Il processo per la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema è da rifare

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In Germania fin dagli anni cinquanta Karlsruhe è conosciuta come «la Città del Diritto» in quanto ospita le sedi della Corte costituzionale Federale e della Corte di Giustizia Federale. E per questa cittadina di 300.000 abitanti del land Baden-Wuttemberg sembrano incrociarsi, a settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il passato e il presente dell’Europa sia nella sua memoria storica di continente lacerato dal conflitto contro il nazifascismo sia nella sua prospettiva di unità politica futura.
A febbraio 2014 la Corte Costituzionale Federale aveva rinviato alla Corte Europea il giudizio sulla legittimità dell’Outright Monetary Transaction (Omt) il piano d’intervento straordinario di acquisto di titoli di Stato di paesi in difficoltà che il governatore della Bce Mario Draghi, osteggiato dal «falchi» della Bundesbank con a capo Jens Weidmann, aveva prospettato nel 2012 in piena crisi dell’eurozona. Una scelta che affondando le mani nel presente ha permesso di contenere la «tempesta perfetta», mantenere in piedi la moneta unica e offrire, in ultima istanza, ancora una possibilità al futuro progetto di unità politico-economica continentale. Ieri la Corte di Giustizia Federale le mani le ha affondate nel passato prossimo dell’Europa, quello dell’occupazione nazista e delle stragi di civili, ed ha annullato la decisione della procura generale di Stoccarda che nel maggio 2013 aveva disposto l’archiviazione del procedimento per la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 che provocò 560 morti.
Il processo in Germania si riaprirà ad Amburgo dove sono stati trasmessi gli atti a causa della presenza in quella città di uno degli imputati, Gherard Sommer, mentre in Italia la vicenda giudiziaria si era conclusa nel 2005 con la condanna definitiva di dieci membri delle Schutzstaffeln (SS) tedesche.
La storia molto prima delle sentenze dei tribunali si era premurata di scrivere pagine fondamentali su quelle vicende, sulla loro natura e sulla loro eredità collettiva e memoriale nonché sui motivi, prevalentemente legati alla «ragion di Stato» e agli equilibri geopolitici della Guerra Fredda, dei mancati processi ai criminali di guerra tedeschi e italiani. Ora a fianco ad una sfera giuridica a cui rimane comunque il compito dovuto di consegnare una sentenza, altra cosa sarebbe stata la giustizia da perseguire nell’immediato dopoguerra con altri effetti politici, è la lettura che un fatto del genere proietta nel presente ad interrogare i contemporanei.
E così nel suo continuo ondeggiare tra passato e presente la Germania sembra di nuovo divenire specchio della condizione di un continente investito dalla crisi economica e da una complessa transizione caratterizzata dalle tendenze a un rigido assetto monetarista e dalla riemersione di fenomeni xenofobi e di estrema destra alimentati proprio politica dell’austerità. Un’Europa però legata nello stesso tempo alla necessità irrinunciabile di determinare una coesione politica basata su una ricostruzione unitaria, non necessariamente condivisa, della sua storia.
Così, rifuggendo dalla tentazione di utilizzare come una clava il debito della Germania con la storia, recente è la polemica sui risarcimenti di guerra rivendicati dalla Grecia durante la somministrazione della «cura economica» della Troika ad Atene, allo stesso tempo la declinazione del presente dovrebbe indicare alla Germania una linea di ridefinizione del proprio ruolo scevro dagli spettri del passato imperiale del Reich. In questo senso un tratto unico e unitario della storia del continente, in grado cioè di segnarne un profilo identitario riconosciuto e riconoscibile è rappresentato dall’antifascismo e dalla guerra contro la Germania hitleriana e l’Italia di Mussolini. Un’istanza di carattere internazionale che divenuta movimento reale percorse trasversalmente tutte le società europee sostituendo il paradigma nazionalista e della fedeltà fideistica alla patria, fosse anche quella nazista, con quello valoriale che poneva i diritti delle persone e dei popoli al di sopra del primato dell’identità nazionale. Ogni partigiano, antifascista o antinazista europeo si batté contro la propria patria non per determinarne la morte, come in tempi di revisionismo prepotente si prova a dire oggi, ma per rifondarla su nuovi valori. Proprio nel ferro e nel fuoco di quella grande e drammatica storia nacque nel confino fascista di Ventotene l’idea stessa dell’Europa unita. La «Città del Diritto» non restituisce solo un processo da fare e non relega la sua attenzione alla sfera privata dei parenti delle vittime. La decisione di riaprire il procedimento ad Amburgo offre, di nuovo, l’occasione di fare i conti con la storia, di riaprire gli armadi della vergogna per guardarci dentro, conoscere da dove veniamo e capire dove si vuole andare.
In questo modo, utilizzando l’eredità del passato come leva dell’azione del presente e non come retorica celebrativa è possibile rendere giustizia ai morti di Sant’Anna di Stazzema e delle tante altre stragi nazifasciste perpetrate in Italia e nel resto Europa. (Davide Conti, Il Manifesto del 7 agosto 2014)

Intervista a Franco Giustolisi:

Giornalista da più di mezzo secolo, scrittore e storico per vocazione (nel 2003 ha partecipato alla scrittura di un volume collettivo sulla strage di Sant’Anna di Stazzema), Franco Giustolisi da vent’anni si batte per rendere pubblici i documenti nascosti nel cosiddetto «Armadio della vergogna». Si tratta di un armadio “scoperto” nel 1994 a palazzo Cesi Gaddi di Roma (sede di vari organi giudiziari militari) dove erano stati “dimenticati” centinaia di fascicoli giudiziari e migliaia di notizie di reato relative ai crimini commessi in Italia durante l’occupazione nazifascista.

Una buona notizia arriva dalla corte federale di Karlsruhe.

La riapertura delle indagini contro il nazista Gherard Sommer, già condannato in Italia per l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, è importante perché in primo grado avevano addirittura assolto tutti gli assassini. Significa che la Germania continua a far bene il suo lavoro e a fare i conti con la sua storia, senza badare a sovrastrutture di alcun tipo. L’Italia, invece, continua a tacere. Ultimamente mi ha molto colpito l’intervento del ministro degli esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, quando a Civitella di Val di Chiana, altro luogo dove ci fu una strage orribile, ha detto che non riusciva a concepire ciò che ha potuto fare il popolo tedesco. Come non riesce a concepire? Anche se poi si è scusato, mi lascia un po’ sgomento il fatto che un ministro tedesco esprima stupore, quanto al nostro ministro degli esteri, Federica Mogherini, in quell’occasione non ha aperto bocca. E dire che il ragazzotto fiorentino la vorrebbe ministro in Europa.

Cosa avrebbe dovuto dire?

Almeno che le sentenze si devono rispettare. Tutti i processi ai gerarchi nazisti si sono svolti nel modo più garantista possibile, tanto che la Germania non ha mai avuto nulla da eccepire. Mi sa che regalerò ai due ministri una copia del libro sulla strage di Sant’Anna di Stazzema

Quella drammatica vicenda è nella storia, ma quante altre stragi anche sconosciute sono state compiute dai nazifascisti?

Nell’armadio della vergogna ne sono state censite oltre mille e altri eccidi documentati e accertati non fanno nemmeno parte di quell’elenco. La nostra è una storia orribile ancora da scrivere e da divulgare.

L’argomento in Italia è a dir poco sottaciuto. Non solo non se ne parla, ma negli ultimi anni siamo stati travolti da un’ondata revisionista piuttosto volgare che scredita l’antifascismo. Resta ancora qualcosa di utile da fare?

