Commemorazione post-datata del D-day 6 giugno 1944: lo sbarco in Normandia

robert_capa_ddayCosì come è stato ritardato l’apertura del secondo fronte in Normandia di ben due anni (vedi scambio di lettere fra i cosiddetti Grandi ) così i nostri iscritti e simpatizzanti avranno in ritardo di un giorno la commemorazione di questo grande evento che ha determinato la definitiva sconfitta del Nazifascismo.
A proposito : come mai in Italia non si ricorda il 9 Maggio 1945 giorno della caduta di Berlino e della resa incondizionata dei Nazifascisti che si festeggia in quasi tutta Europa?

Bruno Tonolo segr.  Anpi Sezione “ Martiri di Mirano”

Scambio di lettere tra i cosiddetti “Grandi”

9 maggio 1945

Omaggio ai caduti russi per la libertà

partigiani-sovietici1Intervento di Roberto Cenati Vicepresidente vicario dell’ANPI di Milano, tenuto il 9 maggio al cimitero di  Musocco, davanti al monumento dei Caduti partigiani sovietici, per la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa.

L’8 maggio 1945, a Berlino, alla presenza dei rappresentanti delle forze armate dell’Unione Sovietica, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Francia venne firmato l’atto di capitolazione incondizionato della Germania.
Dopo la firma dell’atto, dal 9 al 17 maggio 1945 si consegnarono alle autorità sovietiche  1 milione e 391 mila uomini dell’esercito tedesco. La guerra in Europa era terminata; il 9 maggio si celebra la fine di quel sanguinoso conflitto che costò la vita ad oltre 50 milioni di persone e in Russia si celebra la vittoria della Grande Guerra Patriottica contro il nazifascismo.
Ma la Seconda Guerra Mondiale non fu solo un conflitto sanguinoso. Fu anche un vero e proprio scontro planetario tra le forze della coalizione antifascista che si richiamavano agli ideali di democrazia e libertà e quelle, nazifasciste e hitleriane che volevano imporre in Europa e nel mondo un regime antidemocratico, oppressivo, fondato sul razzismo, sull’antisemitismo e sul terrore.  Se avessero vinto le forze che si richiamavano alle ideologie nazifasciste, l’Europa si sarebbe trasformata in un immenso campo di concentramento.
All’alba del 22 Giugno 1941 la Germania nazista attacca a tradimento l’Unione Sovietica, impiegando ingenti mezzi: 5 milioni e mezzo tra soldati e ufficiali, quasi 5.000 aeroplani, oltre 3.500 carri armati.
Il governo fascista, deciso a non essere da meno dell’alleato nazista, inviò il corpo di spedizione dell’Armir, che subì pesantissime perdite. La tragedia vissuta dai soldati italiani rappresenta una delle più gravi responsabilità del fascismo di fronte al popolo italiano e contribuì a rendere sempre più vivi e forti il risentimento e l’ostilità degli italiani verso il fascismo. Non furono pochi coloro che, segnati da quella tragica esperienza, militarono, dopo il loro ritorno in Italia, nelle formazioni partigiane, come Nuto Revelli, fra i primi organizzatori della Resistenza nel Cuneese, dopo l’8 Settembre 1943.
Ebbe inizio, con l’operazione Barbarossa, la Grande Guerra Patriottica, condotta dall’esercito, dai partigiani e da tutto il popolo sovietico contro l’invasione nazifascista.
Nelle zone occupate le autorità tedesche organizzavano rastrellamenti, perquisizioni, bruciavano le case di quanti opponevano resistenza, gettavano in carcere e nei campi di concentramento i familiari dei partigiani.
Le SS tedesche, dopo l’occupazione dei villaggi, si macchiarono anche di atroci crimini contro gli ebrei, centinaia di migliaia dei quali furono eliminati.
Dal 1941 al 1944 furono deportati in Germania, dalle zone occupate dell’Unione Sovietica, circa 5 milioni di persone, con l’obiettivo di rifornire di manodopera la macchina bellica hitleriana e con l’intendimento di fiaccare la Resistenza antinazista.
Leningrado, ora San Pietroburgo, fu assediata dal 9 Settembre 1941 al 18 Gennaio 1944, per 900 lunghissimi giorni. Durante quell’assedio decine di migliaia di donne, di bambini e di anziani morirono di fame e di fatiche.
