12 agosto 1944: Ricordiamo quella notte in cui morì l’umanità intera

Le vittime con meno di 16 anni della strage di Sant'Anna di Stazzema

Sono trascorsi 69 anni da quella terribile mattina del 12 agosto del 1944 quando in un piccolo borgo arroccato sulle Alpi Apuane la furia nazista uccise 560 civili di cui 130 bambini. Le atrocità commesse dalle SS furono sconvolgenti. Giunsero a far partorire una donna, Evelina, e prima di ucciderla, dinanzi ai suoi occhi, spararono alla tempia del figlioletto. Furono trovati ancora uniti dal cordone ombelicale. Quella mattina di 69 anni le SS, guidate da alcuni fascisti locali, a Sant’Anna portarono l’inferno in un luogo che si riteneva fosse lontano dai venti di guerra. Ma quel giorno oltre all’eccidio delle 560 vittime, avvenne un crimine ancora maggiore che è la morte dell’uomo, della sua umanità. Un crimine, o meglio un suicidio, che la storia ci ricorda troppe volte accadere, basti pensare ai campi di concentramento, alle tante guerre che incendiano il mondo.
L’atrocità di certi atti è difficile da elaborare e così si commette l’errore di non ricordarla, è come se si innescasse nella mente un meccanismo di difesa. Freud sosteneva: “La mente allontanerà sempre, ancorché inconsciamente, la realtà dolorosa”. La realtà è che troppo doloroso concludere che in potenza ognuno di noi, se inserito in ideologie malvagie, se cresciuto in sistemi di violenza , può trasformarsi in un mostro. Ma la storia dovrebbe servire proprio a indicarci delle linee da seguire per evitare certe deviazioni. Purtroppo questo non sempre accade e l’uomo necessita di rivivere certe brutalità, spesso, invece di proporre dei modelli diversi alle violenze che si è subito, le vittime diventano carnefici.
Quello che sta patendo il popolo palestinese ne è un’aberrante prova. Per le recenti guerre che ci hanno visti anche direttamente coinvolti come in Iraq e Afghanistan, addirittura ci si erige a paladini della libertà e con questo vessillo si bombardano Paesi, si spolpano di ricchezze territori uccidendo migliaia di civili. Per non parlare poi dell’ipocrisia, anche violando l’articolo 11 della Costituzione, allorquando si parla di missioni di pace. L’ultima, in ordine di tempo, uccisione di un soldato italiano raccoglie questa incongruenza in una foto di Repubblica in cui una frase di un conoscente del caduto affermava in virgolettato che quest’ultimo era un portatore di pace, che amava la pace e in basso c’era la foto di un nostro militare armato fino ai denti pronto all’assalto.
Su questo occorre essere chiari: la pace, quella vera, la si conquista con il paziente dialogo, seminando il bene e non con le armi!
È fondamentale, specie per i più giovani, tenere viva la memoria. Ma ancora più importante è insegnare ad attualizzare ciò che è successo 69 anni fa, capire oggi dove, in che forme e per quali motivi si eserciti il male della guerra. Occorre capire insieme ai giovani il perché siamo così succubi dei potentati militari tanto che, nel nostro Paese, investiamo quotidianamente 70 milioni di dollari in armamenti e dobbiamo acquistare dei cacciabombardieri difettosi per i quali ogni singolo casco costa due milioni di dollari.
Occorre capire perché questo Sistema mondiale investa ogni anno 1.753 miliardi di dollari in armamenti quando ne basterebbero circa 40 per porre fine alla fame nel mondo.
Alla nuova generazione deve essere chiaro che le armi come deterrente e la guerra per accaparrarsi sempre crescenti risorse, per questo sistema neoliberista, sono linfa vitale. Questo Sistema della crescita infinita in un mondo finito è portatore sano di ineguaglianze come mai si sono avute in passato (ogni anno muoiono circa 50 milioni di persone per fame). Se non si cambia questo sistema le ricorrenze per ricordare il male di ieri saranno solo sterili cerimonie per ripulirsi l’anima dei crimini di oggi.

(di Gianluca Ferrara da “Il Fatto”)

12 agosto 1976: strage di Tall el Zaatar (تل الزعتر )