Secondo me l’approdo naturale per rifare la storia di queste vicende ha bisogno di pochi punti fermi. La conta di tutte le vittime delle stragi, perché ancora oggi non conosciamo il numero dei morti. La richiesta di un perdono ufficiale, perché per cinquanta anni sono stati nascosti i fascicoli, e ricordo ancora le parole del presidente Ciampi che si era pronunciato favorevolmente. L’esecuzione di tutte le sentenze. E una giornata della memoria. Insomma, la fine del silenzio. La cosa più strana è che non si parla della più grande tragedia della storia italiana. Una vergogna.

Cosa intende per rendere esecutive le sentenze?

Se tizio merita l’ergastolo, ergastolo deve essere. Alla Germania non si chiede l’estradizione, basta che la sentenza venga applicata con gli arresti domiciliari. Altrimenti che senso ha? Sono persone anziane che già passano quasi tutto il tempo in casa, che ci stiano per un altro motivo.

Giovani e anche meno giovani sanno poco. Cosa bisogna fare perché la storia non rimanga stampata solo nei libri o sulle carte di una sentenza?

Parlarne, e parlarne ancora. Tutti adesso rileggono la storia della prima guerra mondiale, qualcuno mi deve spiegare perché invece nessu­no ha voluto parlare dell’Armadio della vergogna. Sono passati tanti anni, credo che non sia nessun motivo per mantenere il silenzio. L’Anpì sarebbe il naturale depositario di questa ricostruzione storica, eppure di certi argomenti non vogliono parlare. A febbraio, con i sindaci di alcune località colpite dalla violenza nazifascista, e con i presidenti di Emilia Romagna e Toscana, le regioni più colpite, ho scritto una lettera al Quirinale: ancora non ho ricevuto risposta. Mi chiedo se ci sia qualcosa da nascondere.

Intervista di Luca Fazio da Il Manifesto del 7 agosto 2014

3 agosto: commemorazione 70° dell’eccidio dei 7 Martiri a Venezia

monumento-alla-partigiana-a-veneziaNon dimentichiamoci, in questo particolare momento, di chi ha donato vita e giovinezza alla nostra libertà che dobbiamo continuare a difendere, oggi più che mai!

ore 18.15 concentramento in via Garibaldi presso la sede dell’ANPI 7 Martiri
ore 18.30 partenza del corteo per i monumenti alla Partigiana e Riva dei Sette Martiri;
ore 19.00 commemorazione ufficiale c/o la lapide dei Martiri.

Saranno presenti il Sub Commissario del Comune di Venezia , Sergio Pomponio, il vicepresidente dell’ANPI provinciale di Trento, Mario Cossali, il presidente dell’ANPI provinciale di Venezia, Diego Collovini, la Presidente della Sezione ANPI 7 Martiri, Lia Finzi, il direttore dell’IVESER, Marco Borghi, e Annamaria Gelmi, nipote dei martiri/fratelli Alfredo e Luciano Gelmi.

Un ringraziamento particolare al maestro vetraio Massimo Costantini e a Gianni Foffano per aver eseguito, a titolo gratuito, le nuove splendide fiammelle votive della lapide dei Sette Martiri.

COSA ACCADDE QUEL 3 AGOSTO DEL 1944
Si fece festa grande, con abbondanti bevute, la notte sul 2 agosto 1944, sulle navi della Marina germanica attraccate alla Riva dell’Impero. Ma quando ci si accorse della sparizione di una sentinella di motovedetta, il Comando germanico non esitò a decidere la rappresaglia, che si abbatté su sette detenuti politici a Santa Maria Maggiore.
Essi erano:
Aliprando Armellini, 24 anni, di Vercelli, partigiano combattente; Gino Conti, 46 anni, animatore della Resistenza nel Cavarzerano; Bruno De Gasperi, 20 anni, di Trento; i fratelli Alfredo Gelmi, 20 anni, e Luciano Gelmi, 19 anni, di Trento (i tre giovani trentini erano renitenti alla leva di Salò); Girolamo Guasto, 25 anni, di Agrigento; Alfredo Vivian, 36 anni, veneziano, operaio alla Breda, comandante militare partigiano nella zona del Piave, l’unico dei sette già condannato a morte per l’uccisione di un marinaio tedesco a Piazzale Roma il 13 dicembre 1943, e l’unico a essere indicato dal Comando tedesco, mentre gli altri sei furono segnalati dalla Questura e dal Comando della Guardia nazionale repubblicana. L’esecuzione volle essere anche una plateale “lezione” per gli abitanti di Via Garibaldi, da sempre zona antifascista. All’alba del 3 agosto pattuglie tedesche perquisirono le case, rastrellando oltre 500 persone – uomini e donne – che furono allineate lungo la Via, mani in alto e faccia al muro, e così rimasero per due ore, prima di essere costrette ad assistere alla fucilazione, dopo la quale 136 uomini furono condotti in carcere come ostaggi. Alle sei del mattino, i Sette Martiri, come subito li chiamò la voce di popolo, furono disposti in fila, legati tra loro con le braccia distese, schiena alla laguna, tra due pali eretti sulla Riva. Un ufficiale tedesco lesse ad alta voce la sentenza e ordinò il fuoco al plotone di 24 soldati, davanti alla folla atterrita. Il cappellano del carcere, don Marcello Dell’Andrea, che aveva accompagnato in motoscafo i condannati, confessandoli e comunicandoli (soltanto Vivian si disse “non professante”), tenne alto il Crocefisso; un attimo prima della scarica dei fucili, Vivian gridò “Viva l’Italia libera” e un altro condannato implorò “Vendicateci”. Con scope e secchi d’acqua, alcuni bambini furono costretti dai tedeschi a ripulire la Riva dalle chiazze di sangue. Pochi giorni dopo, le acque della laguna restituirono il corpo della sentinella tedesca. Non aveva ferite: il marinaio era caduto in acqua ubriaco ed era annegato. Era stata rappresaglia di guerra, e a conflitto concluso non ci fu processo. Soltanto tre giovani donne, alla cui delazione si doveva la cattura di tre dei Martiri furono condannate nel 1947 a otto anni di carcere, pena meramente simbolica per la sopravvenuta amnistia, che rese vano anche il processo contro il brigatista nero che aveva arrestato Conti.
[Testo di Leopoldo Pietragnoli]

Inaugurazione della targa in memoria di “Piuma” e “Cristallo”

BARI Manif Targa RV APPROVATA 17lug14Giorgio Gherlenda “Piuma”, Alvaro Bari “Cristallo” e Gastone Velo “Nazzari” furono arrestati mentre rientravano da un’azione nella valle del Primiero, dove i partigiani volevano liberare la moglie di un generale tedesco aderente alla congiura per il fallito attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler. Nelle celle della caserma Zannettelli di Feltre, il maresciallo della Gestapo Wilhelm “Willy” Niedermayer li interrogò sotto tortura. Gastone Velo “Nazzari” riuscì incredibilmente a fuggire nottetempo dalla prigione di Feltre ma non ebbe modo di liberare i compagni. Lui stesso fu fucilato un paio di mesi più tardi a Castel Tesino (Trento) dove venne catturato l’8 ottobre 1944 durante un rastrellamento da miliziani nazisti locali del Corpo di sicurezza trentino (Cst), mentre cercava riparo con la nota partigiana Clorinda Menguzzato “Veglia” (violentata, torturata e uccisa il 10 ottobre 1944).
Bari e Gherlenda furono fucilati dagli uomini di Willy sul ponte di Cesana (Lentiai, Belluno) il 5 agosto 1944: le due salme furono gettate nel Piave e vennero recuperate il giorno dopo da persone del luogo e consegnate pietosamente ai famigliari.

