Riforme, la resistenza tradita

costituzione_italianaNella settimana appena iniziata si giocherà una partita decisiva per la Repubblica. Quel progetto di scompaginare l’architettura dei poteri come disegnata dai costituenti, che è stato il chiodo fisso della grande riforma propugnata da Berlusconi, sfociata nella riforma della II parte della Costituzione che il popolo italiano ha bocciato con il referendum del 25/26 giugno del 2006, sta per andare in porto con nuove forme e grazie ad un nuovo attore politico. Per quanto articolato diversamente, si tratta dello stesso progetto politico-istituzionale.

Esso si sviluppa su due fronti: la riforma elettorale e la riforma costituzionale. Questi due cantieri interagiscono fra loro e puntano a realizzare il medesimo obiettivo: cambiare i connotati alla democrazia italiana realizzando un sistema politico che il compianto prof. Elia qualificò come “premierato assoluto”. Quel sistema di pesi e contrappesi che i costituenti, memori dell’esperienza fascista, avevano delineato per scongiurare il pericolo della dittatura della maggioranza, sarà profondamente squilibrato per realizzare un nuovo modello istituzionale che persegue la concentrazione dei poteri nelle mani del capo dell’esecutivo, a scapito del Parlamento e delle istituzioni di garanzia.

Non ci sarà più la centralità del Parlamento, anzi il Parlamento sarà dimezzato con l’eliminazione di un suo ramo, poiché il nuovo Senato sarà sostanzialmente un ente inutile che non potrà interferire nell’indirizzo politico e legislativo. Dalla Camera dei deputati saranno espulse molte o quasi tutte le voci di opposizione, il Governo eserciterà un potere di supremazia sulla Camera attraverso l’istituto della tagliola e del voto bloccato. La minoranza che vincerà la lotteria elettorale, controllerà il Parlamento, si impadronirà facilmente del Presidente della Repubblica, eleggerà i 5 giudici costituzionali di competenza delle Camere ed influirà sulle nomine di competenza del Capo dello Stato.

Le istituzioni di garanzia formalmente resteranno in piedi ma saranno addomesticate per non disturbare il navigatore. Sarà sempre più difficile contestare scelte inaccettabili dell’esecutivo (si pensi al nucleare) attraverso il ricorso al referendum popolare, dato l’innalzamento a 800.000 della soglia delle firme necessarie. Le scelte che si faranno in questi giorni in Senato saranno cruciali perché la riforma del Senato è l’indispensabile presupposto della riforma elettorale e non saranno possibili modifiche quando ci sarà la seconda lettura. É questa l’ultima trincea dove si difende quel testamento di centomila morti che ci ha consegnato la Resistenza. Poche cose ci chiedono i nostri morti, diceva Calamandrei: non dobbiamo tradirli.

Domenico Gallo

Lettera ai senatori

costituzione_italianaRiceviamo e diffondiamo questo appello di Silvia Manderino di Rete per la Costituzione:

Vi allego la lettera che la “Rete per la Costituzione” ha inviato ieri sera, 13 luglio 2014, al Presidente del Senato e a ciascuno dei 315 senatori in previsione della discussione sul DDL – partita oggi nell’aula del Senato – con cui il Parlamento è in procinto di modificare l’ordinamento costituzionale della Repubblica.
Come penso saprete, domani, 15 luglio, a Roma ci sarà un presidio davanti al Senato (concentramento iniziale in Piazza delle Cinque Lune), organizzato da varie associazioni e comitati, per fare sentire la voce dissonante dei molti cittadini che non accettano una riforma che stravolgerebbe l’impianto costituzionale disegnato dalla Carta.
La situazione – in presenza di un silenzio assordante da parte della quasi totalità degli organi di informazione sulle posizioni contrarie ad un progetto di natura plebiscitaria che si vuole imporre a tutta la cittadinanza italiana – è di estrema gravità.
Lo stanno dicendo da tempo molte persone, dai costituzionalisti ai comuni cittadini.
L”indifferenza generale è ciò su cui contano i fautori di questo progetto (partito, come noto, dal cosiddetto “patto del Nazareno”).
Questo progetto di controriforma costituzionale potrebbe definitivamente incidere sul futuro del Paese democratico.
Cerchiamo di unire tutte le forze per contrastare questo disegno.
Diffondete come e più potete.
Un caro saluto

Silvia Manderino

Questa la lettera ai senatori:

Il progetto di riforma costituzionale sottoposto all’esame dell’Aula del Senato a partire da lunedì 14 luglio 2014, è oggetto di grande preoccupazione per molti cittadini italiani che, manifestando in varie forme la loro opposizione, considerano la Costituzione repubblicana il fondamento della convivenza democratica.
Con il referendum confermativo del 2006 la maggioranza degli italiani impedì il tentativo di stravolgere le norme su cui si fonda l’ordinamento dello Stato italiano.
Oggi questo progetto torna ad imporsi, ma ha l’aggravante di essere il frutto di accordi intervenuti tra due soggetti privati, uno dei quali ha commesso gravi reati contro lo Stato per i quali è stato definitivamente condannato ed ha in corso l’espiazione della pena.
Questa intollerabile situazione è certamente una delle più gravi anomalie per cui l’Italia si distingue tra gli altri Paesi europei.
Mancano però anche evidenti ragioni giuridiche perché l’attuale Parlamento italiano –  frutto  di una legge elettorale che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima – possa disporsi a modificare la Costituzione, iniziativa di vitale importanza per il futuro del Paese e che i cittadini italiani, tra l’altro, non hanno mai chiesto venisse promossa e attuata.
Non vi sono fondate ragioni per trasformare il Senato della Repubblica in mera “camera consultiva”, privata delle fondamentali funzioni che la Costituzione ha attribuito proprio pensando al bilanciamento dei poteri costituzionali e per di più formata da soggetti non eletti dai cittadini italiani ma nominati in altri luoghi e per altre funzioni.
Se a ciò si aggiunge la previsione di estendere l’immunità parlamentare a senatori nominati, allora la violazione appare manifesta a cominciare dai principi sanciti dall’art. 3 della Carta.
Il progetto che vi accingete a discutere al Senato in prima lettura, dopo che alla Camera è stata approvata una nuova legge elettorale che presenta tutte le caratteristiche di illegittimità costituzionale della precedente, autorizza i cittadini a ritenere che vi sia una volontà diretta ad eliminare dalla Costituzione i principi della democrazia rappresentativa per introdurre un sistema di investitura plebiscitaria.
Questo è il concreto e grande rischio che corre la Repubblica.
Ed è un pericolo che è vostro compito sventare.
Il vostro ruolo impone non solo di considerare le ragioni di quella che appare come una radicale modifica della struttura istituzionale dello Stato, ma di assumere la responsabilità di una decisione che potrebbe segnare nel futuro la fuoriuscita da una Repubblica democratica.
Come cittadini componenti associazioni e comitati in difesa della Costituzione presenti in varie parti d’Italia e uniti nella “Rete per la Costituzione”, vi sollecitiamo affinché il progetto di riforma costituzionale in discussione venga fermato.

                                                                                    Rete per la Costituzione

Sette osservazioni sulla crisi ucraina

Neonazisti ucraini della rivolta Maidan
Neonazisti ucraini della rivolta Maidan

La reazione russa era obbligata. Apre scenari da brivido, ma segue ferreamente e coerentemente la logica della III guerra mondiale in cui il mondo è immerso.

