costituzione_italianaProfessoressa Carlassare, le polemiche sulle riforme non accennano a placarsi.

C’è una verità sotterranea che unisce certi comportamenti: l’insofferenza al dialogo e alle critiche, la reazione smodata a un appello firmato da persone completamente prive di potere, come siamo noi che abbiamo sottoscritto il documento di Libertà e Giustizia. Ed è la mancanza assoluta di cultura costituzionale, che porta a un’idea deformata di democrazia: cioè che si può arrivare anche a escludere i cittadini dalle decisioni. Quello che si avverte – ed è ben evidenziato dall’articolo di Marco Travaglio sul Fatto di mercoledì – è che il concetto di democrazia costituzionale è del tutto estraneo anche a persone di buona cultura.

Ce lo spieghi meglio.

Democrazia “costituzionale” significa soprattutto controllo sul potere; per evitare che si concentri, ha come fondamentale principio la divisione dei poteri e il reciproco controllo. L’abbiamo ripetuto centinaia di volte: il costituzionalismo esprime l’esigenza di dare regole e limiti al potere e dunque, limiti alla maggioranza per realizzare “una serie di garanzie reciproche tra le varie forze sociali e politiche in modo da evitare che la sovranità popolare si risolva automaticamente nella sovranità di una semplice maggioranza parlamentare” (come diceva un grande costituzionalista, Vezio Crisafulli).

La nostra è una democrazia pluralista.

Il punto è esattamente questo, la Costituzione vuole il pluralismo in tutte le sue forme: pluralismo religioso, sindacale, politico, territoriale. Ma siccome il pluralismo costituisce un freno, non lo si ama. E ora si vogliono eliminare i limiti giuridici e politici derivanti dalla pluralità di opinioni difformi. Si vuole cancellare il Senato: io non amo il Senato, né il bicameralismo perfetto, vorrei chiarire, ma a questa riforma che vuole eliminarlo o reciderne il legame con gli elettori si accompagna l’idea di eleggere la Camera dei deputati con un sistema che esclude il pluralismo e potenzia al massimo un partito (che raggiunge una soglia non elevata) mediante un premio che lo pone in posizione egemone. Il limite politico, in democrazia, è dato dalle minoranze, ma con l’Italicum restano fuori dal Parlamento.

Oltre al contenuto, a lei non è piaciuto nemmeno il modo in cui le riforme sono nate, con il patto del Nazareno.

Il modo in cui le riforme sono nate non è democratico. Non possono essere i capi di due partiti a decidere. Al Parlamento si fanno proposte, non si può pretendere che siano immodificabili. È una cosa folle: a questo punto sarebbe meglio eliminiamo non solo il Senato, ma anche la Camera! Spendiamo meno e le leggi le fanno in due.

Tra il Porcellum e l’inerzia legislativa degli ultimi anni, ci siamo assuefatti a un Parlamento diminuito?

Appunto, si vuole – si è voluto – emarginare il Parlamento che è l’organo della rappresentanza popolare. O meglio: quello che ci resta perché questo Parlamento, per le note vicende del Porcellum, non ci rappresenta. Depotenziata la rappresentatività delle due Camere, ora si vuole sancire anche lo svuotamento delle loro funzioni imponendo decisioni prese altrove.

Ormai si legifera solo con decreti leggi o leggi delega.

Il paradosso è che nel periodo berlusconiano le leggi che servivano all’ex Cavaliere venivano approvate alla velocità della luce. Sono riusciti perfino a fare una riforma costituzionale che nel 2006 il referendum ha bocciato. Poi c’è stato un abnorme ricorso alla legislazione d’urgenza e ora si vuole un Parlamento che si limiti ad approvare. Si ricorda Berlusconi quando parlava di un “Parlamento di figuranti”? Che, aggiungo io, è stato sfigurato da quella legge elettorale poi dichiarata illegittima. Ma ora la si vuole perpetuare: l’Italicum ha gli stessi difetti del Porcellum. Dunque un Parlamento “per approvare”. Ma attenzione, per approvare non solo ciò che propone il governo, ma ciò che i capi partito hanno deciso nelle segrete stanze e che impongono all’Assemblea che dovrebbe rappresentare il popolo. Cioè il popolo “sovrano”, in base all’articolo 1 della Costituzione: forse vogliamo cancellare anche quello?

Da Il Fatto Quotidiano del 13/04/2014.