Il 2 agosto alle ore 10.30 presso il ponte vecchio di Cesana – Busche verrà inaugurata una targa ricordo nel punto dove furono fucilati i due partigiani. Interverrà Giovanni Perenzin, presidente dell’Anpi di Belluno.

Aggiornamento: le foto della cerimonia

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Salviamo il popolo di Gaza

ICRC visit besieged Al Aqsa Hospital in Deir Al Balah - GazaAppello di scienziati, ricercatori e medici apparso sulla rivista “Lancet”:

Salviamo il popolo di Gaza
Siamo medici e scienziati che spendono la loro vita nella cura e nella tutela della salute e della vita umana. Siamo inoltre persone informate; insegniamo l’etica delle nostre professioni, insieme alla sua conoscenza e pratica. Tutti noi abbiamo lavorato a Gaza e da anni conosciamo la sua situazione.
Sulla base della nostra etica e della nostra pratica, denunciamo ciò a cui stiamo assistendo nell’aggressione di Gaza da parte di Israele. Chiediamo ai nostri colleghi, professionisti giovani e anziani, di denunciare l’aggressione israeliana. Sfidiamo la perversità di una propaganda che giustifica la creazione di una situazione di emergenza per mascherare un massacro, una cosiddetta «aggressione difensiva». In realtà è uno spietato assalto di durata, portata e intensità illimitate.
Desideriamo riferire i fatti così come li vediamo e le loro implicazioni sulla vita di un popolo.
Siamo sconvolti per l’assalto militare su semplici civili a Gaza con il pretesto di punire i terroristi. Questo è la terza aggressione militare su vasta scala a Gaza dal 2008. Ogni volta il bilancio delle vittime è costituito principalmente da persone innocenti a Gaza, in particolare donne e bambini, sotto il pretesto inaccettabile di Israele di sradicare i partiti politici e la resistenza all’occupazione illegale e all’assedio imposto da Israele.
Questa azione terrorizza anche coloro che non sono direttamente colpiti, e ferisce l’anima, la mente e la resilienza delle giovani generazioni. La nostra condanna e il disgusto sono ulteriormente aggravati dal rifiuto e dal divieto a Gaza di ricevere aiuti e rifornimenti esterni per alleviare questa terribile situazione.
Il blocco su Gaza è stato ulteriormente inasprito rispetto all’anno scorso e questo ha peggiorato il prezzo pagato dalla popolazione. A Gaza, la gente soffre a causa della fame, della sete, della mancanza di farmaci, dell’inquinamento, della mancanza di energia elettrica, dall’assenza di qualsiasi mezzo per ottenere un reddito, non solo per le bombe e le granate. Mancanza di elettricità, carenza di benzina, scarsità di cibo e acqua, straripamento di fogne, risorse e posti di lavoro sempre più scarsi, sono tutti disastri causati direttamente e indirettamente dall’assedio.
Lottare o morire, nessun’altra scelta
La gente di Gaza sta resistendo a questa aggressione perché vuole una vita migliore e normale e, pur piangendo nel dolore, sofferenza e terrore, rifiuta una tregua temporanea che non prevede una possibilità reale per un futuro migliore. Una voce sotto gli attacchi a Gaza è quella di Um Al Ramlawi che parla per tutti quelli di Gaza «Ci stanno ammazzando tutti comunque – che sia una morte lenta per l’assedio, o una rapida da attacchi militari. Non abbiamo nulla da perdere — dobbiamo lottare per i nostri diritti, o morire».
Gaza è bloccata per mare e terra dal 2006. Qualsiasi persona di Gaza, compresi i pescatori, che si avventuri al di là di 3 miglia nautiche dalla costa di Gaza rischia di essere colpita dalla marina israeliana. Nessuno può uscire da Gaza attraverso gli unici due posti di blocco, Erez o Rafah, senza autorizzazione speciale degli israeliani e degli egiziani, difficile se non impossibile per molti da ottenere.
La gente di Gaza non è in grado di andare a studiare all’estero, di lavorare all’estero, di visitare le proprie famiglie all’estero, o svolgere attività all’estero, per non parlare di andare in vacanza. Persone ferite e malate, inoltre, non possono con facilità uscire per ottenere cure specialistiche al di fuori di Gaza e molti sono morti per questo. L’entrata di cibo e medicine a Gaza è limitata e molti beni essenziali per la sopravvivenza sono vietati. Prima dell’attacco attuale, i materiali nei magazzini medici a Gaza erano già a un minimo storico a causa del blocco. Ora sono ormai tutti esauriti. Allo stesso modo Gaza non è in grado di esportare i suoi prodotti. Poco prima dell’attacco, Israele ha anche ulteriormente ridotto il tenue flusso di merci consentite verso Gaza. L’agricoltura è stata gravemente compromessa dall’imposizione di una zona cuscinetto ed è ormai quasi completamente ferma. Olivi e alberi da frutto sono sradicati dai militari. I prodotti agricoli non possono essere esportati a causa del blocco. L’ottanta per cento della popolazione di Gaza dipende dalle razioni di cibo delle Nazioni unite.
Gran parte degli edifici e delle infrastrutture di Gaza erano state distrutte durante l’Operazione Piombo Fuso del 2008–9, ma i materiali da costruzione sono stati bloccati in modo che le scuole, le case e le istituzioni non possono essere adeguatamente ricostruite. Le fabbriche distrutte dai bombardamenti sono state raramente ricostruite aggiungendo disoccupazione alla miseria.
La riconciliazione respinta da Israele
Nonostante le difficili condizioni, la popolazione di Gaza e i loro leader politici hanno recentemente cercato di risolvere i loro conflitti «senza armi e senza danno» attraverso un processo di riconciliazione tra le fazioni, in cui la loro leadership ha rinunciato a titoli e posizioni, in modo da formare un governo di unità nazionale abolendo la politica di divisione tra fazioni che opera dal 2007. Questa riconciliazione, se pur accettata da molti nella comunità internazionale, è stata immediatamente respinta da Israele. Gli attacchi israeliani bloccano questa opportunità di unità politica tra Gaza e la Cisgiordania e colpiscono una parte della società palestinese distruggendo le vite della gente di Gaza. Sotto il falso pretesto di eliminare il terrorismo, Israele sta cercando di distruggere la crescente unità palestinese. Tra le altre menzogne, si afferma che i civili di Gaza sono ostaggio di Hamas, quando la verità è che la Striscia di Gaza è ermeticamente chiusa dagli israeliani e dagli egiziani.
Nessun rifugio sicuro per gli sfollati
Gaza è stata bombardata ininterrottamente negli ultimi 14 giorni, seguiti ora dall’invasione su terra di carri armati e migliaia di soldati israeliani. A più di sessantamila civili provenienti dal nord di Gaza è stato ordinato di lasciare le loro case in modo da poterle distruggere. Questi sfollati non hanno un posto dove andare, perché la parte centrale e meridionale di Gaza sono sottoposte a pesanti bombardamenti di artiglieria. L’intera Gaza è sotto attacco. L’unico rifugio a Gaza sono le scuole dell’Unrwa, un rifugio incerto già preso di mira durante Piombo Fuso, quando sono state uccise molte persone.
Secondo il Ministero della Salute di Gaza e Ufficio delle Nazioni unite per il Coordinamento degli affari umanitari (Ocha), al 21 luglio, 149 dei 558 uccisi a Gaza e 1.100 dei 3.504 feriti sono bambini.
Quelli sepolti sotto le macerie non sono ancora conteggiati. Mentre scriviamo la Bbc riferisce del bombardamento di un altro ospedale, colpite l’unità di terapia intensiva e le sale operatorie, con la morte di pazienti e personale. Ora si teme per il principale ospedale di Al Shifa. Oltre a tutto ciò, non c’è nessuno a Gaza che non sia psicologicamente traumatizzato. Chiunque abbia più di 6 anni di età ha già vissuto il suo terzo attacco militare da parte di Israele.
Distruggere, ferire l’anima e il corpo
Il massacro a Gaza non risparmia nessuno, e comprende i disabili e i malati negli ospedali, bambini che giocano sulla spiaggia o sul tetto, con una larga maggioranza di non combattenti. Ospedali, cliniche, ambulanze, moschee, scuole e l’edificio della stampa sono stati tutti attaccati, con migliaia di case private bombardate, indirizzando chiaramente il fuoco per colpire intere famiglie uccidendole all’interno delle loro case, e/o privare famiglie delle loro case cacciandole fuori pochi minuti prima di distruggerle. Un’intera area è stata distrutta il 20 luglio, lasciando migliaia di sfollati senzatetto, accanto a centinaia di feriti e uccidendo almeno 70 persone. Questo va ben oltre lo scopo di trovare gallerie. Nessuno di questi è un obiettivo militare. Questi attacchi mirano a terrorizzare, ferire l’anima e il corpo delle persone e rendere perversamente impossibile la loro vita nel futuro, demolendo anche le loro case e impedendo di ricostruirle.
Israele insulta la nostra umanità
Vengono utilizzate armi che, è risaputo, causano danni a lungo termine alla salute di tutta la popolazione; in particolare armi a non frammentazione e bombe a testata pesante. Siamo testimoni del fatto che armi di precisione sono usate indiscriminatamente e sui bambini, e vediamo costantemente armi “intelligenti” sbagliare mira, a meno che non siano volutamente usate per distruggere vite innocenti.
Denunciamo il mito propagato da Israele che l’aggressione avviene «preoccupandosi di salvare le vite dei civili e il benessere dei bambini».
Il comportamento di Israele ha insultato la nostra umanità, intelligenza e dignità, così come la nostra etica e sforzi professionali. Anche quelli di noi che vogliono andare e portare aiuto non sono in grado di raggiungere Gaza a causa del blocco.
Questa «aggressione difensiva» di durata, portata e intensità illimitata deve essere fermata.
Inoltre, qualora l’utilizzo di gas fosse confermato, questo costituirebbe inequivocabilmente un crimine di guerra per il quale, prima di ogni altra cosa, dovranno immediatamente essere decretate severe sanzioni contro Israele con la totale cessazione di qualsiasi accordo commerciale e di collaborazione con l’Europa.
Mentre scriviamo, vengono riferiti altri massacri e minacce al personale medico dei servizi di emergenza e il rifiuto di ingresso per convogli umanitari internazionali. Noi, come scienziati e medici non possiamo tacere mentre questo crimine contro l’umanità continua. Invitiamo anche i lettori a non rimanere in silenzio. Gaza intrappolata sotto assedio viene uccisa da uno delle più grandi e più sofisticate moderne macchine militari del mondo. La terra è avvelenata da detriti di armi con conseguenze per le generazioni future. Se quelli di noi in grado di farsi sentire non lo fanno e non prendono posizione contro questo crimine di guerra, sono anch’essi complici della distruzione delle vite e delle case di 1,8 milioni di persone a Gaza.
Prendiamo inoltre atto con disappunto che solo il 5% dei nostri colleghi accademici israeliani hanno firmato un appello al loro governo per fermare l’operazione militare contro Gaza. Siamo tentati di concludere che, con l’eccezione di questo 5%, il resto degli accademici israeliani sono complici nel massacro e la distruzione di Gaza. Ravvisiamo anche la complicità dei nostri paesi in Europa e in Nord America in questo massacro e ancora una volta l’impotenza delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali nel fermarlo.

