È stato morto un ragazzo

Federico Aldrovandi muore alle sei del mattino del 25 settembre 2005, a Ferrara, durante un controllo di polizia. Una morte misteriosa sulla quale si indaga, ma inizialmente tutto pare destinato all’archiviazione. Non finirà così. Perché, dopo nuove indagini e un processo, il 6 luglio del 2009 quattro agenti vengono condannati, in primo grado, a tre anni e sei mesi per eccesso colposo in omicidio colposo. Il 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione conferma la sentenza di primo grado.
Oggi va in onda su RAI News alle ore 21.30 “E’ stato morto un ragazzo”, il documentario di Filippo Vendemmiati che racconta questa storia.
La ricostruzione televisiva è affidata a testimonianze ufficiali e può contare sulla diretta consulenza degli avvocati di parte civile e della madre Patrizia, che – insieme al marito – non si è fermata davanti alla versione “ufficiale” che parlava di morte per overdose e nemmeno davanti al silenzio dei media.
La prima parte è dedicata ai fatti e ai misteri legati a quella mattina e alle ore successive, la seconda al processo e ai suoi numerosi colpi di scena, mentre il finale – partendo dagli interrogativi rimasti senza risposta – tenta una spiegazione verosimile degli avvenimenti.
Il titolo scelto, “È stato morto un ragazzo”, fa riferimento alla vicenda di Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio ucciso in un autogrill da un proiettile vagante, partito dalla pistola di un poliziotto. Quella frase, sgrammaticata ed efficace insieme, fu pronunciata da un collega del poliziotto, e rappresenta bene – secondo Vendemmiati – anche le ambiguità della tragedia di Federico, in bilico tra omicidio e casualità.

“E’ stato morto un ragazzo” è stato presentato con successo al Festival del Cinema di Venezia e ha vinto il David di Donatello 2011 come miglior documentario e rappresenta un esempio importante del ruolo della informazione pubblica al servizio delle battaglie di  dignità e di civiltà.

Il blog della mamma di Federico: http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/

http://www.articolo21.org/2012/06/sentenza-aldrovandi-al-ministro-cancellieri-scappa-il-condizionale-appello-per-introduzione-in-italia-del-reato-di-tortura/
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/06/21/news/aldrovandi_sentenza_cassazione-37630821/

6 giugno 1944: Forte Tombion, “l’atto di sabotaggio più importante dell’ultimo conflitto”.