In origine Tall El Zaatar (la collina del timo) era una bidonville alla periferia est di Beirut in Libano. giunti i palestinesi, si trasformò a poco a poco: sorsero i palazzi, nacquero le fabbriche. Alla vigilia della guerra, la città aveva 50.000 abitanti. Poi la guerra scoppiò e la parte orientale di Beirut cadde in mano ai cristiani. Tutta, tranne la “collina del timo”.
Il 22 giugno 1976 i cristiani piazzarono intorno alla “città dei palestinesi” cannoni, razzi, mortai e seimila uomini. Cominciò l’assedio. I palestinesi non potevano arrendersi, perchè la resa avrebbe significato morte sicura. Resistettero, ma era una resistenza senza speranza: i siriani vigilavano che nessun aiuto fosse portato ai trentamila assediati, i cristiani avevano provveduto a interrompere le forniture d’acqua.
Dentro Tall El Zaatar la gente prese a morire di sete, di fame e per le ferite. Le ferite si sarebbero potuto curare ma i cristiani non permettevano l’invio di soccorsi. Il 17 luglio due medici e un infermiera svedesi lanciarono un appello alla Croce Rossa perchè fossero evaquati quattromila feriti gravi. Giunsero le ambulanze ma i cristiani le mitragliarono. Il 25 luglio crollò un palazzo e 500 civili restarono sotto le macerie. Morirono tutti soffocati, perchè i cristiani si esercitarono al tiro a segno sui soccorritori. Dal 3 al 6 agosto la Croce Rossa riuscì ad evacuare 407 civili. Ma il 7 l’organizzazione dovette desistere a causa del fuoco ininterrotto degli assedianti. All’alba del 12 agosto 1976, i miliziani fascisti della Falange, delle Tigri del Libano e i kataebisti cristiano-maroniti, penetrati a Tall El Zaatar trucidano senza misericordia gli scampati all’assedio che sono usciti dai rifugi per organizzare il trasporto dei feriti. Nelle stradine di terra c’è una caccia all’uomo feroce, anche con i coltelli. Gli uomini del campo dai 15 ai 40 anni sono tutti eliminati a freddo. Lo stesso destino capita a donne e ai loro bambini. Vengono assassinati 60 infermieri. Più tardi, in due riprese, il convoglio della Croce Rossa raccoglie direttamente dalle mani delle milizie cristiane alcune migliaia di persone. Sono contro il muro, un’immagine di vergogna. Un testimone afferma che l’entrata nord del campo, a Dekuaneh, è una visione terribile, di orrore. Per muoversi tra le stradine, dove regna l’odore del putrido, dove decine e decine di cadaveri giacciono al suolo tanto che è impossibile contarli, bisogna usare la maschera. C’è chi alla resa preferisce la morte combattendo. Chi, fatto prigioniero, è ferocemente torturato prima di essere eliminato. Alla fine i morti saranno circa 3000.
[da “La diaspora palestinese in Libano e i tempi della guerra civile”, di Mariano Mingarelli]

http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/post/1123650.html

Comunicato del Comune di Mirano

Commemorati i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki

Iniziative per l’abolizione delle armi nucleari

Oggi venerdì 9 agosto 2013 nel Municipio di Mirano è stato commemorato l’anniversario della tragedia di Hiroshima e Nagasaki, dove il 6 e 9 agosto 1945 vennero sganciate le bombe atomiche che provocarono decine di migliaia di morti.

Una delegazione dell’ANPI di Mirano, che ha promosso l’iniziativa, è stata è stata ricevuta dalla Sindaca Maria Rosa Pavanello, dagli Assessori Lauro Simeoni e Cristian Zara, dai Consiglieri comunali Fiorenzo Rosteghin ed Erica Brandolino, quest’ultima anche in rappresentanza del Centro Pace comunale.

La Sindaca ha aperto la cerimonia con queste parole: “Oggi siamo qui per commemorare le immani tragedie delle bombe di Hiroshima e Nagasaki, indelebili macchie di sangue sulla storia e sulla coscienza dell’umanità. E quest’occasione, per onorare al meglio la memoria delle infinite vittime, deve essere anche un grido contro ogni forma di guerra e una presa di posizione salda contro ogni strumento di morte in generale e contro gli armamenti nucleari in particolare. Occorrono dei protocolli internazionali ancor più stringenti sulle armi nucleari, lungo la via che, faticosamente, ha iniziato a mettere freni alle mine antiuomo, alle bombe a grappolo, ecc. Questa non può essere che l’occasione anche per parlare di nucleare “civile”. È ancora vivo nella memoria il recente disastro ambientale di Fukushima, che ha ferito con la radioattività un’altra volta la terra di Hiroshima e Nagasaki. L’incidente alla centrale è un episodio molto diverso, certo. Ma, forse, porta impresso il marchio di quello che è uno dei più grandi difetti del genere umano, la tendenza a dimenticare, a spogliare della sua funzione educativa la storia. Anche per questo, per non dimenticare mai, nulla, per non rischiare il nostro pianeta e le vite che lo popolano, siamo qui oggi”.

Bruno Tonolo, segretario dell’ANPI miranese, ha ricordato i molteplici effetti delle bombe sulla popolazione sottolineando che, sebbene sia finita la guerra fredda, le armi nucleari sono ancora in uso. Quindi, per contribuire all’affermazione della pace tra i popoli, ha proposto alcune iniziative immediate quali l’invio di un telegramma di solidarietà ai Sindaci di Hiroshima e Nagasaki e l’iscrizione alla rete internazionale dei Sindaci per la Pace – Mayor for Peace, un’organizzazione non governativa fondata dalle due città giapponesi con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020.

La Sindaca ha condiviso queste proposte ed ha subito inviato i telegrammi alle due città giapponesi; ha scritto anche ai Sindaci di Palmanova e Busto Arsizio, già aderenti alla rete Mayor for Peace, per associarsi alle loro iniziative.