Paola Manduca, Professor of Genetics, University of Genoa, Italy; Sir Iain Chalmers, James Lind Library, Oxford; Mads Gilbert, Professor and Clinical Head, Clinic of Emergency Medicine, University Hospital of North Norway; Derek Summerfield, Institute of Psychiatry, King’s College,London; Ang Swee Chai, Consultant Orthopaedic Surgeon, London; Alastair Hay, Dept of Environmental Toxicology, University of Leeds; Steven Rose, Emeritus Professor of Life Sciences, Open University; Hilary Rose, Professor Emerita, University of Bradford. Angelo Stefanini, MD, Public Health, Bologna, Italy; Andrea Balduzzi, Zoologist, University of Genoa, Italy; Bruno Cigliano, MD, Paediatric Surgeon, University of Naples “Federico II”, Italy; Carmine Pecoraro, MD, Nephrologist, Santobono Children Hospital, Naples, Italy; Emilio Di Maria, MD PhD, Medical Genetics,University of Genoa, Italy; Franco Camandona, MD, Gynaecologist, ASL3, Liguria, Italy; Guido Veronese, MD, Clinical Psychologist, University of Milan-Bicocca, Italy; Luca Ramenghi. MD, Neonatology, Gaslini Childrens’ Hospital, Genoa, Italy; Marina Rui, Chemist, University of Genoa, Italy; Pierina DelCarlo, MD, Paediatrician, Massa, Italy; Sergio D’agostino, MD, Paediatric Surgeon, Hospital Vicenza, Italy; Silvana Russo, MD, Pediatric Surgeon, Santobono Children Hospital, Naples, Italy; Vincenzo Luisi, MD, Paediatric Cardiac surgeon, Massa Hospital, Italy; Stefania Papa, Environmentalist, University of Naples, Italy; Vittorio Agnoletto, MD, University Statale, Milan, Italy; Mariagiulia Agnoletto, Psychiatrist, Milan, Italy.

http://www.thelancet.com/gaza-letter-2014

 

Lorenza Carlassare: Così si strozza la democrazia

costituzione_italianaProfessoressa Lorenza Carlassare da costituzionalista come giudica la decisione di contingentare i tempi della discussione sulla riforma?

E’ una decisione contraria alla Costituzione. Non mi era mai venuto in mente che nella revisione di una legge costituzionale si potesse agire in questo modo. Strozzare un dibattito su una riforma che deve essere votata con una maggioranza elevata proprio perché sia ragionata e condivisa. Mi sembra una cosa inaudita. Soprattutto considerando che risulta implicitamente escluso dalla stessa
Costituzione, che prevede appunto maggioranze molto elevate, due distinte delibere per ogni camera con uno scopo preciso: garantire che la riforma venga meditata, discussa e approvata da una maggioranza larga, non da una maggioranza artificiale che forza gli altri, una minoranza prefabbricata che vuole imporre la sua volontà. Il disprezzo del dissenso e la volontà di soffocarlo è propria dei sistemi autoritari. Non è lo spirito della Costituzione.

Il problema forse è all’origine: ci troviamo di fronte a una riforma costituzionale che non nasce dal parlamento ma viene dettata dal governo.

Anche questa è un’anomalia. Purtroppo negli ultimi anni ne abbiamo viste tantissime. Il governo si è impadronito di tutte le funzioni del parlamento e lo ha esautorato. Della funzione legislativa si è impadronito totalmente facendo solo decreti legge e ora s’ impossessa anche della revisione costituzionale. Tutto quello a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi lascia sgomenti.