Prima osservazione. La crisi in corso in Ucraina è l’ennesima riprova che le crisi sistemiche portano inesorabilmente a guerre mondiali. Per favore, basta stupirci delle guerre. La crisi sistemica del Seicento fu risolta dalle guerre anglo-olandesi che durarono più di vent’anni. La crisi sistemica scorsa fu risolta da una guerra mondiale di trent’anni che iniziò nel 1914 e terminò solo nel 1945. La guerra mondiale scatenata dall’odierna crisi sistemica è iniziata ufficialmente l’11 settembre del 2001, cioè tredici anni fa e oggi rischia di entrare in una fase nuova e più devastante.
Seconda osservazione. L’odierna crisi sistemica, si è conclamata ufficialmente il 15 agosto del 1971 quando Nixon dichiarando che il Dollaro non era più convertibile in oro, dichiarò implicitamente che la moneta imperiale era garantita esclusivamente dalla potenza politica, militare, diplomatica, culturale e solo infine economica degli Stati Uniti. Gli stessi motivi per cui quella moneta aveva corso mondiale obbligatorio. Basta, per favore, ripetere che la crisi attuale è iniziata con lo scoppio della bolla dei subprime o, al più, con quella della “New Economy”. Sono due episodi della crisi sistemica principale.
Terza osservazione. La crisi ucraina sembra confermare l’ipotesi che ho avanzato in “Al cuore della Terra e ritorno”: siamo entrati in una fase di deglobalizzazione, ovvero di suddivisione del sistema-mondo in compartimenti geo-economici separati e potenzialmente contrapposti. Un’altra conferma è il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), cioè la cosiddetta “Nato economica”, in corso di negoziazione. Di conseguenza la finanziarizzazione come l’abbiamo sperimentata a partire dal Volcker shock del 1979 e poi diventata virulenta negli ultimi venti anni, subirà una radicale trasformazione, dato che era sostenuta dalla globalizzazione. In relazione a questa accezione del concetto di “finanziarizzazione”, dobbiamo aspettarci una fase di definanziarizzazione che accompagnerà, anche se non in modo meccanico, quella di deglobalizzazione. Questa definanziarizzazione richiede di scambiare il più possibile valori finanziari con valori reali. Il che, in parole povere, vuol dire cercare di riempire un enorme sacco vuoto con ricchezza reale, cosa che non può non portare a disastri e scompensi per innanzitutto richiede un aumento del saggio di profitto (da cui le “riforme del lavoro”) e l’assalto all’arma bianca del dominio pubblico. Come placebo per l’ormai irrecuperabile “piena occupazione”, al fine del necessario controllo sociale verrà probabilmente introdotto un “reddito di sussistenza”, operando così una ghettizzazione istituzionalizzata di parti sempre più ampie delle crescenti “classi subalterne”, per più di una generazione. Uno scenario sociale, culturale e antropologico agghiacciante.
Quarta osservazione. Con la crisi ucraina gli Stati Uniti e la Nato sono ritornati ai vecchi amori della Guerra Fredda: le forze politiche fasciste. L’accoglienza di Kerry al nazista Oleh Tjahnybok, leader di Svoboda, ne è l’emblema. Nel 2009 era stata la volta dell’Honduras a subire un golpe old fashion orchestrato dall’entourage della famiglia Clinton ed eseguito da gorilla fascistoidi addestrati nella “Scuola delle Americhe”. In Medio Oriente ormai non si nasconde più l’utilizzo imperiale di manovalanza fondamentalista antidemocratica. Ad ogni modo, in Europa era dai tempi del colpo di stato dei colonnelli in Grecia che non si assisteva più a un uso aperto di personale fascista in Europa (utilizzo coperto c’è stato invece ad esempio durante le guerre che hanno distrutto la Jugoslavia. Anzi, possiamo considerare le guerre nei Balcani un punto di snodo, in cui forse per la prima volta cooperarono con le forze imperiali sia fascisti sia jihadisti. La differenza è che oggi, per l’appunto, il loro utilizzo è palese, aperto, quasi rivendicato.
Quinta osservazione. Il ricorso da parte imperiale di forze che formalmente sono direttamente contrastanti coi valori professati dall’Impero, è un probabile sintomo dell’indebolimento delle sue capacità egemoniche, cioè delle sue capacità a far condividere come universali i propri interessi particolari. Da tempo, infatti, il “modello” occidentale ha dimostrato di non essere in grado di essere universalmente applicato e di creare più problemi di quanti ne riesca a risolvere, sia in termini di sviluppo, sia in termini di stabilità sociale e internazionale.
Sesta osservazione. Il colpo di stato in Ucraina (ché tale è stato, indipendentemente dal fatto che il regolarmente eletto presidente Janukovič fosse corrotto e incapace), eseguito come avevo previsto assieme ad altri osservatori, pochi purtroppo, durante lo svolgimento dei giochi olimpici di Soči, è avvenuto grazie a finanziamenti statunitensi e tedeschi (non solo accertati, ma addirittura dichiarati), è stato politicamente sostenuto, a volte persino in loco, da pezzi grossi della politica e della diplomazia Atlantica (Kerry, McCain, Ashton) e infine è stato attuato utilizzando reparti paramilitari fascisti a volte addestrati direttamente in basi Nato. In poche parole, è stato un assalto atlantico alle frontiere occidentali della Russia, con ciò stracciando in una volta i Trattati di Parigi ed Helsinki su cui si basava la sicurezza collettiva europea dopo la fine dell’Urss.
E’ stata quindi una mossa pericolosissima, cosa che testimonia delle gravi difficoltà che l’Occidente sta sperimentando a causa della crisi sistemica.
Settima osservazione. La reazione della Russia era obbligata. Ciò non vuol dire che non apra scenari da brivido, ma solo che segue ferreamente e coerentemente la logica della terza guerra mondiale in cui siamo immersi. L’avventurismo occidentale, che è testimone di una preoccupante dose di arrogante disperazione, sta nel fatto che si è compiuta la mossa ucraina pur sapendo che al 90% Mosca avrebbe reagito in modo brutale e deciso. Do per scontato che le dinamiche concitate di questo scorcio di crisi sistemica possano indurre anche mosse particolarmente pericolose e imbecilli. Ma qui mi sembra che siamo di fronte a una inquietante amnesia storica. Non ci si ricorda più che la Russia (e spero che si capisca perché non dico “Unione Sovietica” in questo contesto) al costo di centinaia di migliaia di morti sgominò la VI armata del generale Friedrich Paulus a Stalingrado, invertendo le sorti della II Guerra Mondiale? Non ci si ricorda più che la Russia al prezzo di venti milioni di morti ricacciò i nazisti fino a issare la bandiera rossa sul Reichstag? Si pensa che quelle cose siano successe perché c’era Stalin al Cremlino? Sbagliato. Stalin ebbe bisogno di evocare non una resistenza comunista, bensì la Grande Guerra Patriottica benedetta dai pope.
Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij.
Non dice niente il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?
Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità non tedesca di SS?
Se i decisori occidentali non hanno più voglia di leggersi la Storia si vadano almeno a vedere il film di Eisenstein e quando i Cavalieri Teutoni caricano i Russi sul lago Peipus gelato si facciano venire anche loro un po’ di sano, istruttivo e saggio gelo alla fronte vedendo come è andata a finire.

Morale. C’è necessità di Pace. C’è un’enorme necessità di Pace. C’è un’urgentissima necessità di Pace. Per il nostro Paese c’è bisogno di una politica di neutralità. Innanzitutto dovrebbe ritornare a svolgere quel ruolo di mediazione che lo ha contraddistinto a partire dalla fine della II Guerra Mondiale almeno fino all’inizio degli anni Novanta. Già questo sarebbe un notevole passo avanti. Alternativamente, il nostro Paese potrebbe essere tirato dentro una guerra devastante in men che non si dica, senza che nemmeno se ne accorga. C’è bisogno che si rilanci un movimento di pacifismo attivo. C’è bisogno di capire che guerra e crisi sono due facce della stessa medaglia.
C’è bisogno di un rilancio dell’idea stessa di “democrazia”. All’inizio della crisi, tra gli anni Sessanta e Settanta c’era coscienza di ciò. Oggi che questa coscienza è ancora più necessaria di allora siamo invece paralizzati in uno stato catatonico sia delle capacità di analisi e comprensione, sia di quelle di mobilitazione politica. Non abbiamo più la capacità di elaborare un’idea indipendente, che guardi al di là del nostro naso. Al massimo siamo al carro dei problemi suscitati dall’avversario e riusciamo – spesso malamente – solo a ragionare su quelli.
Eppure siamo di fronte a un cambio di civiltà. Forse a un cambio dell’idea stessa di civiltà. Dovremmo con tutte le nostre forze evitare che ciò si trasformi in una catastrofe, perché la catastrofe non è assolutamente ineluttabile (la storia del mondo è piena di cambiamenti di civiltà), ma evitarla dipende da noi. Eppure non riusciamo a far niente e la catastrofe la rischiamo in continuazione.