Infine Erica Brandolino, Consigliera delegata per la promozione di una cultura di pace e dei diritti umani, ha aggiunto che è necessario lavorare contro la guerra, non solo quella nucleare.

L’ufficialità della cerimonia è stata rimarcata dalla presenza della Polizia Locale con il gonfalone.

Erano presenti Renzo Tonolo, vice presidente ANPI Mirano;Giovanni Minto in rappresentanza del circolo PD di Mirano e del coordinamento Genitori Democratici; Giampaolo Coin rappresentanza dell’AUSER di Mirano; il segretario dell’ANPI di Santa Maria di Sala e consigliere comunale della lista civica Insieme Giuseppe Rodighiero e numerosi giovani della Rete degli Studenti Medi di Mirano oltre ad alcuni cittadini.

URP Comune di Mirano

Per approfondire l’argomento riguardante le due esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki c’è un interessante articolo di Vittorio Zucconi del 7 aprile 2008, con le foto scattate subito dopo l’esplosione da un soldato giapponese, morto anche lui dopo averle scattate: http://www.fisicamente.net/DIDATTICA/index-517.htm

10 agosto 1944: Strage di Piazzale Loreto

Il 10 Agosto 1944, su ordine degli occupanti nazisti, la Legione Muti fucilò in Piazzale Loreto a Milano 15 partigiani lasciando i corpi esposti al calore ed alle mosche per l’intera giornata. Nell’Agosto del ’44 Milano è sotto occupazione nazista da ormai quasi un anno. Pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 Settembre nel quadro dell’occupazione nazista dell’Italia, tesa a rallentare l’avanzata degli Alleati a Sud ed a garantire l’esistenza della Repubblica Sociale Italiana, la città è stata occupata dalla tristemente nota divisione Waffen-SS Leibstandarte SS Adolf Hitler.
Milano era già stata teatro degli scioperi del 1943 e del 1944, che erano costati la deportazione di moltissimi operai e di molte azioni partigiane tra la quali l’assalto all’aeroporto di Taliedo, l’eliminazione del Federale di Milano Aldo Rasega, l’assalto alla Casa del Fascio di Sesto San Giovanni e tante altre. La reazione nazista e fascista fu dura con rastrellamenti e deportazioni di massa. Nel Dicembre del ’43 tra l’Arena ed il Poligono di Milano vennero fucilati 13 partigiani.
Nel Febbraio del 1945 il movimento partigiano riprese forza anche grazie all’arrivo da Torino del Comandante Visone, Giovanni Pesce. A Giugno, in fuga da Roma liberata dagli Alleati, giunsero a Milano i tristemente noti torturatori fascisti della Banda Koch che si insediarono presso la Villa Fossati in Via Paolo Uccello.
Il mesi di Luglio ed Agosto videro una recrudescenza repressiva con diverse fucilazioni di partigiani in città ed in provincia.
Del resto, tra il 21 Luglio e il 25 Settembre 1944 i Tedeschi lamentarono 624 caduti, 993 feriti e 872 dispersi a causa di attacchi della Resistenza che, a propria volta, ebbe nello stesso periodo 9250 caduti. Questo poneva la Resistenza italiana ai primi posti come livello di efficienza solo dietro a quella sovietica ed a quella jugoslava. Il 10 Agosto su ordine del Comando della Sicurezza (SD) tedesca a Milano furono prelevati da San Vittore 15 partigiani. La loro fucilazione avvenne all’alba.
I nazisti, al comando del capitano delle SS Theodor Saevecke, giustificarono la strage come risposta all’attentato contro un camion tedesco avvenuto in Viale Abruzzi l’8 Agosto 1944. Quell’attentato, mai rivendicato, non fece alcuna vittima tra i Tedeschi.
Si trattò quindi di un’operazione di puro terrore poiché il famigerato Bando Kesselring (comandante delle truppe tedesche in Italia) prevedeva la fucilazione di 10 Italiani per ogni soldato tedesco caduto. I corpi, lasciati esposti per l’intera giornata ed insultati dai militi della Muti furono rimossi solo in serata.
Questo feroce episodio aumentò a dismisura l’odio ed il risentimento dei Milanesi contro tedeschi e fascisti.