Vede dei rischi in questo modo di procedere da parte di governo e maggioranza?

Da tanto tempo vedo rischi, perché questa forzatura deriva dal fatto che non si vuole accettare il dialogo, che si vedono gli emendamenti e le proposte degli altri come un impaccio, un ostacolo, dei sassi sui binari da rimuovere, come ha detto Renzi. Ma gli argomenti degli altri non sono da rimuovere, sono da considerare ed eventualmente da confutare con argomenti idonei, altrimenti che
democrazia è? Oltre tutto si tratta di una riforma che fa parte di un programma più ampio di cui non sappiamo nulla.

Si riferisce al patto del Nazareno?

Questo patto Berlusconi-Renzi, che poi è Berlusconi-Verdini-Renzi che cosa significa? E’ un patto fra soggetti dei quali uno non aveva e non ha funzioni politiche istituzionali di alcun genere; ha perduto anche il titolo di senatore. Allora la domanda è: cosa c’è in questo patto? Un patto tra due partiti si può anche ammettere se è trasparente, ma un accordo segreto di cui ogni tanto trapelano alcune notizie ma del quale si esige che sia assolutamente rispettato alla lettera, no. Mi chiedo ancora: siamo in un Paese democratico o no?

Però il ministro Boschi di fronte alle accuse di autoritarismo risponde che si tratta di allucinazioni.

Penso che il ministro Boschi, della cui buona fede non dubito, non abbia nessuna idea di cosa è la democrazia e soprattutto che cosa è la “democrazia costituzionale”, che non vuol dire dominio della maggioranza. Quello che offende è la menzogna, continuamente ripetuta, che chi propone modifiche non voglia le riforme: tutti vogliono la riforma del bicameralismo attuale! Ma molti non vogliono la soluzione imposta. Perché il governo non vuole il Senato elettivo come negli Stati Uniti, con un numero ristretto di senatori eletti dai cittadini delle diverse regioni? Perché no?

Lei che risposta si dà?

Si vuol togliere la parola al popolo. Quanto sta accadendo va messo insieme alla legge elettorale con l’8% di sbarramento; si vuole chiudere la bocca alle minoranze, e non solo a minoranze esigue: la soglia dell’8% non è certo leggera. Si vuole fare una Camera interamente dominata dai due partiti dell’accordo, due partiti che poi sono praticamente uno perché lavorano insieme, in stretto accordo, quindi siamo arrivati al partito unico.

O magari al partito nazionale di cui parla Renzi.

Una cosa che mi fa venire i brividi. La democrazia costituzionale è necessariamente pluralista, perché gioca anche sull’articolazione politica del sistema e del parlamento, sulla possibilità di un dialogo e di un dissenso. Qui invece si parla di partito nazionale. Credo che per qualcuno si tratti di scarsa conoscenza e di scarsa dimestichezza con il costituzionalismo, per qualcun altro purtroppo no.

In questo rientra anche la decisione di innalzare da 500 a 800 mila le firme necessarie per proporre un referendum abrogativo?

Siamo sempre nella stessa logica di riduzione del peso del popolo, che evidentemente dà fastidio e bisogna tacitarlo. La gente chiede lavoro, è preoccupata per la chiusura delle fabbriche e i governanti si impuntano esclusivamente su queste cose. La riforma costituzionale serve certamente al fine di poter esercitare il potere con le mani libere, senza gli impacci della democrazia costituzionale. Però c’è anche un’altra ragione di fondo, ed è che la riforma è un bello schermo per nascondere il fatto che sugli altri piani non si fa niente. L’economia è andata più a rotoli che mai, finora si è fatto solo un gran parlare, un chiacchierare arrogante e assolutamente inutile.

Però seimila emendamenti sono tanti. L’opposizione non sta esagerando?

L’opposizione non ha altre armi perché il dialogo la maggioranza non lo vuole, ha detto subito che “chi ci sta, ci sta”. E gli altri, evidentemente, se “non ci stanno” a votare ciò che il governo vuole “se ne faranno una ragione”! In tale situazione chi vorrebbe una riforma diversa non può fare altro che rendere faticoso il percorso per indurre la maggioranza a riflettere su quello che fa e, per non veder fallire tutto, ad accettare qualche modifica. Ripeto ancora ciò che più volte ho detto: se vogliono fare un Senato con i rappresentanti delle regioni e degli enti locali non eletti dal popolo, lo facciano pure, però non possono attribuire a quest’organo funzioni costituzionali. Non possono dargli la possibilità di legiferare al massimo livello. A un simile Senato, fatto da persone che non ci rappresentano, dominate dai capi partito, si vuole invece assegnare il potere di revisione costituzionale, di partecipare all’elezione del presidente della Repubblica e di altri alti organi costituzionali. E’ assurdo. Facessero allora un Senato che è espressione delle autonomie con funzioni limitate alle necessità di raccordo con le autonomie locali. Altrimenti, se gli si vogliono attribuire funzioni costituzionali, deve essere elettivo. Ma, se non è possibile discutere di questo e di altri punti significativi, allora non resta altro
da fare che proporre emendamenti a raffica.

Intervista di Carlo Lania da “Il Manifesto” del 25/7/14

Mostra: “Le atomiche di Hiroshima e Nagasaki”

mostra hiroshimaDal 2014 il Comune di Mirano aderisce ufficialmente a Mayors for Peace (www.mayorsforpeace.org), l’organizzazione non governativa fondata dalle città di Hiroshima e Nagasaki con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020 e di promuovere la realizzazione di questo obiettivo (“Visione 2020”). L’ONG inoltre, mira a realizzare una pace mondiale duratura attraverso la solidarietà tra le Città del Mondo.
La Città di Mirano ospiterà dal 26 luglio al 7 agosto 2014 la mostra “The AtomicBombings of Hiroshima and Nagasaki Poster Exhibition”, una mostra promossa da Mayors for Peace al fine di accrescere la consapevolezza nell’opinione pubblica mondiale della necessità di abolire le armi nucleari.

Sabato 26 luglio 2014 alle ore 11 a Mirano nella Sala Consiliare in Via Bastia Fuori 54 ci sarà l’inaugurazione ufficiale della mostra: interverranno Maria Rosa Pavanello, sindaca di Mirano, Diego Collovini, presidente dell’Anpi provinciale, Gian Antonio Danieli, già segretario dell’ International Physicians for the Prevention of Nuclear War – Premio Nobel per la Pace 1985. La mostra rimarrà aperta fino al 9 agosto prossimo ogni giorno dalle 17.00 alle 19.00. Durante la mostra ci sarà una raccolta firme per l’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020.