Se andate a Bassano del Grappa e poi proseguite per la statale della Valsugana verso Trento, dopo Cismon del Grappa, dove la valle si fa più stretta, c’è quello che resta del Forte Tombion. Costruito nel 1885, faceva parte del sistema di fortificazioni denominato “Fortezza Brenta – Cismon”. Tagliato fuori dalle operazioni belliche fin dall’inizio del conflitto 1915-18, il forte Tombion divenne un semplice magazzino di transito e venne parzialmente demolito dagli italiani dopo il ripiegamento sul Monte Grappa. Nella primavera del ’44 i tedeschi avevano depositato una grossa quantità di esplosivo che doveva servire per la costruzione di una linea di difesa per contrastare l’avanzata degli alleati. Era verso la fine di maggio del 1944 quando pervenne la richiesta alleata di sabotare la linea ferroviaria che collegava Trento a Bassano percorrendo la Valsugana; una richiesta motivata dal fatto che, a causa dei continui bombardamenti aerei sulla linea del Brennero, una buona parte del traffico militare tedesco transitava proprio su quella linea. Nella ricognizione della zona emerse che, nel punto più stretto della Valsugana, dove la ferrovia e la strada statale si lambiscono, sorgeva il Tombion, di fronte al quale vi era l’omonima galleria ferroviaria: ambedue obiettivi sui quali si sarebbe dovuto intervenire. Così venne deciso di attaccare il deposito ed utilizzare l’esplosivo per sabotare la ferrovia. L’azione ebbe inizio alle ore 22,00 del 6 giugno 1944. “Bruno” Paride Brunetti (comandante della Brigata Garibaldi “Antonio Gramsci” di Feltre), unitamente ad un nucleo appartenente alla resistenza, riuscì ad entrare nel forte dopo aver disarmato il corpo di guardia. Si misero quindi in atto tutti quegli accorgimenti necessari per il trasporto dell’esplosivo in un punto cruciale della galleria e si provvide alla evacuazione degli abitanti della zona. Si diede, infine, fuoco ad una lunga miccia: era l’una del 7 giugno quando una violentissima esplosione distrusse la galleria per una trentina di metri, interrompendo la comunicazione ferroviaria su quella tratta. A dare notizia dell’accaduto fu anche Radio Londra che plaudì all’azione. Sulla via del ritorno, tra i monti, “Bruno” e i suoi compagni si imbatterono in una pattuglia tedesca: esaurite le munizioni egli fece allontanare i compagni e da solo, contro la reazione di fuoco nemica, si portò a distanza ravvicinata e lanciò cariche esplosive determinando la resa dei tedeschi. Nel 1947 egli venne insignito della Medaglia d’Argento al V.M. dall’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. La città di Feltre e quella di Vittorio Veneto gli conferirono la cittadinanza onoraria. Più tardi, a Milano, Brunetti riceverà dal generale Clark, comandante la Quinta Armata, la “Bronze Medal Star”, assieme a Raffaele Cadorna e a Ferruccio Parri. Terminata la guerra “Bruno” proseguì nella carriera militare ma, nel 1958 al momento dell’avanzamento di carriera dal grado di maggiore a quello di tenente colonnello, nonostante il parere favorevole della commissione a ciò preposta, l’allora Ministro della Difesa, a suo insindacabile giudizio, lo dichiarò inidoneo alla promozione: un partigiano combattente non sarebbe stato affidabile per ricoprire alti incarichi nell’Esercito italiano! Fu una vittima del maccartismo scelbiano. Congedatosi dall’esercito, tornò alla vita civile.
Il 26 maggio 2010 Brunetti partecipò alla cerimonia di inaugurazione della lapide posta dal Comune di Padova sulla facciata di casa Zamboni a ricordo di quel piccolo gruppo di Patrioti che iniziarono la Resistenza militare nel settembre del ’43. I documenti storici tramandano i nomi di nove di quei Patrioti, tre dei quali morirono per l’Italia, chi in combattimento, chi fucilato, chi impiccato sulla forca. Altri tre furono imprigionati e torturati.
In quella occasione Paride Brunetti ricevette dal Sindaco Zanonato il Sigillo della città di Padova e incontrò un folto gruppo di giovani studenti padovani e li invitò ad aspirare ad un mondo migliore, cercando la concordia e ripudiando la guerra che produce solo distruzione, esortando i presenti ad attuare la nostra Costituzione “scritta col sangue e con gli impiccati”.

È morto il 9 gennaio 2011 a Saronno.

http://www.cismon.it/Azione_partigiana_al_Forte_Tombion.html

Per una storia della brigata “Gramsci”: http://www.croxarie.it/index.php?option=com_content&view=article&id=179:resistenza-costituzione-del-gruppo-brigate-antonio-gramsci&catid=36:documenti&Itemid=248

La storia del sabotaggio nelle pagine del diario della partigiana “Gina”: https://docs.google.com/file/d/0B9EZVVVyy4LjTFR2MzdLQVoyOE0/edit

Dante Di Nanni

Il 18 maggio ricorre l’anniversario della morte di una figura storica dell’antifascismo italiano: quella di Dante Di Nanni, giovane militante dei GAP torinesi, ucciso nel 1944, all’età di 19 anni, dalle truppe nazifasciste.
E’ il 17 maggio del ’44 quando Di Nanni, assieme ai compagni Giuseppe Bravin, Giovanni Pesce e Francesco Valentino, effettua un attacco ad una stazione radio che disturbava le comunicazioni di Radio Londra. Prima dell’azione, il gruppo di Gappisti disarma i militari preposti alla difesa della stazione e decide di graziarli in cambio della promessa di non dare l’allarme; ma i nove soldati tradiscono l’accordo e, ad azione terminata, i quattro partigiani vengono sorpresi ed attaccati da un gruppo di nazifascisti. Ne segue uno scontro a fuoco in cui Bravin e Valentino vengono feriti e catturati; portati alle carceri Le Nuove, saranno torturati a lungo ed infine impiccati il 22 Luglio: Bravin aveva 22 anni, Valentino 19. Anche Pesce e Di Nanni vengono colpiti durante lo scontro, ma il primo riesce a portare in salvo il compagno più giovane, gravemente ferito da 7 proiettili. Di Nanni viene trasportato nella base di San Bernardino 14, a Torino, dove un medico ne consiglia l’immediato ricovero in ospedale; Giovanni Pesce, allora, si allontana dall’abitazione per cercare aiuto e organizzare il trasporto del compagno, ma al suo ritorno trova la casa circondata da fascisti e tedeschi, avvertiti della presenza dei Gappisti dalla soffiata di una spia. Nonostante le gravi condizioni in cui versava, Di Nanni rifiuta di consegnarsi al nemico e resiste a lungo all’attacco nazifascista, barricandosi nell’appartamento del terzo piano e riuscendo ad eliminare diversi soldati tedeschi e fascisti con le munizioni rimastegli. La sua eroica resistenza è riportata dalle parole dello stesso Giovanni Pesce che assistette in prima persona alla scena:

«Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l’ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L’ultimo fascista cade fulminato col colpo. Adesso non c’è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio.»

(Giovanni Pesce, Senza tregua – La guerra dei GAP, Feltrinelli, 1967)
Nel 1945 viene insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
A 68 anni di distanza dalla sua morte, vogliamo ricordare Dante Di Nanni come un esempio a cui guardare per la determinazione e la forza con cui, assieme a tanti antifascisti e a tante antifasciste, scelse la strada della Resistenza e della lotta contro l’oppressione nazifascista.

http://it.wikipedia.org/wiki/Dante_Di_Nanni

http://www.museodiffusotorino.it/luoghi.aspx?id=20

18 Maggio: “Fascist Legacy” in Sala Errera a Mirano

“So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori” Benito Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, 1943.

Fascist Legacy (“L’eredità del fascismo”) è un documentario in due parti sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, realizzato e mandato in onda nei giorni 1 ed 8 novembre 1989 dalla BBC.
La prima parte tratta dei crimini di guerra commessi durante l’invasione italiana dell’Etiopia e nel Regno di Jugoslavia. Enfasi vi viene posta sull’impiego dell’iprite, o gas mostarda, da parte del Generale Pietro Badoglio, sui bombardamenti di ospedali della Croce Rossa e sulle rappresaglie dopo un attentato contro l’allora Governatore italiano dell’Etiopia. La sezione che esamina l’occupazione della Jugoslavia cita gli oltre 200 campi di prigionia italiani sparsi nei Balcani, in cui morirono 250.000 internati (600.000 secondo il governo jugoslavo), e si sofferma sulle testimonianze relative al campo di concentramento di Arbe (Rab in lingua serbo-croata) e sulle atrocità commesse nel villaggio croato di Podhum, presso Fiume.
La seconda parte tratta del periodo successivo alla capitolazione italiana nel 1943 e si rivolge principalmente all’ipocrisia mostrata tanto dagli USA quanto soprattutto dai britannici in questa fase. L’Etiopia, la Jugoslavia e la Grecia richiesero l’estradizione di 1.200 criminali di guerra italiani (i più attivamente ricercati furono Pietro Badoglio, Mario Roatta e Rodolfo Graziani), sugli atti dei quali fu fornita una completa documentazione. Entrambi i governi alleati videro però in Badoglio anche una garanzia per un dopoguerra non comunista in Italia, e fecero del loro meglio per ritardare tali richieste fino al 1947 quando i Trattati di Parigi restituirono la piena sovranità al paese: gli stati sovrani in genere non estradano i propri cittadini. L’unico ufficiale italiano mai perseguito e condannato a morte da un tribunale britannico fu un antifascista, Nicola Bellomo, responsabile della morte di prigionieri di guerra britannici. La voce narrante originale è di Michael Palumbo, storico americano autore del libro “L’olocausto rimosso”, edito -in Italia- da Rizzoli. Vengono inoltre intervistati gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e il britannico David Ellwood.
I diritti dell’opera, tradotta in lingua italiana dal regista Massimo Sani, furono acquistati dalla RAI nel 1991, ma il documentario non venne mai mandato in onda. L’emittente La7, invece, trasmise degli ampi stralci di Fascist Legacy nel 2004 all’interno del programma Altra Storia.

In compenso la Rai il 7 febbraio 2005 (in occasione della Giornata del Ricordo), trasmise lo sceneggiato “Il Cuore nel Pozzo” che in sostanza è un impianto di memoria artificiale stile “Total Recall”: durante la seconda guerra mondiale, un’Italiana residente in Slovenia e il suo bambino, frutto della violenza subita da un partigiano sloveno, son minacciati dalla furia slava del partigiano, che vorrebbe trucidare lei e il bimbo. Sarà un prete italiano, don Bruno, a metterli in salvo. Il pozzo è ovviamente la foiba dove finirà don Bruno.
Non venne trasmesso “Fascist Legacy” perché in quel documento si racconta che gli Italiani che invasero l’ex Jugoslavia fecero un carnaio: distrussero e incendiarono interi villaggi, giustiziarono, violentarono e torturarono, gestirono campi di concentramento, dove si andava a morire anche per il semplice fatto di NON essere italiani.