Ma il tentativo dei tedeschi di terrorizzare la popolazione si rivelò controproducente. La Resistenza prendeva sempre più vigore e costituì, con il lavoro di milioni di cittadini nelle retrovie, volto a dotare il Paese di una economia di guerra all’altezza della situazione, il fattore determinante nella disfatta degli invasori, sconfitti nella storica battaglia di Stalingrado e arresisi al maresciallo Zukov il 31 gennaio 1943.
Cominciò allora quella ritirata tedesca che non doveva più arrestarsi, sino al tracollo definitivo del Terzo Reich.
Saremo sempre infinitamente grati e riconoscenti a tutto il popolo sovietico per questo suo fondamentale e determinante contributo alla sconfitta del nazifascismo.
Ma un ulteriore motivo di gratitudine e di riconoscenza ci lega al popolo russo.
Esso è rappresentato dal contributo delle migliaia di soldati di poco più di vent’anni, provenienti dalle parti più remote dell’Unione Sovietica che, catturati dai tedeschi e tradotti in Italia, riuscirono a fuggire, dopo l’8 Settembre 1943, dai campi di prigionia fascisti e si unirono alle formazioni partigiane.
Di essi vogliamo ricordare, oggi, simbolicamente, tre partigiani sovietici della 53a Brigata Garibaldi, fucilati insieme a partigiani italiani, tra cui il tenente Giorgio Paglia, giovane studente del Politecnico di Milano, il 21 Novembre 1944, dai fascisti della Legione Tagliamento, nella località Malgalunga in provincia di Bergamo.
I loro nomi sono: Semion Kopcenko, nome di battaglia Simone, Ilarion Etanov, nome di battaglia Donez, Alexander Nogin, nome di battaglia Molotov.
Grande è stato il tributo di sangue dei partigiani sovietici in Italia.
Sono circa 500 le tombe di militari sovietici sparse nei cimiteri italiani.
Il monumento davanti al quale siamo oggi raccolti è dedicato ai partigiani sovietici caduti in Italia, combattendo nelle file del Corpo Volontari della Libertà.
In questo campo del Cimitero maggiore di Milano, riposano 8 soldati sovietici, tutti giovanissimi, prigionieri di guerra, vittime di incursioni aeree tra il 1942 e il 1943.
Questo campo ci impone il dovere di ricordare quale è stato il prezzo durissimo di sangue e sofferenze pagati dai giovani partigiani europei per ridare la libertà a tutti noi. Ma da questo campo ci giunge anche un monito. La memoria è il valore che ci può salvare, la testimonianza più autentica, perché memoria e storia sono il contrario dell’oblio che tende a cancellare le differenze.
Noi vogliamo che gli uomini siano liberi. Ma per essere liberi ciascuno di noi deve conoscere, avere memoria del passato. Se non si conosce la storia, si è gregari e schiavi, non si è liberi.
Ricordiamoci una cosa fondamentale. Non è vero che “il lavoro rende liberi”, come beffardamente si leggeva all’ingresso del lager di Auschwitz, ma è la conoscenza che ci fa liberi; ecco perché noi vogliamo che la nostra memoria sia per tutti conoscenza di cosa è stato il nazifascismo e di quali sono stati i valori di chi si è battuto contro il regime del terrore, per essere liberi e per costruire una società più giusta.
Concludo col ricordare un evento molto significativo avvenuto il 16 Maggio 1945 sul piazzale del lager di Mauthausen, nel quale venivano deportati gli operai delle grandi fabbriche del Nord, a seguito degli scioperi del novembre-dicembre 1943 e del marzo 1944. Il 16 maggio 1945 si svolse una grande manifestazione antinazista, nel corso della quale, gli ex deportati, pronunciarono un solenne giuramento, nel quale, tra l’altro affermarono: “Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen.
La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli.
Vogliamo percorrere una strada comune: quella della libertà di tutti i popoli, del rispetto reciproco, della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti.
Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo di milioni di fratelli assassinati dal nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada”.
E questo deve essere anche il nostro impegno.

