Buon Primo Maggio!

Manifesto del 1° Maggio 1945

Dal diario di Elsa Morante ( Roma 1 maggio 1945 ): è una pagina che descrive benissimo anche un ex-primo ministro.

Mussolini e la sua amante Clara Petacci sono stati fucilati insieme, dai partigiani del Nord Italia.
Non si hanno sulla loro morte e sulle circostanze antecedenti dei particolari di cui si possa essere sicuri. Così pure non si conoscono con precisione le colpe, violenze e delitti di cui Mussolini può essere ritenuto responsabile diretto o indiretto nell’alta Italia come capo della sua Repubblica di Sociale.
Per queste ragioni è difficile dare un giudizio imparziale su quest’ultimo evento con cui la vita del Duce ha fine.
Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini). Leggi tutto “Buon Primo Maggio!”

Razza partigiana

Il 4 maggio 1945 viene ucciso a Stramentizzo in Val di Fiemme Giorgio Marincola, medaglia d’oro al valor militare (è il terzo da destra nella foto): questa è la sua storia.

Giorgio Marincola: pelle nera, razza partigiana
di Tonino Bucci, «Liberazione», 2010/10/24

Questa è una storia anomala. La storia di un partigiano che finisce ammazzato a guerra finita nell’ultima strage fatta dalle Ss in territorio italiano. Il 4 maggio, nella Val di Fiemme, tra le Dolomiti, i tedeschi in ritirata uccidono trentasei persone. Sono passati cinque giorni da quando il cadavere di Mussolini è stato appeso per i piedi a Piazzale Loreto. Il Cln di Cavalese, lo stesso pomeriggio della strage, manda sul posto un avvocato per redigere un elenco delle vittime. Tra i cadaveri, c’è pure un ragazzo di colore. Leggi tutto “Razza partigiana”

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO – UN UOMO UN PARTIGIANO Fotografie di Danilo De Marco

“Ho raccolto in questi anni i volti dei partigiani italiani, “francesi” (armeni, ebrei, polacchi, tedeschi), greci, austriaci …: i loro volti oggi, segnati dal tempo; volti a mio avviso che ci riguardano e ci concernono. Leggi tutto “IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO – UN UOMO UN PARTIGIANO Fotografie di Danilo De Marco”

25 aprile: il comandante Diavolo (Al Dievel)

Tra poco è il 25 aprile: vorremo ricordare i  partigiani che sono ancora tra di noi e, tra i tanti, Germano Nicolini che riesce nei suoi discorsi a far capire quanta emozione e quanta voglia di non arrendersi (resistere) c’è ancora nella sua vita, nonostante le batoste e le umiliazioni ricevute. Da ascoltare e far conoscere. Leggi tutto “25 aprile: il comandante Diavolo (Al Dievel)”

Primo Levi moriva 25 anni fa

 

Sono passati 25 anni da quando Primo Levi fu trovato morto nella tromba delle scale della sua casa torinese, l’11 aprile 1987.

Questa è una sua poesia:
Partigia

Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l’assedio dei tedeschi
Là dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni
Altri rosicchiano la pensione dell’Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c’è congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sarà duro,
Ci sarà duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non e mai finita.
23 luglio 1981

Primo Levi

27 Gennaio 1945, Auschwitz viene liberata dall’esercito sovietico. Grazie Armata Rossa!

nessuno ha ringraziato coloro che hanno aperto i cancelli di Aus-birkenau
come segretario dell’ Anpi del Miranese sento il dovere morale storico politico umano
di farlo attraverso il sito dell’ANPI-MIRANO

GRAZIE ! GRAZIE! GRAZIE ! GRAZIE! GRAZIE! Bruno Tonolo

 

Giorno della Memoria 2012. Da Auschwitz-Birkenau a Jasenovac: Testimonianza diretta di Luigi Baldan

27 Gennaio 2012
“Giorno della Memoria”

OLOCAUSTO
da Ausw-Birkenau a Jasenovac

Documenti video
sui campi di sterminio europei

La solidarietà tra gli internati nei lager nazisti:
la testimonianza di Luigi Baldan

NON ESTRANIATEVI!

