Questi sono i fatti in seguito ai quali l’Università di Verona ha imposto la chiusura dello spazio studentesco autogestito. Spazio a cui è stata attribuita la grave responsabilità di ospitare, tra gli altri, gli studenti e le studentesse che hanno organizzato una libera iniziativa di approfondimento storico considerata non opportuna e scomoda dal potere politico filofascista locale.
Da parte del Rettore nessuna parola di condanna nei confronti dell’incursione squadrista. Nessuna conseguenza per gli studenti che hanno partecipato all’aggressione. Sgombero immediato di Spazio Zero e commissione disciplinare interna per il professor Gian Paolo Romagnani, reo di aver concesso lo spazio per l’iniziativa.
In Università qualcuno/a ha balbettato un po’ di solidarietà. Per il resto silenzio.
Un vergognoso, complice, pesantissimo, democratico silenzio che non ci dimenticheremo.
Il fascismo è qui e ora.
Scegli da che parte stare.
Domenica 7 aprile alle ore 9 a Castello Tesino, inizierà la cerimonia per l’inaugurazione del cippo alla memoria di Clorinda Menguzzato “Veglia”, trucidata dai nazisti l’11 ottobre del 1944 sulla strada per Pieve Tesino. Interverranno Alberto Parcher, Presidente della Giunta Provinciale, Marcello Basso della Presidenza Anpi Nazionale e Sandro Schmid, Presidente Anpi del Trentino. Qui trovate il volantino della manifestazione.
Un ricordo di “Veglia” nelle parole di Sandro Schmid:
“ Una cosa sola non passa mai: la voce della nostra coscienza la quale ci dice che abbiamo fatto il nostro dovere e questa voce che non conosce tramonto è la nostra vera gloria.” Don Francesco Sordo Corvo – cappellano del Gherlenda
Clorinda Menguzzato è una giovane e bella ragazza di Castello Tesino che lavora come tante altre la campagna e il bestiame di famiglia. All’Albergo Italia conosce il proprietario Riccardo Fattore Lina e un altro sottoufficiale degli alpini Leda, entrambi punti di riferimento del CLN. Con l’arrivo dalle vette feltrine del gruppo partigiano Giorgio Gherlenda, Clorinda passa con la Resistenza. Partecipa a numerose azioni fino al clamoroso assalto alla Caserma del CST di Castello Tesino (14 settembre 1944) dove catturano l’intera guarnigione (60 militi) con il loro comandante tedesco. L’impresa sarà trasmessa da Radio Londra.
I partigiani s’impadroniscono delle armi e liberano tutti gli ostaggi. La reazione nazista è immediata. Alcune centinaia di tedeschi e militi del CST rastrellano la montagna verso la base del Gherlenda alla diga di Costabrunella. Come scudo umano si fanno precedere da Pronto e Mosca due partigiani catturati e poi crivellati di colpi.
Lo scontro, favorito da una nebbia fittissima, comporta la morte sul campo del mitico comandante Fumo Isidoro Giacomin. Il battaglione Gherlenda riesce comunque a sfuggire alla morsa. I tedeschi si ritirano. I partigiani recuperano il corpo del loro comandante e in cima a Costabrunella, con il parroco di Pieve Tesino Lino Tamanini celebrano la Messa e danno l’ultimo saluto. Testimoniata dalle foto, con fucile in spalla è presente anche Veglia, non a caso chiamata dai tedeschi la leonessa dei partigiani e la sua giovane compagna “Ora” Ancilla Marighetto con il fratello Celestino Renata, e fra gli altri il nostro Corrado Pontalti Prua .
L’8 ottobre una colonna militare corazzata tedesca circonda e mette in stato d’assedio Castello Tesino. Il parroco don Cristofolini con tutti i paesani fa voto alla Madonna per risparmiare la Comunità dalla rappresaglia. Un gruppetto di partigiani si nasconde verso Celado. Solo Veglia non lascia al suo destino il suo amato Nazzari ancora indebolito dalle ferite. Una scelta fatale a entrambi. S’incamminano sul sentiero che porta verso Zuna, dove Veglia voleva trovare rifugio in una malga. Sull’imbrunire sono sorpresi da due militi del CST di Castello che li avrebbero anche lasciati scappare se non fossero sopraggiunti altri due militi fanatici che, dopo alcune prime sevizie, li consegnano ai tedeschi insediati nel maso più vicino di proprietà della famiglia Buffa, a due chilometri da Castello Tesino verso Grigno. La notte cala presto il suo mantello nero. Nazzari è scaraventato a terra con il calcio del mitra e subito picchiato senza misericordia per farlo parlare. Di lui i tedeschi non sanno il nome e non immaginano che è il nuovo capo di stato maggiore del Gherlenda.