Piero Pagliani (da http://realtofantasia.blogspot.it)

Fermiamoli prima che sia troppo tardi

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Inizia oggi in Senato la demolizione della Costituzione. Il disegno autoritario che non è riuscito a Berlusconi nel 2006 (bloccato dai cittadini col referendum) sta per essere attuato da Renzi, che nessuno ha eletto in Parlamento, guida un governo con una maggioranza diversa da quella per cui il suo partito ha chiesto i voti nel 2013 e fa accordi segreti con un cittadino condannato che sta scontando la pena.

ECCO LE ‘RIFORME’ DI BERLUSCONI E RENZI
Legge elettorale incostituzionale – La Camera sarà ancora composta da 630 Deputati, ma li sceglieranno quasi tutti i segretari dei primi due partiti. Il partito più votato (basta anche il 20%) avrà il 55% e governerà da solo a colpi di decreti e di voti di fiducia.
Cancellazione del Senato – Non potremo più eleggere i Senatori, che saranno scelti anch’essi fra chi è già stato eletto negli enti locali, quindi anche il Senato sarà dominato dai primi due partiti. Comunque non potrà controllare il governo, né votare le leggi.
Niente più organismi di garanzia – Grazie ai due punti precedenti il capo del governo potrà scegliersi il Presidente della Repubblica (a partire dal terzo scrutinio, quando basta il 50%+1) e 10 dei 15 giudici della Corte Costituzionale. Quindi non sarà più possibile bloccare le leggi incostituzionali.
Fine dell’autonomia dei Magistrati – Il capo del governo potrà nominare anche 1/3 del CSM, che potrà comunque controllare attraverso il Presidente della Repubblica, come si è visto con la lettera di Napolitano sul caso Bruti Liberati. Inoltre con le nuove regole sul pensionamento e sui provvedimenti disciplinari (dirottati a una Alta Corte di nomina del governo) i giudici perderanno la loro autonomia.
Immunità per la ‘casta’ – Dopo una stagione di scandali e con tanti politici sotto inchiesta e condannati, l’immunità dei parlamentari viene rafforzata e estesa ai senatori non eletti, cioè a sindaci e consiglieri regionali (nonostante le vicende del MOSE e dei rimborsi elettorali intascati dai consiglieri nel Lazio, in Liguria, Lombardia e Piemonte). Invece di combattere la corruzione si decide di non perseguirla.
Il conflitto di interessi rimane – Nessun provvedimento per cambiare l’anomalia italiana, unico Paese evoluto in cui un capo politico è anche l’uomo più ricco del Paese e controlla buona parte dei mezzi di informazione. Nessun provvedimento nemmeno per garantire l’indipendenza della RAI, né per aiutare la stampa non controllata da industriali e finanzieri.
I cittadini contano sempre meno – I cittadini non potranno esprimere preferenze per la Camera, né scegliere i senatori e nemmeno eleggere i consiglieri provinciali (ma per ora le Province rimangono, anche se con nomi diversi); per le leggi di iniziativa popolare serviranno molte più firme; continuerà a non esserci nessuna garanzia sul rispetto delle scelte dei cittadini espresse nei referendum (come insegna quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua).

Rete per la Costituzione

L’italia ha bisogno di riforme, ma per far pagare le tasse agli evasori, per lottare contro la grande criminalità, per difendersi dagli attacchi della speculazione finanziaria, per creare posti di lavoro e dare sicurezza ai più deboli. Non dobbiamo per questo rinunciare alla democrazia e consegnare tutto il potere a una persona sola. Sappiamo già come andrebbe a finire.