Questi i nomi dei 15:

Gian Antonio Bravin, 36 anni
Giulio Casiraghi, 44 anni
Renzo del Riccio, 20 anni
Andrea Esposito, 45 anni
Domenico Fiorani, 31 anni
Umberto Fogagnolo, 42 anni
Tullio Galimberti, 21 anni
Vittorio Gasparini, 31 anni
Emidio Mastrodomenico, 21 anni
Angelo Poletti, 32 anni
Salvatore Principato, 51 anni
Andrea Ragni, 22 anni
Eraldo Soncini, 43 anni
Libero Temolo, 37 anni
Vitale Vertemati, 26 anni

Questo è un brano dell’ultima lettera di Umberto Fogagnolo alla moglie:

“Ho vissuto ore febbrili ed ho giocato il tutto per tutto. Per i nostri figli e per il tuo avvenire è bene tu sia al corrente di tutto. Qui ho organizzato la massa operaia che ora dirigo verso un fine che io credo santo e giusto. Tu Nadina mi perdonerai se oggi gioco la mia vita. Di una cosa però è bene che tu sia certa. Ed è che io sempre e soprattutto penso ed amo te e i nostri figli. V’è nella vita di ogni uomo però un momento decisivo nel quale chi ha vissuto per un ideale deve decidere ed abbandonare le parole”

6 agosto 1945 – 9 agosto 1945: Hiroshima e Nagasaki

L’Anpi di Mirano ricorda il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, crimine contro l’umanità, avvenuto il 6 e 9 agosto 1945 e invita tutti i cittadini ad essere presenti, venerdì 9 agosto alle ore 11, presso la sede municipale in piazza Martiri a Mirano, alla commemorazione di questa tragedia che ha colpito non solo il popolo giapponese ma tutto il genere umano e gli esseri viventi.

Alla cerimonia sarà presente la sindaca Maria Rosa  Pavanello.

Il Centro Pace  e la Rete degli Studenti Medi del comune di Mirano aderisce e fa propria questa iniziativa.

Agli scettici, agli agnostici, a tutti coloro che: ”ci si sporca le mani ad essere partecipi delle cose del mondo” diciamo: “al nostro posto abbiamo collocato altri, anzi pochi altri, questi, attraverso un uso sofisticato delle immagini e delle parole, stanno imprimendo alla vita del mondo un corso da loro voluto, un corso da cui dipende l’essere e il non essere dell’umanità.” (Gunther Anders)

E non dite che non lo sapevate

 

Come da qualche anno a questa parte, la Città di Busto Arsizio commemora l’anniversario della tragedia di Hiroshima e Nagasaki, dove nel 1945 vennero sganciate le bombe atomiche che provocarono decine di migliaia di morti.
Alle 11.30 di martedì 6 agosto, anniversario del lancio della prima bomba su Hiroshima, il Tempio civico Sant’Anna ospiterà un momento di riflessione: l’iniziativa, che raccoglie l’insegnamento del cittadino benemerito Angioletto Castiglioni, è promossa dall’Amministrazione comunale, dal Comitato Amici del Tempio Civico, e dalla sezione varesina di JCI (Junior Chamber International).
Nel 2009 la Città è stata tra le prime in Italia a promuovere, grazie ad Angioletto Castiglioni, al Comitato e alla Jci, il ricordo della tragedia nucleare. Un impegno nato dalla visita al Tempio Civico e alla Città effettuata nel 2008 da Kentaro Harada, nel 2011 presidente internazionale della JCI, originario della Prefettura di Hiroshima.
Questa collaborazione ha portato a molteplici iniziative, tra cui seminari per l’educazione degli studenti alla pace e l’adesione della Città di Busto Arsizio alla rete internazionale dei Mayors for Peace, un’organizzazione non governativa fondata dalle città di Hiroshima e di Nagasaki con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari.
Un’altra iniziativa è quella dei “Beati i costruttori di pace” che dal 6 al 9 agosto, i giorni di Hiroshima e Nagasaki, organizza un percorso con gli Amici della bicicletta per sensibilizzare le popolazioni e coinvolgere gli amministratori delle Comunità locali, promuovendo anch’essa l’adesione all’ associazione mondiale Mayors for Peace. Il percorso inizia a Cormons il 5 agosto e si conclude il 9 ad Aviano, l’aereoporto militare americano dove c’è uno dei depositi degli ordigni nucleari in Italia,  con la cerimonia di commemorazione di Nagasaki alla quale tutti sono invitati a partecipare.

Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.
Sono di Hiroshima
e là sono morta
tanti anni fa.Tanti anni passeranno.
Ne avevo sette, allora: anche adesso ne ho sette
perché i bambini morti non diventano grandi.
Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.
Un pugno di cenere, quella sono io
poi anche il vento ha disperso la cenere.
Apritemi, vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso,
non chiedo neanche lo zucchero, io,
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.
Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.

Nâzım Hikmet (Poesie, Editori Riuniti)

Lo storico Luciano Canfora: “Uguaglianza davanti alla legge? È diventata roba da comunisti”

Con le parole costruisci un sogno, un mondo nuovo o solo un fraintendimento. Le parole possono essere piallate, manipolate, riempite d’aria come quei palloncini che s’innalzano al cielo. Le parole sono alberi dritti che puoi far divenire storti. E trasformare in nero ciò che è bianco. La filologia è la compagna di vita di Luciano Canfora, storico dell’età antica e saggista.