Si svuota sul tavolo lo zaino di Veglia. La ragazza tenta con un gesto disperato di recuperare la pistola lasciata sul fondo. Non ci riesce. La schiaffeggiano con violenza. La legano mani e piedi a una sedia. La riconoscono subito anche i tedeschi per averla vista spesso all’Albergo Italia. Nazzari durante la notte, a forza di percosse viene ridotto ad un grumo di sangue. All’alba i due partigiani sono portati alla sede delle SS a Castello Tesino e non si vedranno più . Un attimo prima Veglia riesce a sussurare alla sua compagna di scuola Ida che abitava in quella casa: “Mi uccideranno. Sarò la morte della mia mamma. Non me ne importa di me.Mi spiace solo per lui che è innocente”. Poi fu interrotta bruscamente .
Ad occuparsi direttamente di Veglia è il comandante Hegenbart. Le torture di ogni genere durano per tre giorni. Il comandante tedesco fa azzannare persino dal suo cane lupo.
A nulla vale il tentativo di don Narciso Sordo di aiutarla e sostenerla spiritualmente. A sua volta don Sordo è arrestato, poi liberato e ancora arrestato un mese dopo, questa volta con destinazione Mauthausen dove morirà tragicamente.
Veglia non parla, dalla sua bocca non esce nemmeno un nome. Ai suoi carnefici dice sprezzante: “È inutile, quando non ne potrò più dal dolore, mi mozzerò la lingua con i denti”.
La sera dell’11 è portata fuori dal paese. Su un tornante della strada, vicino a una scarpata, a non molti metri da Villa Daziaro, Veglia è freddata con un colpo di arma da fuoco a bruciapelo. Lo sparo rimbomba nella notte e si sente chiaramente in Villa Daziaro . Gli ultimi militi che lasciano il luogo sono gli stessi due che l’avevano arrestata. Non contenti la spogliano, la violano per l’ultima volta, la calpestano e la buttano nella scarpata dove rimane intrappolata da alcuni rami degli alberi. Il giorno dopo nessuno osa passare da quelle parti .
Sarà la pietà cristiana di don Narciso Sordo e del parroco Silvio Cristofolini, a recuperarla e rivestirla con il vestito tradizionale del Tesino. La troverà così, sul bordo della strada, il medico condotto di Castello Tommasini autorizzato a riconoscerla. Il corpo sarà poi tumulato nella fossa comune fuori il cimitero.
Quattro giorni dopo Veglia avrebbe festeggiato i suoi 20 anni.
Ieri, domenica 24 marzo, con un gruppo di compagni avventurosi, siamo partiti da Valmorel per raggiungere il rifugio – museo “Agostino Piol” a Pian de le Femene. Zenone Sovilla, organizzatore della ciaspolada, ci ha illustrato e fatto vedere degli spezzoni di interviste a partigiani e storici, che sono serviti per il suo ultimo progetto “Il sentiero sotto la neve”, un film “per interrogarsi su una memoria ormai troppo spesso calpestata o distorta; per aprire qualche pagina scomoda; per tentare di capire”. In questo sito potete vedere parte delle interviste e dei documentari che hanno ispirato questo progetto: http://www.sovilla.org/
Una sala da duecento posti piena, un altro centinaio di persone in esubero sedute per terra o in piedi: così si è presentata la situazione a Palazzo Marino a Milano sabato 16 marzo, al convegno indetto dall’Anpi nazionale, l’associazione dei e delle partigiane, organizzato proprio dal Coordinamento delle donne. Tra queste anche giovani sotto i trent’anni, perché l’associazione ha aperto da alcuni anni le iscrizioni a chiunque voglia partecipare alle attività.
Un titolo forte e chiaro: ‘La violenza e il coraggio – Donne, Fascismo, Antifascismo, Resistenza, ieri e oggi’, a ribadire un concetto semplice: la storia si insegna e si impara a scuola, ma la memoria la si costruisce nel quotidiano dovunque, ed è fatta di scelte: nelle parole che si pronunciano, nei ricordi da tramandare, nelle narrazioni che diventano fili tesi tra generazioni.
Si può scegliere di rubricare come ‘passato’ quella fase della vicenda politica, sociale e umana che ha visto, nella Resistenza, l’unica palestra di democrazia condivisa da uomini e donne cattoliche, comuniste, anarchiche e socialiste; si può cancellare con una alzata di spalle la tragedia del fascismo e delle leggi razziali, per non parlare della retriva retorica familista che ancora l’Italia si trascina nella cultura diffusa anche dai media.