I simboli nazisti ufficializzati in Ucraina a livello statale

Secondo la logica dei politici ucraini, dopo la svendita della proprietà nazionale agli oligarchi delle multinazionali occidentali, dopo il colpo di grazia all’economia locale, dopo lo smantellamento dei sindacati attraverso i roghi e gli assalti violenti alle riunioni sindacali da parte dei neonazisti e tifosi di calcio pilotati dalle organizzazioni governative, dopo i genocidi compiuti nelle regioni in cui la maggioranza dei cittadini non accettano il potere dei golpisti e rimangono fedeli alla Costituzione, il passo successivo per dare al Paese un taglio “moderno” e “democratico” è senz’altro l’ufficializzazione dei simboli del nazismo. Gli uomini del potere di Kiev lo sanno bene e si abbandonano di gusto alla nostalgia per i tempi in cui i loro antenati “patrioti” e “difensori dell’integrità nazionale” collaboravano con Hitler, sterminando centinaia di migliaia di civili ebrei, ucraini, russi, polacchi, bielorussi. La propaganda del nazismo è diventata l’apoteosi del nuovo regime portato al potere con il golpe di Maidan. Sulla TV Ucraina va in onda in continuazione una variante distorta della storia, in cui presentano in chiave eroica e gloriosa i personaggi che si sono macchiati di terribili crimini contro l’umanità, come il boia nazista Stepan Bandera, il fondatore dell’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), nonché il collaborazionista e filo-nazista a cui si ispirano i moderni movimenti neonazisti ucraini, in particolare Pravy Sektor (Settore destro), i membri del quale oggi ricoprono alte cariche nel governo e nel parlamento ucraino. Persino qui in Italia il rappresentante del potere golpista ucraino, niente di meno che l’ambasciatore in persona Yevhen Perelygin, non è riuscito a trattenere la sua esaltazione nazista, urlando in pubblico “Viva Bandera!”, per replicare alle proteste degli aderenti al comitato di solidarietà all’Ucraina antifascista in occasione della sua visita al rettorato dell’Università di Catania. Con questa semplice e apparentemente innocente frase (che non è stata notata da nessuno dei nostri politici o giornalisti) il rappresentante ufficiale dell’Ucraina ha chiarito i valori che il suo paese porta da noi in Europa Unita: xenofobia e razzismo ottusamente mascherati dietro i concetti di “democrazia” e “libertà”, che ci propone elogiando il regime nazista, approvando gli stermini di massa che avevano decimato la popolazione dell’Europa ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Ma il nuovo governo ucraino è andato ben oltre la banale rivalutazione storica dei criminali nazisti. Si è sentito talmente motivato e giustificato dall’appoggio dei protettori di Washington e di alcuni “illuminati” dell’UE da ufficializzare al livello statale anche i simboli nazisti. L’esempio migliore è lo stemma del reparto militare Azov composto da volontari provenienti dalle organizzazioni neonaziste ucraine che fa parte dell’esercito ucraino ed è oggi impegnato nel genocidio contro le popolazioni del Sud-Est ucraino che alcuni dei nostri politici e gran parte dei giornalisti ancora si ostinano a chiamare “operazione antiterroristica”. Questa “gloriosa” unità di boia nazisti si è già macchiata di molti crimini contro i civili, a cominciare dal massacro dei pacifici manifestanti a Mariupol, donne e uomini usciti a protestare contro la politica violenta del governo golpista, agli ultimi casi di fucilazione di massa dei difensori del Sud-Est feriti e massacrati direttamente sui letti dell’ospedale. Lo stemma del battaglione Azov riporta fedelmente un simbolo germanico che si chiama Wosfsangel, che sarebbe “dente di lupo”. Questo simbolo ha le origine runiche ed era adottato da numerose unità militari della Germania nazista. E nonostante i crimini compiuti dal nazismo condannato da tutta l’umanità, nessuno qui da noi, nell’Europa moderna, si scandalizza se nell’Ucraina golpista vengono usati i simboli nazisti, prima dai delinquenti violenti di Maidan e poi un’unità dell’esercito regolare. Qual è la prossima tappa? Lo sterminio dei propri cittadini che non acconsentono al potere del golpe, la censura, gli assassini dei giornalisti? O, scusate, che distratto, sta già accadendo! Persino il nostro connazionale, il giornalista Andrea Rochelli e il suo collega russo sono stati barbaramente uccisi dai nazisti dell’esercito di Kiev. E nessuno qui ha dato spazio a questa tragedia, nessuno ha raccontato la storia di Andrea, nessuno ha parlato della sua famiglia, nessuno ha condiviso con la sua nazione il momento dell’addio, dei suoi funerali. Che vergogna… Giocando con l’ideologia nazista gli ucraini e i loro sostenitori europei e americani non si rendono contro che stanno giocando con il fuoco. Contagiati dalla febbre della nostalgia, i politici e molti cittadini ucraini dimenticano che si tratta di un sentimento molto pericoloso, che a volte può fare dei brutti scherzi, può portare verso le situazioni che si ritorcono contro. La Storia ha molti esempi di questo genere, basterebbe studiarla attentamente e imparare dalle esperienze umane del passato. Ovviamente questo richiede tempo, che purtroppo molti di loro preferiscono investire nelle manifestazioni pro golpiste, saltando e urlando in un’euforica estasi nella venerazione nazista.

Nicolai Lilin (da http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/)

 

Bombe nucleari americane in Italia

Un'immagine satellitare della base di Ghedi mostra parte dell'infrastruttura nucleare