Sala Conferenze
Villa Errera – ore 20.45
MIRANO (VE)

Noi veneti indifferenti alle vittime di ieri e di oggi

ECCO COME FERDINANDO CAMON HA PRESENTATO  “Nessun giusto per Eva”:

Noi veneti indifferenti alle vittime di ieri e di oggi

Dal libro di Francesco Selmin «Nessun giusto per Eva» una riflessione Gli euro-cristiani non riconoscono gli altri come uguali a loro
di FERDINANDO CAMON
del 10 dic.2011

Noi veneti sappiamo poco, quasi niente della nostra storia. Anche di quella recente e grandiosa: per esempio, cos’è capitato nella seconda guerra mondiale, a Padova Este Castelbaldo Legnago Verona Rovigo Vicenza, cos’han fatto i fascisti, cos’han fatto i nazisti, come si sono comportati i nostri padri. Credevamo che le vittime dei nazi-fascisti, sui Colli Euganei, fossero una trentina. Poi uno storico di Este, un grande storico, dal metodo rigoroso e tenace, Francesco Selmin, si è messo a svolgere lunghe ricerche, e dopo due mesi è arrivato a contare una cinquantina di vittime, dopo altri due mesi ottanta, e infine ha superato il centinaio.
Ora questo stesso storico riesuma un argomento già scavato ma mai con tanta ricchezza di dettagli: la Shoah di Padova città e provincia. Cos’è successo agli ebrei padovani, dopo la decisione tedesca di procedere alla soluzione finale, e dopo la decisione italiana di accodarsi al turpe alleato nazista, e attuare le leggi razziali? Il libro di Selmin, che sarà in libreria da oggi, stampato a Verona dalla Cierre, s’intitola “Nessun giusto per Eva”, isolando tra le vittime la ragazzina Eva Ducci, con tanto di foto sulla copertina. Sì, il lamento è questo: non ci furono “giusti”, nel senso in cui usa Israele questo termine, onorando coloro che han fatto quel che han potuto per salvare gli ebrei.
Ma devo dire a Selmin che non mi sono lasciato prendere dalla corrente della sua narrazione che avanza ad estuario, diramandosi qua e là per accompagnare le vittime verso il loro ineluttabile destino (quasi tutte son finite ad Auschwitz-Birkenau, e lì han concluso la loro vita nel giro di pochi giorni o di pochissime ore), la mia angosciata attenzione era sempre per lo stesso problema, che non può non porsi alla nostra coscienza: noi, uomini di oggi, ci saremmo comportati diversamente? Avremmo capito? Avremmo avuto coscienza della non-differenza tra le vittime e noi, e l’assurdità di quella differenza che allora chiamavano razza?

I quasi cento ebrei, rastrellati a varie riprese a Padova e nel padovano, e prima riuniti nella villa Contarini Venier a Vo’, hanno avuto poca o nessuna comprensione da parte della popolazione che pure aveva spartito la vita con loro. L’immensa catastrofe si è svolta senza che le coscienze dei vicini ne vedessero l’ingiustificabilità.

Ho letto in passato, in un’altra fonte, che il parroco di Vo’, che ha prestato aiuto a queste vittime, alla loro domanda: “Ma cosa vogliono da noi?”, rispose con non stupida chiarezza: “Vogliono i vostri beni”. È una spiegazione marxiana: i beni, i soldi, gli ori, le case. Ma c’è anche una spiegazione freudiana. Col passar dei secoli gli ebrei venivan sentiti come irrimediabilmente “altri”, cioè nemici, e poiché si era in guerra, venivan trattati come nemici interni, perciò pericolosi, da eliminare. Chiamatela, se volete, spiegazione nicciana. Ma questo spiega il rapporto tedeschi-ebrei. E gli italiani? Noi cercavamo una terza posizione, che non c’era.
Gestito dai fascisti, il campo di concentramento di Vo’ non era un lager tedesco (com’era per esempio la Risiera di San Sabba a Trieste), non era un “mulino da ossa”, costruito per frantumare l’essere umano. Ma la ricerca di una terza posizione (per cui Vo’ ebbe anche un comandante “buono”), poiché lo spazio per una terza posizione non c’era, finisce per diventare collaborazionista, e cioè non evita il male, ma lo lascia accadere.

Sapevano, i nostri padri, il crimine che si compiva sotto i loro sguardi e con la loro, inerte o attiva, collaborazione? No, ma questo non li assolve. Allora come ora. Noi, euro-cristiani, non sappiamo riconoscere gli altri come uguali a noi. Né gli altri lontani (gli indigeni d’America, dopo Colombo), né gli altri colonizzati (che gasavamo o impiccavamo con crudele indifferenza), né gli altri in casa nostra, gli stranieri che arrivano ogni notte, morendo a decine.

