Ugo De Grandis: “Malga Silvagno – Il giorno nero della Resistenza vicentina”

DeGRANDIS-MalgaSilvagnoGiuseppe Crestani, nato a Duisburg nel 1907 da genitori italiani e residente fin da giovane in provincia di Vicenza, nel 1936 era emigrato in Francia e da qui aveva raggiunto la Spagna per combattere il fascismo durante la guerra civile. Inquadrato nella Brigata Garibaldi, aveva ottenuto il grado di tenente dopo aver frequentato la scuola ufficiali di Pozo Rubio. Ferito sul fronte dell’Ebro, in seguito internato nei campi francesi e confinato a Ventotene; nell’autunno del 1943 era stato tra i primi organizzatori della Resistenza sulle montagne vicentine. Ma era stato ucciso il 30 dicembre 1943, assieme ad altri tre compagni, alla Malga Silvagno, in comune di Fontanelle di Conco, sull’Altopiano di Asiago. Una storia purtroppo comune ad altri reduci della guerra civile in quegli anni, sfuggiti alla morte in Spagna per trovarla poi in Italia combattendo nelle formazioni partigiane. Ma in questo caso vi è un elemento in più che rende questa vicenda tragica ed assurda: Crestani assieme a tre compagni è stato ucciso per motivi ideologici dai componenti di una banda partigiana cattolica assieme ai quali egli cercava di organizzare una lotta comune contro nazismo e fascismo. Le “colpe” dei quattro erano di aver imposto un’accelerazione sul piano militare, con azioni che rendevano difficili gli ambigui contatti tra forze partigiane moderate ed ambienti fascisti che miravano ad una transizione indolore, ed una disciplina che tenesse conto delle basilari necessità della guerriglia. In più, erano comunisti. Particolare inquietante, ad alcuni di essi era stato chiesto se fossero o meno cattolici; al loro diniego era partito il colpo mortale. Il gruppo partigiano dopo il fatto si era ricostituito, ma era stato sorpreso meno di tre settimane dopo dai tedeschi ed alcuni dei responsabili di quelle morti erano stati fucilati. In loro memoria annualmente le associazioni partigiane tengono una cerimonia, ma nessuno ricorda i “rossi” ammazzati dal loro gruppo in precedenza. Giova pertanto qui ricordare i nomi di questi dimenticati: assieme a Crestani erano stati uccisi il friulano Ferruccio Roiatti, già condannato nel 1934 a otto anni di carcere dal Tribunale Speciale per attività comunista. Inoltre Tomaso Pontarollo, lavoratore veneto emigrante che aveva trascorso diversi anni in Algeria prima di venire arrestato in Istria nel 1936 per lo stesso motivo di Roiatti e di passare quasi sette anni tra confino e campo di internamento, ed infine un certo “Zorzi” o “Maschio”, la cui identità è destinata a rimanere ignota.
I particolari di queste morti sono stati a lungo e con grande tenacia nascosti dagli ambienti anticomunisti e cattolici della provincia di Vicenza, dominata per molti anni politicamente dalla Democrazia Cristiana. La storia diffusa dai canali ufficiali non era quella reale, e sui quattro “rossi” uccisi era calata una spessa coltre di silenzio, una sorta di damnatio memoriae. Ora invece questa storia non ufficiale è stata documentata, con grande abbondanza di particolari, da Ugo de Grandis, in questo libro, arricchito anche da molte immagini dell’epoca che ritraggono sia i protagonisti che alcune delle vicende raccontate. Scrivendo, De Grandis ha tenuto presenti le tante strumentalizzazioni mediatiche contro la Resistenza garibaldina e comunista realizzate ponendo a pretesto i fatti di Porzûs (o meglio delle malghe Topli Uork, dove un battaglione di gappisti friulani aveva arrestato e poi ucciso in momenti diversi nel febbraio 1945 i componenti di un comando della Brigata Osoppo). Non a caso, i fatti descritti in questo libro sono talvolta definiti una “Porzûs alla rovescia”. Certo, le differenze tra i due episodi non mancano, la definizione non è forse esatta, ma ha il merito di riaprire un dibattito che tanta storiografia nata con la guerra fredda ed ormai dilagata, dopo la sua fine, sui media e sulla stampa, considera chiuso con la definitiva condanna della Resistenza comunista. In realtà i conflitti interni alla Resistenza ci furono, i componenti delle brigate autonome, cattoliche, badogliane, a volte furono vittime ma altre volte furono carnefici, l’unità delle varie formazioni sul piano militare e degli obiettivi politici antifascisti fu spesso un obiettivo da raggiungere più che una realtà. E perciò va dato merito a quanti si spesero allora, anche tenendo presente la “lezione della Spagna”, in favore di tale unità.
De Grandis afferma che la decisione di eliminare i quattro comunisti, due dei quali ritenuti “foresti”, stranieri, perché non erano originari della zona, era stata presa in alcuni ambienti politici di Vicenza e poi trasmessi al gruppo cattolico di Fontanelle di Conco. Certo, rimane poco chiaro il ruolo giocato da alcuni personaggi ambigui, che frequentavano le bande partigiane cattoliche e badogliane ma anche ambienti fascisti della provincia, nello spingere i giovani cattolici a procedere alle quattro sbrigative eliminazioni. L’autore ricostruisce anche con attenzione le varie inchieste promosse dal PCI, a partire dai primi mesi del 1944, per far luce sull’accaduto. All’epoca il responsabile dell’organizzazione militare in una zona molto ampia e tradizionalmente cattolica era il friulano Amerigo Clocchiatti, che si trovava di fronte a livello politico e militare un compito difficilissimo. La documentazione raccolta da Clocchiatti però era stata persa durante un bombardamento. L’inchiesta era proseguita nel dopoguerra, aveva raccolto numerose informazioni ed individuato alcune responsabilità, ma poi tutto era finito con un nulla di fatto. Nel dopoguerra la gran parte dei protagonisti di quelle uccisioni era morta, il personaggio che manteneva rapporti con ambienti fascisti ma anche con i partigiani cattolici, che alcuni consideravano un provocatore fascista nelle file partigiane, godeva fama di essere stato un valoroso partigiano e sarà decorato con due medaglie di guerra. Alcuni reduci delle formazioni cattoliche, tra cui un futuro giornalista di un certo prestigio, interrogati avevano ripetuto le accuse di furti e violenze a carico dei quattro garibaldini che a suo tempo avevano formulato i fascisti. Il membro del Comitato Militare Provinciale reo di aver probabilmente trasmesso in montagna l’ordine di eliminazione dei quattro si proclama con molta energia estraneo a quei fatti Se non si voleva colpire i responsabili, perché i vari funzionari di partito non denunciarono almeno con forza quegli avvenimenti, come avrebbero potuto comunque fare, sebbene avessero raccolto informazioni sufficienti per capire bene quanto era accaduto? De Grandis individua il motivo del silenzio su queste morti, e su altre che hanno coinvolto partigiani comunisti, nella linea dell’unità antifascista voluta da Togliatti, che aveva portato a propagandare un’immagine della Resistenza come movimento in cui le divisioni interne erano state armoniosamente composte (pp. 396 – 397). Un’immagine, aggiungo io, che non deve impedire a noi di cercare una verità anche che può risultate scomoda.
Marco Puppini