Schio, 1943-1945. Storia di dodici «elementi pericolosi»

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Questa è l’intervista di Alessandro Pagano Dritto a Ugo De Grandis autore del libro “Elemento pericoloso – Inquisizione e deportazione politica nella Schio di Salò” (Da http://www.vicenzapiu.com).

L’ultimo libro di Ugo De Grandis, Elemento pericoloso. Inquisizione e deportazione politica nella Schio di Salò (1943-1945). L’odissea dei partigiani del Btg. Territoriale «F.lli Bandiera» di Schio deportati a Mauthausen – Gusen (Centrostampaschio, Schio, 2014, 15 euro) racconta delle vicende che portarono all’arresto e alla deportazione in Germania di dodici antifascisti scledensi alla fine del 1944: di questi – Giovanni Bortoloso, Andrea Bozzo, Roberto Calearo, Italo Galvan, William Pierdicchi, Pierfranco Pozzer, Anselmo Thiella, Vittorio Tradigo, Andrea Zanon, Bruno Zordan – solo uno, William Pierdicchi, farà ritorno nel giugno 1945. VicenzaPiù ne ha parlato con l’autore.
In apertura di Elemento pericoloso il lettore trova due citazioni: una da una lettera di Ernesto «Che» Guevara, l’altra da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Quest’ultima recita: «Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: […]. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo […]. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che abbia poi la nostra impronta».

Come mai proprio questa citazione in questo libro?

La risposta più banale è che ho letto Fahrenheit 451 mentre stavo leggendo questo libro. Devo confessare che anni fa ero un lettore vorace; più poi ho scritto di storia e meno ho trovato tempo per leggere libri che non fossero saggi storici. Questa frase mi ha colpito perché mi sembra rappresenti l’essenza di scrivere libri, soprattutto libri di storia, di voler lasciare un segno, una traccia della propria attività. Ogni libro che io scrivo è destinato a lasciare un segno e questo, nello specifico, è anche un libro che rompe con una visione distorta dell’episodio di giustizia sommaria avvenuto alle carceri di Schio nel luglio 1945.

Il libro si regge su un apparato di note che citano denunce presentate dopo la Liberazione, prima e dopo l’eccidio di Schio.
Come si è posto lei, da storico, nei confronti di questa documentazione? Non c’era il rischio che qualcuno, a liberazione avvenuta, calcasse la mano nel presentarle?

Vorrei prima di tutto specificare, visto che nominiamo l’eccidio di Schio, che questo non è e non va considerato un libro sull’eccidio di Schio. Lo dico perché mi capita di incontrare persone che mi chiedono se ho scritto un nuovo libro sull’eccidio di Schio: no. Certo, la vicenda principale che racconto – quella dei dodici antifascisti scledensi inviati in Germania – ha avuto dei riflessi sull’eccidio delle carceri e il libro stesso è nato dall’acquisizione dei fascicoli a carico dei fascisti detenuti al loro interno; fascicoli istruiti dai Reali Carabinieri ricostituitisi dopo il giorno della locale liberazione, il 29 aprile 1945. I Carabinieri condussero le indagini sulla base di segnalazioni di privati cittadini, del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) o dei partigiani e inoltrarono poi i verbali redatti alla Commissione di epurazione. Il rischio che qualcuno calcasse la mano nel denunciare ovviamente c’era; ma si tratta comunque di denunce autografe, che hanno condotto un ufficiale di polizia giudiziaria ad aprire un fascicolo e che quindi hanno un preciso valore. Questi fascicoli sono stati conservati nella sede del Tribunale di Vicenza, alla sezione «Corte d’Assise Straordinaria 1945-1946»: quella Corte che poi cessò di funzionare col famoso decreto Togliatti. Leggi tutto “Schio, 1943-1945. Storia di dodici «elementi pericolosi»”