Scambiamo la nostra superiorità tecnica ed economica per una superiorità umana. Gli altri sono diversi di pelle lingua costumi morale religione, e questa diversità noi la traduciamo in diversità di diritti. Non sono come noi, perciò non possono avere i nostri stessi diritti.
Dalla Shoah son passati settant’anni, tre generazioni. Adesso cominciamo a capire qualcosa. Se dell’indifferenza di oggi, verso i nuovi scarti della società, avremo coscienza fra altri settant’anni, vuol dire che il problema di capire vien demandato ai figli dei nostri figli. Appena nati. O ancora da nascere.
10 dicembre 2011

 

La Villa della Morte di Vo’

 

LA VILLA DELLA MORTE DI VO’
(dal Sole 24 ore di domenica 15 gennaio 2012)

Sessanta ebrei furono internati in un piccolo campo sui Colli Euganei. Tornarono
in tre. Francesco Selmin ne ricostruisce la storia

di Sergio Luzzatto

“Se l’Italia è caduta nella vergogna e nel disonore, se l’Italia conosce oggi il periodo più oscuro della sua
storia, ciò lo deve all’ebraismo, a quell’ebraismo che bisogna sterminare». «Dobbiamo pertanto liberarci una volta per sempre, senza sentimentalismi e senza discriminazioni, di questa genia malvagia di parassiti, che di italiano non ha che la cittadinanza usurpata e del tradimento il marchio inconfondibile».

Così, l’8 ottobre 1943, un giornale collaborazionista di Padova – «Il Veneto» – aveva suonato a raccolta contro la «razza ebraica maledetta da Dio». L’armistizio dell’8 settembre era stato annunciato da un mese esatto, Mussolini era stato liberato dalla prigione del Gran Sasso, la Repub-blica di Salò era sorta sulle ceneri dell’odioso tradimento del 25 luglio: che cosa bisognava attendere ancora perché i maggiori responsabili della rovina, i perfidi giudei, venissero colpiti da una «vendetta terrib¬le e annientatrice?» Eppure le stesse autorità germaniche si erano limitate, fino a quel momento, a recepire i dati anagrafici e gli indirizzi dei 544 ebrei di Padova schedati già nel 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali.

Per gli impazienti collaborazionisti patavini della Soluzione finale, la prima buona notizia arrivò il 19 ottobre sotto forma di un treno piombato: erano i carri bestiame che trasportavano gli oltre mille ebrei di Roma razziati nel ghetto tre giorni prima, il 16 ottobre 1943, e che transitarono per la stazione ferroviaria di Padova verso una direzione ufficialmente sconosciuta, ma certamente ingrata ai passeggeri. La seconda buona notizia arrivò il 14 novembre, quando il congresso di Verona del Partito fascista repubblicano definì gli appartenenti alla «razza ebraica», fossero pure cittadini italiani, «stranieri» di «nazionalità nemica». A quel punto, anche giornali moderati come il veneziano «Gazzettino» poterono scatenarsi contro gli infami «discendenti di Giuda».
Ili 1° dicembre, le prefetture della Repubblica di Salò ricevettero dal ministero degli Interni l’ordine di deportare «tutti gli ebrei» in «appositi campi di concentramento». E per allestire tali campi disposero di adattare una varietà di luoghi più o meno conformi alla bisogna: caserme, scuole, colonie estive, ville di campagna. Su una ventina in totale, il campo maggiore fu quello di Fossoli (presso Carpi, in provincia di Modena) che già era servito al concentramento di prigionieri di guerra. Quanto agli ebrei di’Padova e del Padovano, vennero concentrati in un’antica villa dal nome aristocraticamente risonante – villa Contarini Venier – situata nel cuore di Vo’ Vecchio, un borgo al margine occidentale dei Colli Euganei.

Trascurato per decenni dalla storiografia universitaria e quasi obliterato dalla memoria collettiva, il campo di concentramento di Vo’ è stato “riscoperto” una ventina d’anni fa grazie alle’ricerche di un studioso locale, Francesco Selmin: che ne restituisce ora la vicenda in un piccolo libro intitolato Nessun «giusto” per Eva. Si tratta di una ricostruzione tanto asciutta quanto sensibile del destino occorso a qualche decina fra gli ebrei padovani investiti dalla Soluzione finale; una specie di breve microstoria, ma rivelatrice di una storia grande e terribile.

Il titolo del libro viene all’autore da una giovane ebrea italiana di origini ungheresi, Eva Ducci, che dopo 1’8 settembre cercò scampo con la famiglia a Firenze e che, in realtà, nel campo di Vo’ non fu internata affatto: ma Eva aveva condiviso con altri ebrei del Padovano gli studi classici al liceo-ginnasio Tito Livio, prima di esserne esclusa dalle leggi razziali. Soprattutto, Eva Ducci condivise con la sessantina di ebrei internati a Vo’ dal dicembre 1943 al luglio 1944 (padovani in maggioranza, ma non solo: anche torinesi, triestini, sloveni) il destino della deportazione in Polonia. Fra gli ospiti coatti di villa Contarini Venier, soltanto tre – tre donne – ritorneranno salvi da Auschwitz.