Una giornata per la Memoria, una per il Ricordo. Cosa succede quando la memoria storica più imbarazzante viene annullata? Che si creano ricordi falsi per riempire il vuoto. Il documentario “Fascist Legacy” sarebbe una buona cura ma la Rai non lo manda in onda. Da 23 anni.

Numerose sezioni dell’Anpi e altrettante organizzazioni antifasciste l’hanno proiettato in questi anni in tutta Italia e adesso lo proietta l’Anpi di Mirano nella Sala Conferenze di Villa Errera il giorno 18 maggio alle ore 20.30. Ingresso libero.

Qui il video completo:

http://www.youtube.com/watch?v=2IlB7IP4hys&feature=plcp

Ancora raduni nazifascisti…

“In testa la bandiera della Tagliamento, segue la corona, i gagliardetti”…Le immagini sono un po’ sfocate ma il senso è chiarissimo: puro revisionismo storico, raduno di stampo fascista senza neologismi a edulcorarne la forma. Il video:   è stato inserito qualche giorno fa in tutte le cassette postali del Comune di Rovetta, in provincia di Bergamo, è stato girato nel 2009.
Il piccolo documentario, di 35 minuti, è opera di un gruppo che si chiama “Ribelli della montagna”. Il loro obiettivo è divulgare informazioni su questa vergognosa ricorrenza. L’informazione si sta effettivamente diffondendo in provincia, tant’è che sono iniziate alcune prime discussioni su eventuali e sperate mobilitazioni che impediscano il prodursi di questa parata. Leggi tutto “Ancora raduni nazifascisti…”

Razza partigiana

Il 4 maggio 1945 viene ucciso a Stramentizzo in Val di Fiemme Giorgio Marincola, medaglia d’oro al valor militare (è il terzo da destra nella foto): questa è la sua storia.

Giorgio Marincola: pelle nera, razza partigiana
di Tonino Bucci, «Liberazione», 2010/10/24

Questa è una storia anomala. La storia di un partigiano che finisce ammazzato a guerra finita nell’ultima strage fatta dalle Ss in territorio italiano. Il 4 maggio, nella Val di Fiemme, tra le Dolomiti, i tedeschi in ritirata uccidono trentasei persone. Sono passati cinque giorni da quando il cadavere di Mussolini è stato appeso per i piedi a Piazzale Loreto. Il Cln di Cavalese, lo stesso pomeriggio della strage, manda sul posto un avvocato per redigere un elenco delle vittime. Tra i cadaveri, c’è pure un ragazzo di colore. Leggi tutto “Razza partigiana”

Gino Donè – Un veneto con Guevara

Riceviamo dagli amici della sezione “La Spasema” dell’ANPI di Belluno Sinistra Piave, l’invito per una serata su Gino Donè un partigiano che ha combattuto nella Resistenza veneta ed è stato uno dei primi rivoluzionari nella spedizione sul battello Granma nel 1956. Il giorno 27 aprile alle ore 20.30 presso il Palazzo delle Contesse a Mel (BL) verrà proiettato il documentario “Gino Donè – Un veneto con Che Guevara”. Venite numerosi.

La locandina: 27_aprile_300dpi

http://it.wikipedia.org/wiki/Gino_Don%C3%A8_Paro

25 aprile: il comandante Diavolo (Al Dievel)

Tra poco è il 25 aprile: vorremo ricordare i  partigiani che sono ancora tra di noi e, tra i tanti, Germano Nicolini che riesce nei suoi discorsi a far capire quanta emozione e quanta voglia di non arrendersi (resistere) c’è ancora nella sua vita, nonostante le batoste e le umiliazioni ricevute. Da ascoltare e far conoscere. Leggi tutto “25 aprile: il comandante Diavolo (Al Dievel)”

Video su Kosovo e Metohija

La dura vita dei Serbi nei villaggi del Kosovo e Metohija. Isolamento e apartheid nella terra dei monasteri.
 

 

 

A cura diUn ponte per…” associazione di volontariato per la solidarietà internazionale

                        Piazza Vittorio Emanuele II, 132 – 00185 – Roma
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