Roberto Cenati

Schio, 1943-1945. Storia di dodici «elementi pericolosi»

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Questa è l’intervista di Alessandro Pagano Dritto a Ugo De Grandis autore del libro “Elemento pericoloso – Inquisizione e deportazione politica nella Schio di Salò” (Da http://www.vicenzapiu.com).

L’ultimo libro di Ugo De Grandis, Elemento pericoloso. Inquisizione e deportazione politica nella Schio di Salò (1943-1945). L’odissea dei partigiani del Btg. Territoriale «F.lli Bandiera» di Schio deportati a Mauthausen – Gusen (Centrostampaschio, Schio, 2014, 15 euro) racconta delle vicende che portarono all’arresto e alla deportazione in Germania di dodici antifascisti scledensi alla fine del 1944: di questi – Giovanni Bortoloso, Andrea Bozzo, Roberto Calearo, Italo Galvan, William Pierdicchi, Pierfranco Pozzer, Anselmo Thiella, Vittorio Tradigo, Andrea Zanon, Bruno Zordan – solo uno, William Pierdicchi, farà ritorno nel giugno 1945. VicenzaPiù ne ha parlato con l’autore.
In apertura di Elemento pericoloso il lettore trova due citazioni: una da una lettera di Ernesto «Che» Guevara, l’altra da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Quest’ultima recita: «Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: […]. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo […]. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che abbia poi la nostra impronta».

Come mai proprio questa citazione in questo libro?

La risposta più banale è che ho letto Fahrenheit 451 mentre stavo leggendo questo libro. Devo confessare che anni fa ero un lettore vorace; più poi ho scritto di storia e meno ho trovato tempo per leggere libri che non fossero saggi storici. Questa frase mi ha colpito perché mi sembra rappresenti l’essenza di scrivere libri, soprattutto libri di storia, di voler lasciare un segno, una traccia della propria attività. Ogni libro che io scrivo è destinato a lasciare un segno e questo, nello specifico, è anche un libro che rompe con una visione distorta dell’episodio di giustizia sommaria avvenuto alle carceri di Schio nel luglio 1945.

Il libro si regge su un apparato di note che citano denunce presentate dopo la Liberazione, prima e dopo l’eccidio di Schio.
Come si è posto lei, da storico, nei confronti di questa documentazione? Non c’era il rischio che qualcuno, a liberazione avvenuta, calcasse la mano nel presentarle?

Vorrei prima di tutto specificare, visto che nominiamo l’eccidio di Schio, che questo non è e non va considerato un libro sull’eccidio di Schio. Lo dico perché mi capita di incontrare persone che mi chiedono se ho scritto un nuovo libro sull’eccidio di Schio: no. Certo, la vicenda principale che racconto – quella dei dodici antifascisti scledensi inviati in Germania – ha avuto dei riflessi sull’eccidio delle carceri e il libro stesso è nato dall’acquisizione dei fascicoli a carico dei fascisti detenuti al loro interno; fascicoli istruiti dai Reali Carabinieri ricostituitisi dopo il giorno della locale liberazione, il 29 aprile 1945. I Carabinieri condussero le indagini sulla base di segnalazioni di privati cittadini, del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) o dei partigiani e inoltrarono poi i verbali redatti alla Commissione di epurazione. Il rischio che qualcuno calcasse la mano nel denunciare ovviamente c’era; ma si tratta comunque di denunce autografe, che hanno condotto un ufficiale di polizia giudiziaria ad aprire un fascicolo e che quindi hanno un preciso valore. Questi fascicoli sono stati conservati nella sede del Tribunale di Vicenza, alla sezione «Corte d’Assise Straordinaria 1945-1946»: quella Corte che poi cessò di funzionare col famoso decreto Togliatti. Leggi tutto “Schio, 1943-1945. Storia di dodici «elementi pericolosi»”

