Emily e Clorinda

Emily e Clorinda, due giovani donne di generazioni diverse, ma vicine, accomunate da un segno di parentela, ma non solo, anche da un’identificazione di ideali e prospettive. Clorinda Menguzzato non aveva ancora vent’anni (li avrebbe compiuti di lì a poco), quando cadde a morte dopo tre giorni di sevizie e torture da parte dei tedeschi, lungo un tornante sulla strada che collega Castello a Pieve Tesino. Era l’ottobre del 1944.
Emily Menguzzato ha trent’anni ed è la nipote di Clorinda, vive a Trieste dove lavora in una cooperativa sociale e si occupa di minori e di educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva. “Mio padre mi parlò di questa storia, per la prima volta, in una delle rare occasioni in cui da bambina mi portarono a Castello Tesino”. Emily ha un bel volto, lo sguardo solare, la tensione di chi è aperto alle possibilità. “Avevo circa 7 o 8 anni e, assieme ai miei due fratelli maggiori, entrammo nella casa dei bisnonni. Ci fermammo lungo il corridoio dove era appesa la foto di Clorinda. Papà ci spiegò che quella era la sorella del nonno, uccisa durante la guerra”.
“E’ stato come se il tempo si fosse annullato, come se Clorinda fosse stata uccisa in quel momento”…
“Non somiglia un po’ a Emily?”, aveva concluso il babbo in quella circostanza.
“Ricordo – osserva adesso – che quella frase me la fece sentire più vicina”. E’ l’inizio di un percorso di avvicinamento alla storia della sua famiglia paterna, la prima di una serie di tappe che porta Emily alla conoscenza della zia, del perché andò in montagna e si unì ai partigiani, della sua morte quando era giovanissima, dell’incomprensione che è durata a lungo riguardo alle sue scelte coraggiose. E’ per Emily anche un passaggio dalla conoscenza all’empatia, un immedesimarsi amorevole nelle ragioni di quella sua zia che era più giovane di lei quando si trovò davanti a difficili strade da percorrere, a ostacoli da oltrepassare. Scopre che “Veglia” era stata torturata e violentata dai tedeschi durante gli interrogatori perché facesse i nomi degli altri partigiani, ma lei non parlò; che ciò le è valso di essere insignita – fra le pochissime donne della Resistenza – della Medaglia d’Oro al Valor militare. La storia di quella sua zia rimane però per la nipote solo “una storia”, nonostante senta forte il valore simbolico anche quando comincia a parlarne con i ragazzi con cui lavora.
Poi, circa un anno fa, qualcosa cambia nel senso di una ancora maggiore consapevolezza. “Ero in viaggio per un corso di formazione per operatori della giustizia minorile – racconta Emily -; si parlava di valori e democrazia ed erano presenti parenti di vittime di mafia. Di colpo la vita di Clorinda ha smesso di essere una storia ed è diventata una realtà”. Emily comincia così a pensare a lei in altri termini, sotto altre sembianze: non era più solo l’eroina di famiglia. “Era una ragazza giovanissima che mi sembrava di conoscere e che, per stare dalla parte più difficile e scomoda, aveva dato la vita sacrificando il suo futuro e la possibilità di essere moglie e madre”. Comincia a guardare a quella lontana vicenda molto più da vicino. “E’ stato come se il tempo si fosse annullato, come se Clorinda fosse stata uccisa in quel momento. Sapevo della sua morte, ma solo allora ho provato un forte dolore”.
Emily sente di esserle grata non solo per il suo contributo alla costruzione della nuova democrazia nata dalle fatiche e dai sacrifici della Resistenza, ma è conscia che senza il suo silenzio mantenuto sotto tortura probabilmente suo nonno Rodolfo (nome di battaglia “Menefrego) sarebbe stato catturato e ucciso, suo padre non sarebbe nato e nemmeno lei. “Sentivo che in qualche modo le dovevo anche la vita!”. E il pensiero di Emily va a suo nonno, che insieme alla sorella Clorinda fu parte attiva del battaglione Gherlenda, lassù tra gli aspri declivi di Costabrunella. A lui, premiato poi con una croce al merito di guerra. “A lui, che si tenne questo dolore per sé per tutta la vita”.
E’ così che in questa giovane donna trentenne nasce il bisogno fortissimo di mettersi sulle tracce di Clorinda, di conoscere la sua storia fino in fondo, di leggere tutto ciò che è stato scritto su di lei e di parlare con chi l’ha conosciuta. Vuole prendersi tutto il tempo necessario per conoscere e vivere con calma i luoghi e i posti che sono stati significativi per sua zia Clorinda, la casa, le strade, i vicoli, l’aria che si respira nel paese nelle ore più solitarie del giorno. Un posto in qualche modo magico, un luogo dove coltivare la memoria. “Fare in modo che la sua memoria sia preservata – ha pensato Emily – è il minimo che io possa fare”. E questo viene tradotto nel suo lavoro quotidiano. “Spesso, parlando con i ragazzi di giustizia e libertà si sente la necessità di fornire loro esempi positivi. Don Ciotti dice che la memoria deve trasformarsi in impegno per mantenere vivi gli insegnamenti che le vittime delle ingiustizie sociali ci hanno lasciato. Fare memoria non deve limitarsi a ‘celebrare’ ma deve tradursi in azioni concrete nel nostro quotidiano”. Solo così Clorinda, Ancilla – “Ora”, l’amica staffetta partigiana pure lei trucidata dai nazisti – e gli altri non sono morti invano. (da http://www.vitatrentina.it)