Lettera della sindaca Maria Rosa Pavanello:

img058 Il testo della petizione per chiedere una convenzione sulle armi nucleari:

img056Raccolta firme per la stessa petizione:

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28 luglio 1944: i 13 martiri di Ca’ Giustinian

13 martiriLa mattina del 26 luglio 1944, 2 partigiani (Franco Arcalli “Kim” e un’altra persona di 40 anni della quale non si conosce l’identità) appartenenti ad un Gap veneziano – comandato dal partigiano azionista Aldo Varisco e appoggiato soprattutto dal socialista Giovanni Tonetti, il famoso “Conte rosso” – fecero un attentato dinamitardo contro la sede provinciale della Gnr (Guardia Nazionale repubblicana) a Ca’ Giustinian. La bomba di 80 kg fu trasportata all’interno dell’edificio in un baule, contenente sulla targhetta l’indirizzo di un ufficio di propaganda tedesco situato all’interno del palazzo. Così si evitò di insospettire i fascisti.
Il palazzo di Ca’ Giustinian dopo la nascita della Rsi divenne sede della Gnr veneziana.
All’interno del palazzo aveva sede l’Upi, (l’ufficio politico investigativo) cioè la polizia segreta fascista, dove furono torturati molti antifascisti e dove venivano decise le peggiori azioni criminali da parte fascista. Era il simbolo della repressione fascista insieme a Ca’ Littoria (sede del Pnf).
L’esplosione fu talmente forte da essere udita in quasi tutta la città e da danneggiare anche il vicino Hotel Bauer. Le vittime furono 14 tra militi e ausiliari fascisti.
La reazione fascista non si fece attendere.
Il Capo della provincia Piero Cosmin scrisse un comunicato dove si leggeva: “Venezia accomuna nell’identità del sacrificio i soldati germanici e i militi della Guardia nazionale repubblicana caduti sul posto del dovere. Vorremmo vedere il volto di questi criminali, vorremmo vedere se effettivamente appartengono alla razza umana tanto il loro gesto tradisce l’istinto di una bestia scatenata alla più bieca ferocia”. E il 28 luglio sul Gazzettino si legge un altro comunicato della Gnr: “La esecranda ed infame azione dinamitarda, che ha gettato nel lutto parecchie famiglie, compiuta il 26 u.s, da criminali al soldo del nemico, ha avuto come obiettivo principale la sede del comando provinciale della GNR in palazzo Giustinian. Non pietà per innocenti ed ignari, non scrupolo per la soppressione violenta di tante umili esistenze, han fermato la mano assassina di chi con freddo animo ha compiuto il gesto nefando, uccidendo i fratelli per obbedire al nemico”.
L’ipocrisia fascista si manifesta anche e soprattutto nelle parole: i fascisti morti vengono definiti vittime innocenti, militi caduti sul posto del dovere; mentre i partigiani vengono definiti criminali, assassini e bestie feroci.
Infine il comunicato fascista annuncia: “La coincidenza vuole che il Tribunale straordinario di guerra sia oggi chiamato a giudicare vari elementi, già assicurati alla giustizia della GNR, responsabili di complotto contro lo Stato repubblicano e autori confessi di azioni dinamitarde. L’esecuzione della sentenza che verrà emanata dal Tribunale speciale, sarà eseguita sulle stesse macerie di palazzo Giustiniani”.
Infatti, 13 partigiani rinchiusi nel carcere S. Maria Magggiore di Venezia furono scelti per rappresaglia, anche se non erano coinvolti nell’attentato di Ca’ Giustinian e non pendeva su di loro nessuna accusa particolare se non quella di essere antifascisti.
All’alba del 28 luglio i 13 partigiani furono fucilati sulle macerie di Ca’ Giustinian e fucilati.

I loro nomi sono:

Gustavo Levorin, nato a Padova di 39 anni, operaio tipografo e segretario della Federazione veneziana del Pci. Arrestato nel Gennaio del 1944 e torturato.

Giovanni Felisati, nato a Mestre di 35 anni, operaio della fabbrica Montevecchio, comunista.

Francesco Biancotto, nato a S. Donà di Piave di 18 anni, falegname comunista. Un giovane molto coraggioso. Arrestato, gli fu promessa la libertà immediata in cambio di una confessione; lui rispose: “Fucilatemi pure, se volete, ma io non tradirò mai i miei compagni”. Mentre veniva trasportato nel luogo della fucilazione, cantava Bandiera rossa.

Stefano Bertazzolo, nato a Carrara S. Giorgio (Padova) di 25 anni, residente a S. Donà di Piave. Contadino e comunista da tempo malato di tubercolosi.

Attilio Basso, nato a S. Donà di Piave di 22 anni, impiegato cattolico e comunista. Gli era appena nato un figlio.

Giovanni Tamai, nato a S. Donà di Piave di 20 anni, operaio tessile e comunista.

Angelo Gressani, nato ad Ovaro(Udine) di 48 anni, orologiaio e comunista.  Residente a Ceggia, riparava e collaudava le armi del suo gruppo d’azione.

Enzo Gusso, nato a S. Donà di Piave di 31 anni, del partito d’Azione. Impiegato; davanti alle torture, rispondeva:”Sono antifascista e odio i tedeschi perché proteggono i fascisti”.

Venceslao Nardean nato a Noventa di Piave, di 19 anni, falegname, comunista.

Ernesto D’Andrea, nato a Musile di Piave di 31 anni. Operaio a Marghera, comunista e organizzatore della resistenza nel sandonatese.

Violante Momesso, nato a Noventa di Piave di 21 anni, contadino e comunista.

Amedeo Peruch, nato nel sandonatese di 39 anni, contadino, cattolico e comunista.

Giovanni Tronco, nato a S. Donà di Piave di 39 anni, fabbro e comunista.

L’ANPI Sez. Ceggia-Torre di Mosto e il Comune di Ceggia invitano la cittadinanza e tutti coloro che condividono gli ideali di Pace e Fratellanza tra i Popoli alla Commemorazione dei Tredici eroici partigiani di Cà Giustinian presso Piazza XIII Martiri a Ceggia, VE.
Dalle ore 20:45 musiche e letture CONTRO LE GUERRE DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI.

 

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27 luglio a Pian de le Femene: Pastasciutta antifascista

10463064_656932831050249_1840745326269007830_nAnche quest’anno la sezione A.N.P.I. “La Spasema” – sinistra piave e la Nino Nannetti di Vittorio Veneto offriranno a chi vorrà “avventurarsi” a Pian de le Femene nel comune di Limana, nel piazzale antistante il Museo Partigiano A.Piol una pastasciutta (naturalmente accompagnata da un buon bicchiere di vino rigorosamente rosso) in memoria di quella storica offerta di Alcide Cervi proprio il 27 aprile del 1943 per festeggiare la caduta del fascismo avvenuta solo due giorni prima.
Sarà nostro ospite Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli trucidati dai fascisti il 28 dicembre del 1943 e il comandante partigiano Egildo Moro “Romo”.
Adelmo, inoltre nella serata di sabato 26 con inizio alle 20.30 presenterà presso la Società Operaia di Lentiai il suo ultimo libro: “Io che conosco il tuo cuore – Storia di un padre partigiano raccontata da suo figlio”.
Per chi vorrà alle 9.30, con partenza dal piazzale del Museo, passeggiata sui luoghi della resistenza attorno al monte Frontal accompagnati da una guida. L’escursione di circa due ore non presenta nessuna difficoltà anche se si consigliano calzature e abbigliamento consono.
Nel pomeriggio, monologo sula Resistenza di Simone Menegaldo autore e saggista dell ‘ ISTRESCO di Treviso.