C’è il potere e c’è la manipolazione.
È del tutto evidente. Il linguaggio politico è dichiaratamente artefatto. Promuove l’inganno, lo pianifica.
Sa in che menti deve essere somministrata la dose quotidiana di manipolazione.
Nel dopoguerra era ricorrente la divisione del mondo in due parti: qui i liberi, lì gli schiavi. Tra gli eroi della libertà, del mondo libero, erano ricompresi i razzisti del-l’Alabama, Francisco Franco, i torturatori francesi.
Difendevano la libertà contro il comunismo. Berlusconi è sceso in campo proprio con questo intento.
Naturalmente lui non ci crede assolutamente. Avendo però avuto percezione che la bubbola funzionava ha proseguito con l’inganno.
Comunisti i comunisti, e comunisti un po’ tutti gli altri.
Fino al punto parossistico di ripeterlo davanti a Enrico Letta che, poverino…
Comunisti i magistrati.
Dal suo punto di vista è comprensibile. L’applicazione del principio della legge uguale per tutti è all’evidenza un processo comunista. E quindi, correlata, la proposizione: bisogna respingere la sentenza per difendere la democrazia.
Altri parlamentari si sono spinti più in là.
Ho sentito Cicchitto e mi pare Lupi conseguentemente affermare che l’unico rimedio per riportare la democrazia è cassare la Cassazione. C’è una logica, in qualche misura.
Ci sarebbe il popolo da rispettare
Mah. Votare non ha più peso, non ha più senso. Il potere politico prende ordini da quello economico che si trova altrove, a Bruxelles o Francoforte. Il Parlamento è degradato a un organo tecnico. Certo, può liberamente dibattere sulla legge animalista. Anti e pro, fatevi sotto e discutete.
Io voto ma tu fai come ti pare.
Direi meglio: quando la legge elettorale falsifica così dichiaratamente i rapporti in campo ecco che la rappresentanza politica perde ogni legittimazione. C’è una ragione per cui il Pd non riesce a dar corso alla forza parlamentare che detiene. Ha la maggioranza assoluta dei deputati frutto di una disponibilità in voti inferiore, e di molto, al trenta per cento degli elettori.
La politica è dunque inganno?
Nel poker c’è l’azzardo, il bluff. Il paragone non è irriverente.
Si dice sempre: siamo nel pieno di una democrazia incompiuta.
E si dice un’ovvietà, una sciocchezza. La democrazia è incompiuta per definizione.
E che la nostra sia una democrazia anomala.
Sarebbe anomala se altrove il diritto fosse totalmente rispettato. Lei crede che in Grecia il diritto di quel popolo sia rispettato? Hanno chiuso in due ore la televisione pubblica solo perché dava fastidio al governo di Samaras. Nessuno ha fiatato, e neanche i giornali italiani, neanche il suo, ha approfondito questa monumentale ingiustizia.
Ma sarà pur vero che Berlusconi, e il potere che ha dettato, rende singolare e unica la vicenda italiana.
Non c’è alcun dubbio.
E non c’è dubbio che il declino morale della classe dirigente italiana abbia avuto un peso anche nel linguaggio.
Cavour parlava di connubio, descrivendo la necessità di trovare un’adesione tra diversi. Oggi si parla di inciucio.
Espressione dialettale napoletana con cui si intende per la verità il pettegolezzo minuto, il vicolo che mormora.
I due termini misurano la differenza di valore culturale tra le classi dirigenti di ieri e di oggi. Non è un caso che ciclicamente si chiamano al governo i professori.
Sì, i professori sono diventati come la Misericordia. Compagnia di protezione civile.
La Rai dei professori, ricorda? In quella convocazione l’idea di portare alla guida persone migliori di quelle elette per guidare il Paese.
Mettiamo in circolazione persone migliori di noi.
E qui il professor Monti.
Poi l’abbiamo cacciato. Abbiamo idee confuse come le parole che utilizziamo.
Assolutamente sì. Prenda gli inviti alla coesione del presidente della Repubblica. Si invita alla coesione, dunque alla ricerca del punto comune, un sistema formalmente bipolare, dunque estraneo al punto comune.
Amiamo l’uno e il suo opposto.
Vorremmo essere bipolaristi e insieme però coesi.
Hanno capito che siamo tele-elettori e usano le parole a casaccio, un po’ come capita.
Ci sono bubbole indicibili, alcune volte è veramente troppo. (Intervista di Antonello Caporale da “Il Fatto”)