C’è un angolo della provincia di Brescia dove la Guerra Fredda non è mai finita. Negli hangar dell’aeroporto di Ghedi ci sono ancora oggi caccia italiani pronti al decollo per andare all’attacco con bombe nucleari sotto le ali. Incredibile? Non è la sola rivelazione sull’arsenale atomico attivo nel nostro Paese. Una ricerca della Fas, Federation of American Scientists , documenta come l’Italia custodisca il numero più alto di armi nucleari statunitensi schierate in Europa: 70 ordigni su un totale di 180. E siamo gli unici con due basi atomiche: quella dell’Aeronautica militare di Ghedi e quella statunitense di Aviano (Pordenone). Due primati che comportano spese pesanti a carico del governo di Roma: spese che, a 25 anni dalla fine della Guerra fredda e degli incubi nucleari, appaiono ingiustificabili.
Eppure le forze armate italiane sono fiere di essere al fianco della potenza Usa nella missione atomica, tanto da aver festeggiato da poco le “nozze d’oro” di questa alleanza: i 50 anni dell’arrivo delle testate nucleari a Ghedi. Un anniversario celebrato con tanto di torta alla panna con le bandierine e una targa commemorativa che loda queste armi terribili “per avere protetto le nazioni libere del mondo”.
Ufficialmente, questo arsenale in Italia non esiste: né il governo di Washington né quello di Roma hanno mai ammesso la loro presenza. E nella targa commemorativa appena inaugurata non si accenna neppure ad esse: si parla genericamente di “missione Nato”. Il riserbo che, però, circonda questi armamenti presenti sul suolo italiano è un classico segreto di Pulcinella. Che viene demolito dall’esperto americano di armamenti Hans Kristensen, direttore del “Nuclear Information Project” dell’organizzazione “Federation of American Scientists” con sede a Washington DC, che ha appena pubblicato un rigoroso studio sulle armi nucleari Usa presenti nella base di Ghedi.
Kristensen cita due informazioni tecniche che permettono di dimostrare la presenza di queste armi a Ghedi: «Uno dei più importanti segni rivelatori è la presenza del 704esimo Squadrone Munitions Support (Munss), un’unità della US Air Force che consta di circa 134 militari e che ha il compito di proteggere e mantenere operative le 20 bombe nucleari B-61 presenti nella base. Il Munss non sarebbe presente nella base se non ci fossero armi nucleari. Esistono solo quattro unità Munss nell’aviazione militare statunitense e sono dislocate nelle quattro basi in Europa dove le armi nucleari sono conservate per essere lanciate da aerei della nazione ospitante».
Il secondo segno rivelatore, spiega Kristensen, è la presenza di alcuni speciali veicoli Nato fotografati dai satelliti: in gergo si chiamano “Nato Weapons Maintenance Trucks” (WMTs), grandi camion militari equipaggiati di complesse tecnologie. «La Nato ha dodici di questi camion, che sono progettati in modo specifico per permettere di fare la manutenzione delle bombe nucleari sul posto, nelle basi in cui sono immagazzinate in Europa. Un’immagine satellitare, fornita da Digital Globe attraverso Google Earth, mostra uno di questi camion Wmt parcheggiato vicino gli alloggiamenti del 704esimo Squadrone Munss a Ghedi in data 12 marzo 2014. Un’immagine più vecchia del 28 settembre 2009, mostra due camion Wmt nella stessa posizione», scrive Kristenssen.
Le venti bombe di Ghedi sono di proprietà americana, custodite da militari statunitensi. Hans Kristensen spiega a “l’Espresso” che gli ordigni della base sono di due tipi: i B61-4 con potenze da 0.3 a 50 kiloton e i B61-3 con potenze da 0.3 a 170 kiloton, ovvero 11 volte la carica dell’atomica che distrusse Hiroshima nel 1945. Ma è previsto che queste armi devastanti vengano sganciate da cacciabombardieri Tornado italiani: i velivoli del Sesto Stormo. Un reparto celebre, i cui piloti vengono chiamati “I diavoli rossi”: sono stati i protagonisti delle campagne aeree in Iraq nel 1991, in Bosnia nel 1996, in Kosovo nel 1999 e due anni fa in Libia. Assieme alle missioni di bombardamento convenzionale, gli equipaggi vengono continuamente addestrati per l’eventualità di uno “strike nucleare”. E nel futuro sono destinati a proseguire questo doppio compito sugli F-35, che avranno la capacità di imbarcare gli ordigni nucleari.
Ma questa eredità della Guerra Fredda pone un triplice problema, che dopo cinquant’anni di silenzio dovrebbe finalmente venire affrontato dal Parlamento: le spese a carico dell’Italia per l’arsenale nucleare, la sua legittimità in base ai trattati internazionali e i pericoli per la popolazione.

RISCHIO ATOMICO
Esistono pericoli per la popolazione italiana legati alla presenza di queste armi nella basi di Ghedi e Aviano? Ovviamente tutta la materia è coperta da un ferreo segreto militare. Kristensen, però, non manca di ricordare uno studio del 1997 commissionato dalla stessa US Air Force che evidenziava il rischio di esplosione nucleare nel caso in cui un fulmine avesse colpito il deposito di un ordigno nella fase di smantellamento, ossia quando la testata viene smontata dal resto della bomba. Un’eventualità remota, ma che è stata presa in seria considerazione dal Pentagono. Probabilmente questo è uno dei motivi che hanno portato la Nato a pianificare una sostituzione graduale dei camion speciali Wmt con veicoli più avanzati, in gergo militare “Stmt”, che offrono anche una protezione maggiore dai fulmini. Dieci di questi Stmt sono pronti per le basi di Italia, Belgio, Olanda, Germania, Turchia, i cinque paesi in cui sono schierate tutte le armi nucleari americane presenti in Europa. La consegna dei camion Stmt è prevista per questo mese: costano un milione e mezzo di euro ciascuno.

LEGITTIMITA’
Come fa notare l’esperto Hans Kristensen, la presenza di questi ordigni americani pronti all’uso nelle basi italiane pone numerosi quesiti. I nostri piloti si addestrano per essere sempre pronti a utilizzare le bombe nucleari, come previsto dal patto segreto con gli Usa. Ma l’Italia e gli Stati Uniti hanno firmato il Trattato di non proliferazione, che impone di “non ricevere armi nucleari o il controllo diretto o indiretto di esse da nessuno”. È vero che le armi nucleari sono arrivate a Ghedi nel 1963, in un periodo precedente al Trattato di non proliferazione. Oggi però questo accordo è una pietra fondante della comunità internazionale: come si può conciliare con quello che avviene a Ghedi?