Una lettera scritta da 142 cittadini israeliani

10501903_10153006492194992_4886099936091896921_n-300x300La carneficina che sta facendo a pezzi la gente di Gaza non fa parte di una guerra convenzionale. Uno degli eserciti più potenti del mondo s’è scagliato con tutta la sua ferocia contro persone lasciate sole dai governi “amici”, pronti semmai a chiudere loro, come sempre, ogni valico o via di fuga. Quel che accade in questi giorni a Gaza fa parte però di una guerra più grande, quella di tutti gli Stati e di tutti gli eserciti contro tutti i popoli. Sì, perfino contro quello che vive in Israele. Ce lo ricorda una splendida quanto emozionante lettera scritta da 142 cittadini israeliani capaci di vedere e capire l’orrore che provocano l’occupazione e la volontà di chi esercita il potere politico e militare nel loro paese. “Viviamo qui da troppo tempo perché si possa dire che non sapevamo, che non abbiamo capito prima o che non siamo stati in grado di prevederlo”. Quei cittadini scrivono alla famiglia di Mohammed Abu Khadr, il giovane palestinese arso vivo da un gruppo di coloni, ma scrivono anche al mondo intero. Sono parole che sfidano il pensiero dominante di una società che hanno visto diventare povera e perdersi nella cultura della violenza. Quelle parole coraggiose tengono aperta, anche quando tutto sembra perduto, la sola speranza di un cambiamento in profondità che potrebbe aver ragione dell’orrore

Le nostre mani grondano sangue. Le nostre mani hanno dato fuoco a Mohammed. Le nostre mani hanno soffiato sulle fiamme. Viviamo qui da troppo tempo perché si possa dire “non lo sapevamo, non lo abbiamo capito prima, non eravamo in grado di prevederlo”. Siamo stati testimoni dell’enorme macchina di incitamento al razzismo e alla vendetta messa in moto dal governo, dai politici, dal sistema educativo e dai mezzi di informazione.
Abbiamo visto la società israeliana diventare povera e in stato di abbandono, fino a quando la chiamata alla violenza è diventata uno sfogo per molti, adulti e giovani senza distinzioni, in tutte le sue forme.
Abbiamo visto come l’essere “ebreo” sia stato totalmente svuotato di significato, e radicalmente ridotto a nazionalismo, militarismo, una lotta per la terra, odio per i non-ebrei, vergognoso sfruttamento dell’Olocausto e dell’“Insegnamento del Re (Davide, ndt)”.
Più di ogni altra cosa, siamo stati testimoni di come lo Stato di Israele, attraverso i suoi vari governi, ha approvato leggi razziste, messo in atto politiche discriminatorie, si è adoperato per custodire con forza il regime di occupazione, preferendo la violenza e le vittime da ambo le parti ad un accordo di pace.
Le nostre mani sono impregnate di questo sangue, e vogliamo esprimere le nostre condoglianze e il nostro dolore alla famiglia Abu Khadr, che sta vivendo una perdita inimmaginabile, e a tutta la popolazione palestinese.
Ci opponiamo alle politiche di occupazione del nostro governo, e siamo contro la violenza, il razzismo e l’istigazione che esiste nella società israeliana.
Rifiutiamo di lasciare che il nostro ebraismo venga identificato con questo odio, un ebraismo che include le parole del rabbino di Tripoli e di Aleppo, il saggio Hezekiah Shabtai che ha detto: “Ama il tuo prossimo come te stesso” (Levitico, XVIII).
Questo amore reciproco non si riferisce soltanto a quello di un ebreo verso un altro, ma anche verso i nostri vicini che non sono ebrei. E’ un amore che ci insegna a vivere con loro e insieme a loro perseguire il benessere e la sicurezza. Non è soltanto il buonsenso che ce lo richiede, ma è la Torah stessa, che ci ha ordina di condurre la vita in modo armonioso, nonostante e contro le azioni dello Stato e le parole dei nostri rappresentanti di governo.
Le nostre mani grondano di sangue.
Per questo ci impegniamo a continuare la nostra battaglia all’interno della società israeliana – ebrei e palestinesi – per cambiare la società dal suo interno, per lottare contro la sua militarizzazione e per diffondere una consapevolezza che oggi risiede soltanto in una esigua minoranza.
Lotteremo contro la scelta di muovere ancora guerre, contro l’indifferenza nei confronti dei diritti e delle vite dei palestinesi, e il continuo favorire gli ebrei in tutto questo ciclo di violenza.
Dobbiamo combattere per offrire un legame umano – un legame che sia anche politico, culturale, storico, israelo-palestinese ed arabo- ebraico; un legame che può essere raggiunto attraverso la storia di molti di noi che hanno origini ebraiche ed arabe, e per questo, fanno parte del mondo arabo.
La nostra scelta è quella della lotta per l’uguaglianza civile e il cambiamento economico, in nome dei gruppi emarginati e oppressi nella nostra società: arabi, etiopi, mizrahim (di discendenza araba), donne, religiosi, lavoratori migranti, rifugiati, richiedenti asilo e molti altri.
Di fronte a questa situazione il lato più forte è quello che ha la capacità di usare la nonviolenza per abbattere il regime razzista e il vortice di violenza. Di fronte alla compiacenza di molti israeliani, cerchiamo e scegliamo la nonviolenza, mentre gli altri preferiscono permettere al regime di ingiustizia di rimanere saldo al proprio posto, e aspettano soluzioni che in qualche modo fermino la spirale infinita di violenza – che mostra la sua faccia ora in questa nuova guerra contro Gaza – soltanto per avere nuove morti e appelli alla vendetta da ambo le parti e allontanando un possibile accordo sempre più lontano.
Le nostre mani grondano di sangue, e il nostro desiderio è quello di creare una lotta congiunta con qualsiasi palestinese che voglia unirsi a noi contro l’Occupazione, contro la violenza del nostro regime, contro il disprezzo dei diritti umani.
Questa sarà una lotta per mettere fine all’Occupazione, o con l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente o attraverso la creazione di uno Stato unico in cui tutti saremo cittadini di pari diritti e dignità.
Le nostre mani sono piene di questo sangue. Affermandolo così forte nella nostra società saremo sempre accusati dalla propaganda nazionalista di essere unilaterali, e di condannare soltanto i crimini israeliani e non quelli commessi dai palestinesi.
A queste persone noi rispondiamo così: colui che sostiene o giustifica l’uccisione dei palestinesi, supporta e incoraggia di conseguenza anche l’uccisione degli israeliani ebrei. E viceversa. La giostra della violenza è grande e si muove velocemente, ma noi ci opponiamo ad essa, e crediamo che l’unica soluzione sia la nonviolenza.
Andare contro i metodi di Netanyahu non significa necessariamente sostenere Hamas: la realtà non è dicotomica. Altre opzioni esistono nell’asso tra questi due. Allora sottolineiamo ancora di più che siamo cittadini israeliani e il centro della nostra vita è Israele. Per questo la nostra più grande critica è rivolta alla società israeliana, che cerchiamo di cambiare.
Questi assassini si nascondono tra di noi, fanno parte di noi. Ci sono, ovviamente, spazi in cui si possono criticare anche le altre società. Ma crediamo, ciononostante, che il dovere di ogni persona sia di esaminare prima da vicino e in modo critico la propria società, e solo dopo si possa permettere di approcciarsi alle altre (…).
Le nostre mani grondano di questo sangue, e sappiamo che la maggior parte dei palestinesi innocenti uccisi negli ultimi 66 anni da noi israeliani ebrei non hanno mai ricevuto giustizia.
I loro assassini non sono stati arrestati, neanche processati, a differenza dei ragazzi sospettati per l’omicidio di Mohammed. La maggior parte di questi innocenti è morta per mano di uomini in uniforme mandati dal governo, dai militari, dalla polizia o dallo Shin Bet.
Questi omicidi, avvenuti per mezzo di aerei, artiglieria o di persona vengono definiti come “errori umani” o “problemi tecnici”. E quando ci si riferisce ad essi a volte si include soltanto una fiacca scusa. La maggior parte dei casi viene raramente posta sotto inchiesta e quasi tutti finiscono senza rinvii a giudizio, dissolvendosi nell’aria. Tanti, troppi sono ignorati dai media, dalle agenzie giudiziarie, dall’esercito.
La ragione per cui i sospettati della morte di Mohammed sono stati arrestati è semplice: non portavano un’uniforme.
Ad eccezione dei soldati condannati per il massacro di Kafr Qasam nel 1956 e rimasti in prigione per non più di un anno, raramente ci sono stati altri processi nelle Corti israeliane contro uomini dello Stato, anche per la maggior parte degli odiosi massacri a cui questa terra ha assistito.
Le nostre mani sono impregnate di quel sangue. Quando Benjamin Netanyahu esprime le sue condoglianze e condanna l’omicidio di Mohammed, lo fa con lo stesso respiro di sempre, comunicando una rivendicazione pericolosa e razzista sulla superiorità morale di Israele nei confronti dei suoi vicini.
“Non c’è posto per simili assassini nella nostra società. In questo noi ci distinguiamo dai nostri vicini. Nelle loro società questi assassini sono visti come eroi e hanno delle piazze dedicate ai loro nomi. Ma questa non è l’unica differenza. Noi perseguiamo coloro che incitano all’odio, mentre l’Autorità Palestinese, i loro media ufficiali e sistema educativo fanno appello alla distruzione di Israele”.
Netanyahu ha dimenticato che diverse persone sospettate di essere criminali di guerra hanno servito in vari governi israeliani, alcuni sotto la sua stessa leadership, e che il numero di persone innocenti assassinate negli ultimi 66 anni di conflitto dipinge un quadro molto diverso.
Quando guardiamo il numero di ebrei israeliani e di palestinesi uccisi, vediamo che il numero dei palestinesi è molto più elevato.
Netanyahu dimentica anche, o cerca di farci dimenticare, l’incitamento diffuso propagato dal suo governo nelle ultime settimane, e le sue parole di vendetta dopo la scoperta dei corpi dei tre ragazzi ebrei rapiti – Gilad Shaar, Naftali Fraenkel ed Eyal Yifrah – quando tutti noi eravamo in stato di profondo shock: “Satana non ha ancora inventato una vendetta per il sangue di un bambino, né per il sangue di questi ragazzi giovani e puri” (…).
Le nostre mani hanno sparso questo sangue, e invece di dichiarare giorni di digiuno, lutto e pentimento, il governo ha ora deciso di lanciare un’operazione militare a Gaza, che ha chiamato “Operazione Bordo Protettivo”.
Chiediamo al governo di fermare questa operazione subito e di lottare per una tregua e per un accordo di pace, a cui il governo israeliano si è sempre opposto negli ultimi anni.
Gaza è la storia di tutti noi; è anche l’oblio della nostra storia. E’ il posto più segnato dal dolore in Palestina e in Israele (…). Gaza è la nostra disperazione.
Le nostre origini comuni sembrano essere state spazzate via sempre più lontano: dopo 40 anni di possibilità di un compromesso storico doloroso tra i due movimenti nazionali, quello palestinese e quello sionista, questa opzione è gradualmente evaporata. Il conflitto viene reinterpretato in termini mitologici e teologici, in termini di vendetta, e tutto ciò che ora possiamo promettere ai nostri figli sono molte altre guerre per le generazioni a venire, nuove uccisioni tra entrambi i popoli, e la costruzione di un regime di apartheid che richiederà ancora più decenni per essere smantellato.
Le nostre mani hanno sparso questo sangue (…), cerchiamo di lavorare contro questa tendenza. Lo facciamo attraverso le varie comunità della nostra società: ebrei e palestinesi, arabi e israeliani, Mizrahi e Ashkenazi, tradizionalisti, religiosi, laici e ortodossi.
Abbiamo scelto di opporci ai muri, alle separazioni, alle espropriazioni e deportazioni, al razzismo e alla colonizzazione, per offrire un futuro comune come alternativa all’attuale stato depressivo, oppressivo e violento della nostra società.
Vogliamo costruire un avvenire che non si arrenda al ciclo di violenza e di vendetta, ma che al suo posto offra la giustizia, la riparazione, la pace e l’uguaglianza; un futuro che attinge agli elementi comuni della nostra cultura, umanità e tradizioni religiose in modo che le nostre mani non serviranno più a spargere sangue, ma a ricongiungerci l’uno con l’altro in pace, con l’aiuto di dio, Insha’Allah.