Ma quando si ascoltano le voci vibranti di donne e uomini che hanno vissuto il (primo) ventennio di buio di questo paese è difficile non emozionarsi. Lidia Menapace e Marisa Ombra invitano le giovani donne che le guardano sedute a terra con occhi attenti a usare ironia e sberleffo contro il patriarcato e il machismo: ”Vi dicono che le donne non possono accedere al sapere scientifico perché hanno il cervello più piccolo? Perfetto, rispondete che di certo anche il diamante è più piccolo di una zucca, che certo pesa di più della pietra preziosa” – chiosa Menapace, classe 1924, della quale da poco è uscito “A furor di popolo”.
L’invito è a non frasi intimidire dagli stereotipi e dai pregiudizi, e fa pensare che arrivi da donne che, come racconta Marisa Ombra nel suo bellissimo “Libere sempre”, a soli 17 anni erano già in montagna a rischiare la vita solo perché portavano notizie e aiuti ai partigiani.
Poco più che bambine molte di loro hanno iniziato la fase adulta dell’esistenza fronteggiando la violenza, e hanno scelto da sole da che parte stare, spesso optando per la lotta nonviolenta. Le intense letture fatte dall’attrice Aglaia Zanetti hanno alternato brani da libri di donne della resistenza a passi tratti da testi sacri dei teorici del fascismo, perle di raggelante attualità rimbalzate anche dagli schermi in sala: “Non darò il voto alle donne. La donna deve ubbidire. La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta ad ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma se le concedessi il voto mi si deriderebbe. Nel nostro Stato non deve contare”. O anche. “La guerra sta all’uomo come la maternità sta alla donna”.
Così Benito Mussolini, mentre Ferdinando Loffredo, filosofo e teorico del regime, affermava; “Il lavoro femminile crea nel contempo due danni; la ‘mascolinizzazione’ della donna e l’aumento della disoccupazione. La donna che lavora si avvia alla sterilità”.
Vale la pena di rammentare questo recente passato, per evitare a chi è più giovane di sottovalutare la pericolosità del non custodire e attualizzare la memoria: questo appuntamento, del quale presto si avranno gli atti ha sapientemente mescolato storia di ieri e realtà contemporanea, con l’urgenza di riannodare fili che rischiano di essere tagliati.
“I partigiani ci vanno nelle scuole – ha detto Marisa Ombra – magari sono stanchi perché hanno molti anni, ma escono dagli incontri con i giovani pieni di energia, basta che vengano chiamati, e arrivano”.
Ascoltiamoli di più.
(di Monica Lanfranco, dal blog de “Il Fatto Quotidiano” del 21 marzo 2013)
Sabato 23 marzo alle ore 17.30 nella saletta T. Degan presso la Biblioteca civica di Pordenone si terrà la conferenza – dibattito:
IL CONFINE ORIENTALE TRA MITO E REALTÀ: “L’OCCUPAZIONE FASCISTA, LE STRAGI E I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER SLOVENI E CROATI, LE FOIBE E L’ESODO.”
INTERVERRÀ LA STORICA ALESSANDRA KERSEVAN
Negli ultimi anni in Italia si è sollevato un acceso dibattito pubblico attorno alla costruzione di una verità ufficiale che ha dato il via ad un walzer di commemorazioni, monumenti, lapidi, intitolazioni di strade. Grazie al contributo di Alessandra Kersevan, attraverso un esercizio di rigorosa contestualizzazione storica, ci proponiamo di individuare e discutere quelli che appaiono gli elementi di mistificazione, falsificazione e propaganda e quelli che si rifanno ai dati reali emersi dallo studio scientifico dei fatti.
Organizzazione del Coordinamento Antifascista e dell’Anpi di Pordenone
Sabato 16 marzo alle ore 18 a Trieste presso la libreria Knulp, in occasione della pubblicazione del numero 300 de “La Nuova Alabarda e la coda del diavolo” si terrà l’iniziativa pubblica:
“Le più complesse vicende del confine orientale”: come se ne parla dopo otto anni dall’istituzione della legge sul giorno del ricordo del 10 febbraio?
Relatrice Alessandra Kersevan, ricercatrice storica ed editrice.
Partigiana del battaglione “Gherlenda” è la più giovane Medaglia d’Oro al valor militare della Resistenza Italiana; assieme all’amica Clorinda Menguzzato è stata una delle poche donne in Italia a ricevere tale onorificenza. Era trentina. Venne uccisa da un gruppo di volontari italiani del del CST (Corpo di Sicurezza Trentino) composto da personaggi locali che dipendeva direttamente dalle SS tedesche. Per questa ragione, nel primo dopoguerra, si è cercato di farla dimenticare sottacendo, eludendo, glissando, facendo di tutto pur di sbiadire il ricordo di una donna di cui dovremmo andare orgogliosi e uno dei motivi è piccolo piccolo: per coprire i personaggi locali che avevano fatto “il patto col diavolo” e s’erano fatti parte attiva nel lavoro sporco delle SS.