3 agosto 1944: strage della famiglia Einstein

In località “Le Corti”, risiede, nella tenuta “Il Focardo”, di sua proprietà, l’Ing. Roberto Einstein, cugino di Albert Einstein, il grande fisico americano, assieme alla moglie ed a due figlie. Gli Einstein sono Ebrei e le due figlie, in seguito alle leggi razziali sono state escluse dagli studi. Luce, la maggiore, dall’Università, Cici, la minore, dalle Scuole Medie. Il fattore ed i contadini sono affezionati agli Einstein e li proteggono. Gran parte della Villa è stata requisita dal comando germanico e c’è sempre un via-vai di ufficiali nazisti, che-però -non danno alcuna molestia né minacciano la vita di quelle persone perseguitate dal fascismo. Ai primi di agosto 1944 nella zona si verifica la ritirata delle forze armate del 30 reich, tallonate dalle armate anglo-arnericane. L’Ing. Einstein, per le insistenze del Fattore e dei contadini, si ritira nel folto del bosco per sfuggire a possibili pericoli della soldataglia abbrutita in fuga. Nel tardo pomeriggio del 3 agosto 1944 giunge al “Focardo” una pattuglia di SS che vuole riposare e pretende di avere vitto e vino. Poi, alle ore 20.00 quei soldati criminali catturano la Signora Einstein e le due figlie, che si trovano in una cantina con un gruppo di contadine e trascinano le tre sventurate nella Villa. Nell’interno dell’immobile, certamente si svolge un pressante interrogatorio. Quei criminali vogliono ad ogni costo catturare Robert Einstein, già cittadino germanico, fuggito in tempo dalla Patria, per trovare rifugio in Italia. Ad un tratto la Signora Einstein, accompagnata da due aguzzini, esce dalla Villa e gira per i campi, chiamando a gran voce il marito. Ma i contadini ed il Fattore riescono a tenerlo in salvo tra loro ed i nazisti riportano la povera donna nella Villa, poiché i tentativi di catturare l’Ingegnere con i suoi ripetuti richiami si sono dimostrati inutili. Poi, d’improvviso, la quiete notturna è scossa da raffiche di mitraglia e subito dopo, dalla zona in cui si erge la villa si alzano alte fiamme. Sono le prime ore del 4 agosto 1944 …Le SS hanno assassinato le tre donne. Sembra che esse siano state violentate prima di venire uccise e, quindi, la villa è stata data alle fiamme. Undici mesi dopo, sull’unica tomba, racchiudente le tre salme straziate dal piombo e intaccate dall’incendio, l’Ing. Robert Einstein si toglierà la vita. (da http://almanaccoresistente.wordpress.com)
http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_della_famiglia_Einstein

3 agosto 1943: il paese di Mascalucia si libera dai tedeschi

Francesco Wagner uno dei caduti

Il giorno 3 agosto, l’enorme risentimento contro la guerra e il disprezzo verso i tedeschi accumulato dal popolo siciliano  esplose in due paesini alle falde dell’Etna, a pochi Chilometri da Catania.
Per prima “ esplose” Mascalucia, dove stazionavano circa 2000 soldati tedeschi. Nel paese era presente un nucleo di sodati italiani, addetti alle fotoelettriche.
Soldati tedeschi, dopo avere sottratto la motocicletta ad un miliare italiano portaordini e il fallito tentativo di rubare  i quattro cavalli del carrettiere Bonaccorso, tentarono di rapinare i cavalli ad una famiglia catanese (Amato) – sfollata nel paese -;  spararono, provocando un morto ed un ferito. In un altro punto del paese, in un casolare, un tedesco ubriaco sparò, uccidendo il soldato Giuseppe La Marra. Successivamente i tedeschi  uccisero un altro soldato italiano, Francesco Wagner, ventiduenne mantovano.
I componenti della famiglia Amato – di mestiere, armieri, avevano un deposito nel paese  – risposero con le armi. Fu il “segnale” dell’inizio della resistenza popolare.
In breve molti cittadini armati di fucili e pistole ( distribuiti dalla famiglia Amato, prelevate dal proprio deposito di armieri) scesero per le strade, sparando ai soldati tedeschi. Molti colpi furono tirati dalle  terrazze delle case e dal campanile della chiesa principale del paese. Ai cittadini si affiancarono i soldati italiani, i carabinieri e i Vigili del fuoco, sfollati da Catania. I soldati portarono altre armi e bombe a mano.
La sparatoria durò circa quattro ore. Armi di vario tipo, munizioni e camionette furono catturate ai tedeschi.
I tedeschi, dopo avere lasciato diversi caduti – quattordici, raccontano le cronache dell’epoca, vari cadaveri non furono mai ritrovati -, si ritirarono dal paese.  Rimasero uccisi un cittadino del paese e due soldati italiani  tra i tanti che si erano schierati con gli abitanti.
Il 17 agosto del 2007, davanti il Palazzo di Città,  una lapide è stata inaugurata per commemorare la resistenza dei coraggiosi abitanti di Mascalucia ai nazisti.
Durante la stessa giornata , a pochi chilometri di distanza, a Pedara, dopo che un contadino aveva ucciso, a colpi di pietre,  un soldato tedesco – un altro rimane ferito – in difesa del  proprio mulo preda del razziatore, scoppia la rabbia popolare. Parecchi giovani si armano ( oltre ai fucili personali altre armi furono date dai carabinieri), dislocandosi tra le vie del paese. I tedeschi, ricevuti rinforzi, occuparono il paese, iniziando un vero e proprio rastrellamento. Arrestarono 13 cittadini, portati successivamente in una località montana di Zafferana nell’albergo “Airone”, requisito dai tedeschi. Furono lasciati liberi il 10 agosto, quando i tedeschi furono costretti ad abbandonare quelle posizioni.
Ormai i soldati tedeschi, incalzati dalle truppe Alleate, sono allo sbando. Lasciano Zafferana, liberata definitivamente l’8 agosto. Il giorno prima la liberazione aveva toccato Mascalucia. (da http://anpicatania.wordpress.com)

http://www3.comunemascalucia.it/index.php/component/content/article/1-ultime-notizie/728-mascalucia-il-3-agosto-del-1943-fu-il-primo-a-far-respirare-aria-di-liberta-ai-suoi-cittadini.html