Fonte italiana e nota di Osservatorio Iraq, Medioriente e Nordafrica http://osservatorioiraq.it/

*Traduzione dall’ebraico all’inglese di Idit Arad e Matan Kaminer. La lettera, pubblicata originariamente sul sito Haokets, è stata pubblicata in inglese sul magazine israeliano +972mag , che ringraziamo per la gentile concessione. Al link originale la lista dei cittadini israeliani che hanno firmato la la lettera. La traduzione in italiano è a cura di Stefano Nanni e Anna Toro.

Riforme, la resistenza tradita

costituzione_italianaNella settimana appena iniziata si giocherà una partita decisiva per la Repubblica. Quel progetto di scompaginare l’architettura dei poteri come disegnata dai costituenti, che è stato il chiodo fisso della grande riforma propugnata da Berlusconi, sfociata nella riforma della II parte della Costituzione che il popolo italiano ha bocciato con il referendum del 25/26 giugno del 2006, sta per andare in porto con nuove forme e grazie ad un nuovo attore politico. Per quanto articolato diversamente, si tratta dello stesso progetto politico-istituzionale.

Esso si sviluppa su due fronti: la riforma elettorale e la riforma costituzionale. Questi due cantieri interagiscono fra loro e puntano a realizzare il medesimo obiettivo: cambiare i connotati alla democrazia italiana realizzando un sistema politico che il compianto prof. Elia qualificò come “premierato assoluto”. Quel sistema di pesi e contrappesi che i costituenti, memori dell’esperienza fascista, avevano delineato per scongiurare il pericolo della dittatura della maggioranza, sarà profondamente squilibrato per realizzare un nuovo modello istituzionale che persegue la concentrazione dei poteri nelle mani del capo dell’esecutivo, a scapito del Parlamento e delle istituzioni di garanzia.

Non ci sarà più la centralità del Parlamento, anzi il Parlamento sarà dimezzato con l’eliminazione di un suo ramo, poiché il nuovo Senato sarà sostanzialmente un ente inutile che non potrà interferire nell’indirizzo politico e legislativo. Dalla Camera dei deputati saranno espulse molte o quasi tutte le voci di opposizione, il Governo eserciterà un potere di supremazia sulla Camera attraverso l’istituto della tagliola e del voto bloccato. La minoranza che vincerà la lotteria elettorale, controllerà il Parlamento, si impadronirà facilmente del Presidente della Repubblica, eleggerà i 5 giudici costituzionali di competenza delle Camere ed influirà sulle nomine di competenza del Capo dello Stato.

Le istituzioni di garanzia formalmente resteranno in piedi ma saranno addomesticate per non disturbare il navigatore. Sarà sempre più difficile contestare scelte inaccettabili dell’esecutivo (si pensi al nucleare) attraverso il ricorso al referendum popolare, dato l’innalzamento a 800.000 della soglia delle firme necessarie. Le scelte che si faranno in questi giorni in Senato saranno cruciali perché la riforma del Senato è l’indispensabile presupposto della riforma elettorale e non saranno possibili modifiche quando ci sarà la seconda lettura. É questa l’ultima trincea dove si difende quel testamento di centomila morti che ci ha consegnato la Resistenza. Poche cose ci chiedono i nostri morti, diceva Calamandrei: non dobbiamo tradirli.

Domenico Gallo