Il campo di concentramento di Vo’ era così piccolo che Selmin ha potuto scriverne qualcosa come una storia totale: identificando per nome e per cognome non soltanto tutti i detenuti, ma anche la maggior
parte dei (pochi) carcerieri.
Selmin ha potuto inoltre ritrovare le tracce di alcune fra le suore elisabettine che prima dell’8 settembre avevano preso in affitto la villa, e che servivano i pasti ai futuri deportati. Ha ritrovato il menù (per così dire) di quei magrissimi pasti. Ha ritrovato perfino il fabbro al quale le autorità di Salò chiesero di costruire le griglie che dovevano impedire ai reclusi di scambiare lettere o messaggi con l’esterno. E Selmin ha ritrovato la bella figura del parroco di Vo’ Vecchio, don Giuseppe Rasia, che generosamente volle assistere gli ebrei internati nella villa, e i cui appunti costituiscono la fonte principale per questa storia della Shoah in miniatura.

Ci sono scene del libro che si fissano nella memoria. Come quella di Anna Zevi, un’ebrea di Este poco più che trentenne e gravemente malata, che i130 gennaio 1944 fu autorizzata a uscire da villa Contarini Venier per raggiungere la chiesa parrocchiale e ricevere il battesimo cristiano. Il suo fu un sacramento diverso dal battesimo che tanti ebrei italiani si erano fatti amministrare, dopo le leggi razziali del 1938, per ragioni più o meno opportunistiche, cioè nella speranza di scampare in tal modo alla persecuzione: nel gennaio del ’44 Anna Zevi aveva ormai il destino segnato, l’acqua santa da lei ricevuta sul capo non sarebbe comunque valsa a tenerla lontano dal treno per Auschwitz.

Altra scena indimenticabile, quella di una bambina di sei anni – si chiamava Sara Gesses, ed era figlia di un ebreo di origini russe con negozio di valigie a Padova – che al momento della chiusura del campo di Vo’ cercò in tutti i modi di scampare a una sorte della quale, peraltro, doveva sfuggirle la portata. Dapprima, il 17 luglio 1944, Sara riuscì (forse con l’aiuto delle guardie italiane del campo) a non salire sui camion che trasferirono a Padova i reclusi di Vo’. E anche quando, l’indomani, una terrorizzata madre superiora delle suore elisabettine consegnò la bambina alle autorità tedesche del capoluogo, ancora Sara cercò di sfuggire al pullman destinato alla triestina Risiera di San Sabba, tappa intermedia del viaggio verso la Polonia.
Ma Sara, sei anni, non riuscì nell’intento. Finì per salirci anche lei,sul convoglio 33T, il suo treno per Auschwitz. Con tutti gli altri internati di Vo’, sbarcò sulla rampa di Birkenau nella notte fra il 3 e il 4 agosto 1944. E come quasi tutti gli altri, fu immediatamente “selezionata” e mandata in gas.

Francesco Selmin, Nessun «giusto» p Eva. La Shoah a Padova e nei Padovano, Cierre edizioni, Sommacampagna (Verona), pagg. 162, € 12,50

 

Vai alla presentazione di Ferdinando Camon: http://anpimirano.it/2012/noi-veneti-indifferenti-alle-vittime-di-ieri-e-di-oggi/

Giornata della Memoria: La lunga marcia dei 54

In occasione della “GIORNATA DELLA MEMORIA” dei partigiani
fucilati dai nazifascisti al cimitero di Mirano il 17-gennaio-1945 la
Sezione di Mirano dell’Anpi presenta il film:

“La lunga marcia dei 54”.

 

alle ore 20.45 del 20 gennaio 2012 presso la Sala Conferenze di
Villa Errera a Mirano con interventi di Alberto Gambato e Laura
Fasolin. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti.

 
scarica volantino:

Giornata della memoria – La Lunga Marcia dei 54

 

SINOSSI:
Dopo un rastrellamento durato tutto il giorno precedente nelle campagne di
Castelguglielmo (RO) e costato la vita ad 11 tra civili e partigiani, il 15 ottobre 1944
a Villamarzana (RO) il regime nazifascista perpetrò l’esecuzione di 43 persone,
partigiani e non, tramite fucilazione. Venne adottata la legge tedesca 1-10. Un ‘Primo
Esempio’ di rappresaglia rispetto alle azioni partigiane nel Medio ed Alto Polesine.
LAURA FASOLIN / Coordinatrice del progetto Centro di Documentazione sugli
eccidi nazifascisti di Villamarzana (RO):
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