2 Agosto: “Il mio urlo su quella barella oggi serve per non dimenticare”

«Ai ragazzi delle scuole dico sempre: ottantacinque morti e duecento feriti non sono un mantra da recitare all’anniversario. Dietro ci sono storie, vite perdute, famiglie distrutte. Domandate, informatevi, cercate e fatevi voi un’opinione».
Marina Gamberini è la ragazza della foto simbolo di quel giorno maledetto in Stazione, trasportata su una barella mentre urla il suo sgomento. Solo pochi minuti prima era con le colleghe della Cigar nell’ufficio che stava proprio al piano sopra la sala d’aspetto di seconda classe. Un bell’ambiente, ragazze tutte giovani, complici, che nelle pause pranzo gironzolavano in stazione con le loro divise. «Ci sentivamo delle hostess, conosciute da tutti, il caffè e una passeggiata sul primo binario, così per staccare un po’ dall’ufficio. E’ un ricordo ancora bellissimo».
Dopo le lunghe cure in ospedale, furono mesi, e anni, difficili. Covando la voglia irreale di potersi sostituire alle amiche perdute. «Volevo andare ad abitare nella casa di una di loro, comprare i mobili che lei aveva scelto e mi aveva fatto vedere». Poi, finalmente, di nuovo un lavoro: in Comune, insieme ad una vita quasi normale. Adesso, uscita da una convalescenza, c’è di nuovo l’impegno. Della sua vita da sopravvissuta, Marina vuole fare un modo per continuare a cercare il perché di quella strage: lo fa andando nelle classi. Ed è difficile, dice: ogni volta è un dolore che riemerge, ma lei adesso si sente forte, batte la fatica. E allora racconta di lei, delle colleghe, ma vuole andare oltre.
«Incontro ragazzi puliti, che non sanno nulla di quella storia. Ma è meglio così. Quante volte, anche adesso, in altri contesti sento che ci sopportano, passiamo per pesanti, e solo perché siamo ancora qui, con tenacia, a chiedere la verità, perché adesso ne conosciamo solo un pezzettino. I ragazzi no, invece: vedo che ci ascoltano, perché sono interessati davvero e non per obblighi d’ufficio. Vogliono capire e non hanno verità che ogni tanto qualcuno pretende di confezionare».
C’è un documentario adesso, che racconta di una mattina all’Itis Belluzzi, parlando coi ragazzi della IV B: Marina si tortura le mani, fa qualche pausa, prende il respiro. Ascolta, e racconta. «Sembra assurdo capire che di quel giorno si possa dire tutto e il contrario di tutto, la tristezza è questa. Tutti ne parlano, ma manca ancora la verità. Successe, ma perché?».
Anni di silenzio, per mascherare un dolore e un senso di colpa, per essere lei sola uscita viva da quell’ufficio di ragazze che svanì dentro un’esplosione. «Se sono qui ancora a parlarne, è anche per quietare quel sentimento che tra noi feriti è molto diffuso». Marina è nel comitato direttivo dell’Associazione familiari, ed è quasi una figlia per Lidia Secci, la moglie di Torquato che fu il primo presidente. «Quanti momenti anche di sconforto abbiamo passato in questi anni, delusioni atroci, come non bastasse già quello che avevamo passato. Quando annullarono la sentenza di primo grado del processo, quando il nostro avvocato di parte civile si schierò improvvisamente contro di noi. E, ancora oggi, ogni volta che sentiamo insinuare altre ipotesi. Per questo sosteniamo Paolo (Bolognesi, ndr) nella sua richiesta per avere il reato di depistaggio. Noi queste cose le abbiamo già vissute, è una cosa tremenda pensare che qualcuno apposta metta in piedi una falsità. Ma non si mette un punto interrogativo davanti a una sentenza».
Il sindaco Merola, accogliendo una proposta apparsa su “Repubblica”, da parte dell’associazione “Piantiamolamemoria”, ha promesso che presto sedici vie e piazze saranno dedicate alle vittime bolognesi della strage alla Stazione. «Ben venga. Abbiamo bisogno di tutto, se serve per capire e ricordare che dietro a quelle lettere di metallo che compongono i nomi sulle lapidi, c’erano delle vite, una storia. A Katia (Bertasi, ndr) hanno dedicato un centro sociale». Marina sarà venerdì in piazza, accompagna sempre Bolognesi fin sotto il palco, poi si allontana. «Nella sala d’aspetto faccio ancora fatica ad entrarci, ho paura di non controllare i nervi, e preferisco così. Ma a volte penso che non dovrei avere pudore».
Invece non ha più paura, e se la ha, la vince. E vuole continuare ad andare nelle scuole. «A volte mi viene un frizzo di ottimismo. E se qualcuno un giorno raccontasse quale era il disegno? Se da un’indagine esce qualcosa che spieghi chi decise di fare quella strage? Ma non vorrei fosse un’illusione. Una speranza invece ce l’ho: goccina per goccina, nel passaparola tra i ragazzi che ascoltano e poi raccontano le nostre storie, vorrei che il 2 Agosto non resti una formuletta. “85 morti, 200 feriti”. E’ invece una storia, ancora senza il perché».  (di Luca Sancini da “Repubblica”)