SPESA PUBBLICA
Il problema dei costi, infine, è un altro grande punto dolente. Kristensen non fornisce cifre, ma scrive che l’Italia «si fa carico della presenza nella base di Ghedi del 704esimo Squadrone Munss, dell’aggiornamento delle misure di sicurezza necessarie per proteggere le armi, dell’addestramento dei piloti e del mantenimento degli aerei Tornado che devono attenersi a rigorose procedure di certificazione per essere idonei alle missioni nucleari. E inoltre ci si aspetta che il costo nella messa in sicurezza delle bombe B-61nelle basi europee aumenti più del doppio nei prossimi anni (fino a 154 milioni di dollari) per assicurare gli aumentati livelli di sicurezza richiesti dall’immagazzinamento delle armi nucleari americane». Tutti costi che, scrive Kristensen, sono sempre più difficili da giustificare, data la grave situazione finanziaria dell’Italia.
Lo studioso dà alcune misure per far capire l’incidenza della crisi economica nel ridimensionamento delle spese militari: le ore di volo annuali dell’Aeronautica sono scese da 150mila nel 1990 a 90mila nel 2010, l’addestramento è stato ridotto dell’80 percento tra il 2005 e il 2011. E altri tagli sono in arrivo. In queste condizioni, conclude lo studioso, sarebbe meglio che l’Italia mantenesse una forza nucleare solo se davvero le servisse. Ma abbiamo veramente bisogno delle bombe atomiche?

Nella targa commemorativa che celebra il 50esimo anniversario, le armi di Ghedi vengono celebrate, seppure senza menzionarle, per “aver protetto le nazioni libere del mondo” anche dopo la fine della Guerra fredda. «Questa, nel migliore dei casi è un’esagerazione», scrive Hans Kristensen, «è difficile, infatti trovare una qualche prova che le armi nucleari non strategiche schierate in Europa dopo la fine della Guerra fredda abbiano protetto una qualsiasi cosa o che la loro presenza sia in qualche modo rilevante. Oggi la più grande sfida sembra essere quella di proteggere queste armi e di avere i soldi per farlo». (di Stefania Maurizi da “L’Espresso)

Un articolo di Manlio Dinucci sul pericolo nucleare: http://www.lintellettualedissidente.it/il-fuoco-amico-del-bombardiere-nucleare-manlio-dinucci/

L’Anpi di Mirano, in occasione dell’anniversario delle esplosioni nucleari a Hiroshima e Nagasaki, avvenute il 6 e il 9 agosto 1945, commemorerà questo evento, ricordando anche che Mirano è una delle 464 città italiane che aderiscono al progetto “Mayor for peace”. http://www.mayorsforpeace.org/english/membercity/europe/italy.html

Comunicato dell’Anpi Provinciale di Venezia

“Giorgio Almirante è stato espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio”.
È quanto scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio alla signora Assunta Almirante in occasione del centenario della nascita dello storico leader del Msi. (26 giugno 2014).
L’ANPI Provinciale di Venezia però non può dimenticare la storia di un uomo che fu fascista e che tale rimase per tutta la vita.
L’ANPI sa distinguere tra la pietà di fronte alla morte e il giudizio politico e morale che la storia dà all’uomo, alla sua vita e alle parole scritte a Christiana Muscardini: «[…] Puoi star certa che il mio ultimo respiro sarà fascista, nel nostro senso del termine, perché per me, per noi si tratta della battaglia di tutta la nostra vita. Sia utilizzata a sbattere in faccia chicchessia questa mia lettera che non è confidenziale.»
L’ANPI vuole che rimanga memoria dell’Almirante firmatario, nel 1938, del Manifesto della Razza, anticamera dell’olocausto degli ebrei, e di collaboratore, dal 1938 al 1942, della rivista “La difesa della razza”.
Ma ancora di più l’ANPI non può e non deve lasciar cadere nell’oblio le parole del comunicato apparso sui muri di Grosseto il 17 maggio 1944 a firma di Almirante: «Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione dei posti militari e di polizia italiani e tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande […] Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena».
La sua attività antidemocratica continuò anche dopo che la nostra Costituzione vietava la ricostituzione del Partito Fascista.
Almirante fu incriminato, nel 1972, per favoreggiamento dell’attentato di Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, e fu rinviato a giudizio. Il capo dell’MSI godeva dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò per evitare di essere interrogato. Nonostante ciò non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un’amnistia della quale beneficiò in quanto ultrasettantenne. Nel documento redatto dal Procuratore Generale di Milano, Luigi Bianchi D’Espinosa si legge: «Le numerose note a me pervenute in risposta alle mie richieste elencano un gran numero di fatti che testimoniano dell’uso della violenza nei confronti degli avversari politici e delle forze dell’ordine, della denigrazione della democrazia e della resistenza, dell’esaltazione di esponenti e principi del regime fascista, nonché di manifestazioni esteriori di carattere fascista da parte di esponenti di varie organizzazioni dell’estrema destra. […] è poi risultato che una parte preponderante di tali comportamenti trae origine dal Movimento Sociale Italiano (MSI), come si ricava dalla stampa di tale partito di cui in atti, sia dal particolare che molti dei fatti riferiti nelle varie note ufficiali allegate sono stati consumati da appartenenti alle varie organizzazioni di detto movimento, talvolta isolatamente, più spesso uniti fra loro […]»
L’ANPI non può, ancora una volta assistere inerme ai tentativi di revisionismo di chi  vorrebbe dedicare vie e piazze, come Ignazio La Russa, ex MSI ora deputato di Fratelli d’Italia: «Dopo le alte parole del presidente della Repubblica mi sembra importante far sentire la voce di tutti quelli, amici e antichi avversari, che condividono l’opinione di Giorgio Napolitano per ottenere da Ignazio Marino un vero atto di civiltà e di sincero riconoscimento, quale lo ha l’intitolazione di una via a Roma per Giorgio Almirante».
Lontani dal censuare il giudizio personale del Capo dello Stato, espresso nel messaggio alla vedova di Almirante, l’ANPI vuole però ricordare l’impegno profuso il 29 novembre 2010, quando a Mirano si è opposta all’intitolazione di una via al fascista Almirante; né verrà mai dimenticando la solidale e intensa partecipazione di numerosi antifascisti che non vogliono scordare il sacrificio di tanti giovani partigiani che hanno dato la loro vita affinché l’Italia diventasse un paese democratico e antirazzista.

