10 gennaio 1944: L’eccidio della Paschetta (Peveragno – Cuneo)

L’eccidio di Piazza Paschetta a Peveragno è avvenuto il 10 gennaio 1944. In piena mattina, mentre il paese era affollato per il mercato settimanale, le SS irrompono nella piazza e aprono il fuoco sulla folla dei contadini: i caduti sono 30. Le case vengono poi incendiate e distrutte. Così Cristina Cardone ricorda l’episodio:

10 Gennaio Millenovecentoquarantaquattro
A tutte le vittime della follia umana della Guerra, di tutte le Guerre.

Il 10 Gennaio 1944 a Peveragno era un lunedì, giorno di mercato. Il sole era gelido e non era caduta neve, quell’inverno. La gente aveva paura, si contava chi non c’era più, si leggevano lettere dal fronte russo, luoghi come Mauthausen evocavano lo spettro della morte. Devo raccontare una storia, che ho sentito fin da bambina narrare dal ricordo doloroso e composto di mia nonna, la storia di una tragedia. Ti ho promesso l’articolo, Tenente, trenta righe per sessanta battute. Spiegami come ci faccio stare in trenta righe la furia, il dolore, il ricordo di un eccidio che ha messo in ginocchio un paese. Ma andiamo con ordine.
Quel mattino i tedeschi fecero irruzione con i mezzi blindati e l’artiglieria, sparando, creando il panico. La gente fuggiva, cercando una via di scampo, un azzardo alla vita. Molti furono fermati, vennero controllati documenti, istituiti posti di blocco, incendiate case. Due giovani furono colpiti alle spalle. Un uomo lungo il viale. Fino al calvario. Rastrellarono diciannove uomini, indistintamente, li radunarono sull’allora Piazza Paschetta e li crivellarono di colpi, infierendo sui corpi, o sul poco che ne restava. Perlustrarono le campagne, dove gli uomini scappavano, si nascondevano. Giovanni Grosso era il mio bisnonno. Quel mattino cercò rifugio tra i suoi boschi, lo cercarono a casa, incendiarono il fienile. Patirono la fame anche gli animali quell’inverno. Quando lo trovarono non ebbero pietà. Lo uccisero. Ma non uccisero solo il corpo, in fondo è sufficiente un solo proiettile per fermare una vita. Vuoti d’anima a perdere. Quarantasette fori, dilaniavano il corpo, che straziarono, colpendo e squartando, strappando via i lunghi baffi.
Ritrovati a primavera, sul sentiero. Scendeva la sera, sua figlia, mia nonna uscì con un’amica andandolo a cercare. Quello che i suoi occhi videro non l’abbandonarono mai più. Provate a posare un dito per quarantasette volte sul vostro corpo, a caso.
Per quarantasette volte.
Altri cinque furono uccisi nelle campagne. A questi ventotto caduti bisogna aggiungere altre due vittime indirette, un partigiano precedentemente ferito che non potè ricevere assistenza e un ex magistrato colpito da infarto in seguito agli avvenimenti citati.
Trenta martiri.

Questa giornata va ricordata, per non dimenticare e ricordata con tutti i suoi particolari. I corpi rimasero fino a sera, straziati e portati al cimitero sui carretti, sotterrati senza funerale, perché così avevano imposto. La forza di resistenza civile della nostra popolazione è stata prova umana e cristiana. Chi ha fede crede, ed è un vantaggio, chi non crede vive nel ricordo. Si pensa che questo eccidio fosse l’espressione di un piano strategico tra Resistenza e popolazione, non potendo colpire direttamente i Partigiani, difficili da scovare, su quelle montagne.Atto di guerra preventivo nell’assoluta mancanza di un motivo scatenante. Non c’era una spiegazione, era un esempio di ciò che sarebbe accaduto se la popolazione avesse legato con i Partigiani. Poi la Storia racconta che siamo stati liberati dagli Alleati. Certo, in parte.
Ma quanto coraggio in chi ha combattuto, ha difeso, ha dato la vita.
I reduci, con la mano sul cuore alle note di un inno.
Oggi Peveragno riceve la medaglia d’argento per quel 10 Gennaio 1944, tra stelle di Natale, tricolori e penne nere. Perché ciò non accada mai più. Ma continua ad accadere, in altre parti del mondo e le chiamiamo missioni di pace, e altri giovani muoiono in nome di una guerra giusta. Altri picchetti d’onore e medaglie, frecce tricolori in cielo e rullo di tamburi, un altro eroe. Si chiamano Nassirya, muoiono per l’uso dell’uranio impoverito, nello scandalo del fosforo bianco, in Somalia, in Iraq, saltano sulle mine nel Kosovo. Come Danilo, Bosnia 1996, aveva qualcosa come soli ventidue anni. Vittime indirette di altre guerre, terrorismo, mafia, complotti, si chiamano Moro, Achille Lauro, Falcone, Callipari, 11 Settembre. Oggi le bocche dei cannoni dei monumenti piangono ruggine, evacuano quartieri quando scavando si trovano residuati bellici.
Questa era la guerra.
A Nizza, il 7 dicembre 2000 è stata sottoscritta la Carta Europea.
Mi piace pensare che è grazie anche alle vittime del 10 Gennaio che si è arrivati qui, grazie a chi quei giorni cadeva per le strade, sul fronte russo, nei campi in Germania, uomini e donne, il collasso di una generazione. La società che nasceva da quelle ceneri non era la stessa di prima, avevano scardinato le certezze. Certo allora dando la vita non immaginavano che sessant’anni dopo si sarebbe parlato di Comunità Europea, di Carta dei diritti, di Costituzione. Quando leggiamo gli articoli della Costituzione si devono vedere i volti di giovani che hanno dato la vita perché quella pagina fosse scritta.
Perché potessimo credere nei principi di uguaglianza e libertà.
Non c’è pace, senza libertà.
Non ci sono guerre giuste.
Nevica.
L’indice e il medio a sfiorare il basco, nel ricordo di un saluto militare. Ciao Tenente.

(Cristina Cardone 10/01/2006)

La Testimonianza di un sopravissuto:   http://www.unionemonregalese.it/index.php?id_articolo=2091