Appello per un’Europa democratica e antifascista

1902929_688714947858554_6567745475790193968_nQuesto il testo del discorso dell’Anpi  durante le celebrazioni della Festa di Liberazione in Piazza Martiri a Mirano:

L’ANPI, sez.“Martiri di Mirano”, esprime preoccupazione,  turbamento e indignazione per le vicende che stanno interessando l’Europa democratica e il suo futuro assetto, perché la lotta al nazifascismo è stata lotta dei popoli europei oppressi, uniti dai valori che sono stati, poi, posti a fondamento del progetto d’unione tra gli stati.
Un’onda nera, con i simboli orrendi del nazifascismo, sta infangando vaste aree d’Europa ancora segnate dal sangue del martirio di donne e uomini  perseguitati e uccisi a causa del loro amore per la libertà e per il diritto a vivere secondo i principi di  uguaglianza e di rispetto della dignità della persona.
Dalla Grecia di Alba Dorata, a Forza Nuova in Italia, all’estrema destra xenofoba francese guidata da Jean-Marie Le Pen, a quella olandese, alle formazione neonaziste, antisemite ungheresi giunte, nelle ultime elezioni, a sfiorare  il 20% , alle squadracce nere  ucraine, sino alle forme estreme di rifiuto dello straniero in Germania e nei paesi scandinavi, un vento di follia estremista sta gonfiando e strumentalizzando il profondo malessere di un continente in crisi, soprattutto, di valori .
I grandi ideali dei padri fondatori dell’Europa Unita, sorta dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, sembrano persi tra i mille canali di una burocrazia e di una politica che fondano le loro strategie di governo su logiche di profitto e  speculazione in ossequio ai centri di potere, economici e finanziari mondiali.
Se questa EUROPA così com’è oggi, non ci piace, non bisogna commettere il grave errore di volerne la disgregazione con programmi ispirati dal più squallido populismo, proprio per le ragioni storiche che l’hanno voluta e che ancora la motivano e che oggi possono, ancora unire i popoli partendo proprio dagli ideali dell’antifascismo.
E’ necessario che si formi un fronte democratico contro l’avanzata della destra estrema e populista, per raccogliere e animare le coscienze, quelle dei giovani in particolare, attorno ai grandi valori che la storia ci ha consegnato e che è nostro compito trasmettere alle future generazioni.
L’ANPI, custode dei valori dell’Antifascismo e della Resistenza italiana, rivolge un appello a tutte le forze democratiche perché contribuiscano a costruire e sostenere una vasta azione di mobilitazione delle coscienze, in sintonia con le altre Associazioni Resistenti a livello europeo, in un ritrovato spirito internazionalista.
Dalla difesa della Costituzione e dell’Ordinamento Repubblicano potranno derivare gli insegnamenti e gli stimoli per ripensare anche una diversa Europa Unita, proiettata verso il futuro, in grado di esprimere le qualità più alte della solidarietà sociale, il dialogo con le altre culture, la difesa della pace, nel ricordo e condanna di quanto la follia umana fu in grado di progettare ed eseguire, dominando le menti e le coscienze delle masse.
Scriveva nel 2004 Stephane Hessel nel suo volume “Indignatevi”: “Ci appelliamo ai movimenti, ai partiti, alle associazioni, alle istituzioni e ai sindacati eredi della Resistenza affinché superino le poste in gioco settoriali e lavorino innanzitutto sulle cause politiche delle ingiustizie e dei conflitti sociali e non soltanto delle conseguenze, per definire insieme un nuovo “Programma della Resistenza” per il nostro secolo, consapevoli che il fascismo continua a nutrirsi di razzismo, di intolleranza e di guerra, che a loro volta si nutrono delle ingiustizie sociali”.

PER UN’EUROPA DEI LAVORATORI, DEMOCRATICA E ANTIFASCISTA,
A DIFESA DEI VALORI  DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
ORA E SEMPRE  RESISTENZA