Come il Maresciallo Rocca di Cavalese, uno che a domanda avrebbe probabilmente risposto: “Io non faccio politica”, ma che aveva seguito il consiglio del commissario collaborazionista De Bertolini, l’ispiratore del CST (Corpo di Sicurezza Trentino).
Per ricordarla sabato 2 marzo 2013, con partenza da Passo Brocon (TN) alle 9.30, ci sarà una “Ciaspolata Resistente”, che percorrerà i luoghi che hanno visto il martirio di Ancilla. La manifestazione è organizzata dall’Anpi di Feltre, Belluno, Bolzano e Vittorio Veneto.
Sabato 23 febbraio alle ore 18, presso il Palazzo delle Contesse a Mel (BL), ci sarà l’inaugurazione della mostra: “Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943)”, preparata dall’Istituto Gasparini di Gorizia e organizzata dalla sezione Anpi “La Spasema”. La mostra illustra i crimini fascisti italiani contro la comunità slovena e croata al confine orientale italiano. Nello specifico indaga l’odissea dei bambini sloveni deportati nei campi di Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943, attraverso le testimonianze di bambini internati nel campo, raccolte tra il 1944 e il 1945. Si articola in 26 grandi pannelli in italiano e in serbo.
La mostra è nata così: Metka Gombac, nel suo lavoro all’Archivio di stato sloveno, dirige il reparto dedicato alla resistenza. E’ uno degli archivi più ricchi di documentazione su questo fenomeno in Europa. Proprio collaborando con le colleghe di Venezia (scrivevano un articolo sulle donne e sui bambini nella seconda guerra mondiale) si è riusciti a rintracciare una cinquantina di disegni e scritti datati nel 1944 e scritti da bambini sopravvissuti ai campi di concentramento che, tornati a casa, dovevano frequentare i corsi delle scuole riaperte dai partigiani. Il ‘direttore’ didattico, informato dalle maestre “che i bambini rimpatriati rivivevano i drammi trascorsi essendo molto irrequieti e depressi e che bisognava fare qualcosa per rimuovere i patimenti patiti”, impartì alle maestre il consiglio di fare una specie di gara dove dovevano riscrivere e disegnare quello che avevano provato nei “campi”, affinchè “dessero fuori il loro patimento”. È chiaro che si pensava a sanare il PTS (Post traumatic sindrom) e oggi i colleghi psicologi direbbero proprio così, ma allora si pensò solo di alleviare loro il peso del ricordo.
Alla prima mostra organizzata a Ljubljana sono stati invitati all’inaugurazione quasi tutti i bambini sopravvissuti. Allora avevano l’età dai sette ai dieci anni e oggi ne contano settanta in più. Gli organizzatori sono riusciti a creare un ambiente incredibile. I bambini di allora rivedevano i propri compiti dopo decine di anni e rivivevano l’ambiente e la situazione di allora. I sopravvissuti hanno rivisto per la prima volta i propri compiti di scuola di 70 anni prima . Non potevano credere che la storia si fosse ricordata di loro, dei loro patimenti e della loro gioventù provata dall’esperienza del lager.
I testi ed i disegni sono conservati nell’Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e nel Museo di Storia Contemporanea di Lubiana e costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.
Giovedì 6 dicembre alle ore 21.00 al Centro Candiani di Mestre verà proiettato il film – documentario “Carnia 1944, un’estate di libertà” di Marco Rossitti.
Il film è dedicato alla straordinaria, misconosciuta storia della Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli. Nel 1944, per alcuni mesi, una quarantina di Comuni friulani e veneti vennero liberati dall’occupazione nazi-fascista. Vi si costituì una Repubblica partigiana comprendente tutte le forze politiche democratiche, nella quale si sperimentò un eccezionale spazio di libertà e partecipazione popolare che anticipò alcune delle conquiste dell’Italia repubblicana.
Oggi 14 novembre 2012 a Mestre, come in tante città d’Italia si è svolto lo sciopero generale indetto dalla CGIL e dalla Confederazione Europea dei Sindacati (di cui fanno parte anche la Cisl e la Uil…..). Come in tante città la partecipazione è stata notevole e anche a Mestre, dopo il bellissimo intervento di Carlo Bulado dell’Anpi di Venezia sul partigiano Erminio Ferretto, la manifestazione è finita con le note di “Bella Ciao”, una canzone che continua ad essere cantata nelle piazze e sui palchi, perchè è una bella canzone, perchè è una canzone degli italiani che hanno combattuto per la liberazione dell’Italia dai fascisti, dai tedeschi, dalle leggi razziali, dalla fame e dalla guerra, e perché è ancora un canto che unisce. E vedere un popolo unito, è bello.
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