Meno garanzie per la Carta solo per tenere in vita il governo

Non vedo nessuna ragione di derogare all’articolo 138, accelerando i tempi. Se non una, forse: mantenere in vita questo governo”. Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia University di New York, fa parte della commissione dei saggi che lavora, molto sotto traccia, a una proposta di riforma della Carta. Istituita nello scorso giugno, è composta da 34 tra giuristi ed esperti di discipline politiche ed economiche. Settimane fa la commissione ha perso Lorenza Carlassare, dimessasi per protesta contro la sospensione del-l’attività parlamentare voluta dal Pdl (e accettata dal Pd) come ritorsione per la fissazione in calendario della sentenza Mediaset. Ultimati i lavori, a ottobre i saggi consegneranno le loro relazioni sulla riforma, che verranno poi inoltrate al comitato dei 42: i parlamentari a cui il ddl costituzionale affida il compito di riscrivere i titoli I, II, III e V della seconda parte della Costituzione.

Professoressa, partiamo dallo stravolgimento dell’articolo 138. Che ne pensa e cosa ne pensano gli altri saggi?

La commissione non se ne è mai occupata, perché non rientra nel suo ambito di intervento. Non parlo per gli altri, e dico la mia opinione da cittadina: non c’è nessun motivo di modificarlo. Se non uno: prolungare la vita di questo governo, legandola alla riforma costituzionale. Finché questo processo è in corso, il treno va.

Molti costituzionalisti sono contrari alla deroga: definiscono questa norma come “la valvola di sicurezza” della Carta.

Sono assolutamente d’accordo: il 138 è la clausola di salvaguardia, perché regola tempi e modi delle modifiche alla Costituzione. Ridurre l’intervallo tra le due deliberazioni delle Camere sulle leggi costituzionali (da tre mesi a 45 giorni, ndr) è sicuramente un passo che comporta dei rischi. Non c’è nessuna emergenza che lo giustifichi.

Veniamo alla commissione dei saggi. Sul vostro lavoro circolano pochissime informazioni. Sembra quasi che lavoriate in modo carbonaro.

Proprio per rimediare, nei giorni scorsi ho proposto e ottenuto che i resoconti delle nostre riunioni venissero pubblicate su Internet (sul sito rifor  mecostituzionali.gov.it  ). Ci deve essere trasparenza su quello di cui discutiamo.

Alcuni, tra cui i Cinque Stelle, avevano proposto la diretta streaming dei lavori.

Sono contraria. Con la diretta tv tutti rimarrebbero troppo influenzati. Nessuno parlerebbe in modo sincero, perché penserebbe ai possibili effetti sul pubblico.

Di cosa state discutendo?

Gli argomenti sono quattro: bicameralismo, Titolo V (Regioni, Province, Comuni, ndr), forma di governo e legge elettorale.

È vero che lavorate a una riforma presidenzialista?

Stiamo discutendo con ampia diversità di opinioni. Vi sono posizioni semipresidenzialiste e altre che vogliono il rafforzamento e la razionalizzazione del Parlamento.

Lei è contraria al semipresidenzialismo?

Sì, perché ritengo rappresenti una forma di sfiducia verso la politica, come luogo di mediazione e rappresentanza delle diverse opinioni. Inoltre, nel semipresidenzialismo il potere esecutivo ha un peso eccessivo. Preciso anche un’altra cosa. Molti spingono per una riforma di questo tipo, sostenendo che dobbiamo armonizzarci con il resto d’Europa. Ma il semipresidenzialismo negli altri Paesi è l’eccezione, non la regola.

Ci sono punti su cui voi saggi concordate?

Molti di noi sono concordi sul-l’esigenza di passare da un bicameralismo perfetto, come quello attuale, a un sistema con un Senato delle autonomie. Due Camere con le stesse competenze esistono solo in Italia. Inoltre siamo d’accordo sulla necessità di ridurre il numero di parlamentari. Anche se su questo punto non bisogna esagerare.

Il ddl costituzionale prevede un comitato dei 42 che preparerà la riforma. Poi dovrà essere approvata dal Parlamento, ma con poche possibilità di intervento: per esempio, ci saranno grandi limiti agli emendamenti. Non teme una riforma blindata?

Sì, e per questo spero che venga dato ampio spazio al dibattito. La Costituzione è troppo importante per essere oggetto di tentativi di forzatura. (di Luca De Carolis da “Il Fatto” del 31 luglio 2013)