PER IL COMITATO
IL PRESIDENTE
PROF. Diego COLLOVINI

Almirante un esempio?

10494744_10201985322945226_284000671288673352_n“Giorgio Almirante è stata espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio”. E’ quanto scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio alla signora Assunta Almirante in occasione del centenario della nascita dello storico leader del Msi. (26 giugno 2014)

«Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione dei posti militari e di polizia italiani e tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande […] Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena». Queste frasi fanno parte di un comunicato apparso sui muri di Grosseto il 17 maggio 1944. Chi firmava la condanna a morte per i partigiani che decidevano di non arrendersi e consegnare le armi entro le 24 ore del 25 maggio era Giorgio Almirante.

Almirante nel 1938 fu firmatario del Manifesto della razza, anticamera dell’olocausto degli ebrei, e dal 1938 al 1942 collaborò alla rivista “La difesa della razza” come segretario di redazione. Su questa rivista si occupò di far penetrare in Italia le tesi razziste provenienti dalla Germania nazista, ma con tutto l’orgoglio di essere  razzisti italiani: « il razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l’Italia abbia mai tentato. Chi teme ancor oggi che si tratti di un’imitazione straniera non si accorge di ragionare per assurdo: perché è veramente assurdo sospettare che il movimento inteso a dare agli italiani una coscienza di razza […] possa servire ad un asservimento ad una potenza straniera » (Giorgio Almirante, 1938). « Noi vogliamo essere, e ci vantiamo di essere, cattolici e buoni cattolici. Ma la nostra intransigenza non tollera confusioni di sorta […] Nel nostro operare di italiani, di cittadini, di combattenti – nel nostro credere, obbedire, combattere – noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti. Esclusivamente e gelosamente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo » (Giorgio Almirante, 1942). “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza – scriveva Giorgio Almirante -. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti – dice Giorgio Almirante -, finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue”.

Il 31 maggio 1972, in Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, mentre in televisione trasmettevano Inter-Ajax, morirono dilaniati in un attentato il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Bongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Francesco Speziale e il brigadiere Giuseppe Zazzaro. Almirante fu incriminato per favoreggiamento dell’autore della strage di Peteano e fu rinviato a giudizio. Il capo dell’MSI godeva dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò perfino per evitare di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie nelle quali non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un’amnistia praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l’uomo d’ordine, dovette chiedere per sé l’amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò per il reato di favoreggiamento aggravato degli autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un attentato terroristico nel quale vennero uccisi tre carabinieri.

Nel 1972 l’allora Procuratore Generale di Milano, Luigi Bianchi D’Espinosa decise di chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti con l’accusa di tentata ricostituzione del Partito Fascista. Nel documento redatto dal Procuratore generale si legge:
« Le numerose note a me pervenute in risposta alle mie richieste elencano un gran numero di fatti che testimoniano dell’uso della violenza nei confronti degli avversari politici e delle forze dell’ordine, della denigrazione della democrazia e della resistenza, dell’esaltazione di esponenti e principi del regime fascista, nonché di manifestazioni esteriori di carattere fascista da parte di esponenti di varie organizzazioni dell’estrema destra. […] è poi risultato che una parte preponderante di tali comportamenti trae origine dal Movimento sociale italiano (MSI), come si ricava dalla stampa di tale partito di cui in atti, sia dal particolare che molti dei fatti riferiti nelle varie note ufficiali allegate sono stati consumati da appartenenti alle varie organizzazioni di detto movimento, talvolta isolatamente, più spesso uniti fra loro […]

Video della manifestazione del 29 novembre 2010, quando l’Anpi di Mirano si è opposta all’intitolazione di una via al fascista Almirante (interventi di Angelo Pettenò e Marcello Basso):

Sulla strage di Peteano: http://www.gennarocarotenuto.it/2417-via-giorgio-almirante-terrorista/

Sulla storia del MSI da consigliare la lettura del libro di Davide Conti “L’anima nera della Repubblica”

I video della presentazione del libro nella sede dell’Anpi di Mirano, con Davide Conti e Bruno Maran:

http://youtu.be/_W-dd-SLnQc

Le parti 2 – 3 – 4 del video di Conti e Maran sono qui