Felice Casson: sospendere l’acquisto degli F-35

“Sospendere immediatamente la partecipazione italiana al programma sugli F-35 e procedere, in prospettiva europea, ad una visione strategica della politica di difesa destinando le somme risparmiate ad investimenti pubblici riguardanti la tutela del territorio nazionale dal rischio idrogeologico, la tutela dei posti di lavoro, la sicurezza dei lavoratori”. È quanto chiede Felice Casson, vicepresidente della commissione Giustizia del Senato, con una mozione firmata da altri 17 senatori Pd.
“Non esiste a tutt’oggi alcun impegno all’acquisto di questi velivoli – spiega – e non c’è alcun contratto firmato e tantomeno alcuna penale. Peraltro i Governi francese e tedesco negli ultimi mesi hanno piu’ volte cercato di coinvolgere i piu’ importanti Paesi europei al fine di sviluppare insieme attivita’ industriali in questo settore considerando il fatto che nel settore aeronautico il consorzio Eurofighter è in grado di produrre un velivolo assolutamente competitivo”.
“Rivedere queste scelte – aggiunge Casson – appare quantomeno sensato e congruo rispetto all’attuale situazione economica e finanziaria del Paese e va inoltre rilevato che al momento si sono ritirati o hanno sospeso la loro partecipazione al programma i seguenti Paesi: Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Danimarca e Canada. La Gran Bretagna ha falcidiato le previsioni di spesa (ne doveva comprare circa 130, oggi ne conferma solo 20); persino gli Usa stanno valutando l’annullamento della versione B, a decollo corto e atterraggio verticale, che interessava la nostra Marina”. “La nuova normativa e le nuove procedure adottate – conclude Casson – consentono di ripensare qualunque programma e attribuiscono al Parlamento un ruolo decisivo, di cui il Parlamento stesso deve fare oculato e motivato uso, soprattutto in presenza di tagli ai vari settori della vita pubblica, che sono continui e pesanti, mentre i costi per il programma F-35, circa 12 miliardi, appaiono francamente esorbitanti e fuori luogo”.

Volantini (leghisti) e minacce contro il consigliere «marocchino» di Treviso

Said Chaibi con Umberto Lorenzoni "Eros" a Vidor (http://imgur.com/a/lti3G)

Un ragazzo di 22 anni figlio di genitori marocchini diventa il simbolo della battaglia elettorale trevigiana: Said Chaibi sarà il primo consigliere comunale di origini straniere eletto nella roccaforte leghista e il Carroccio l’ha preso di mira, distribuendo volantini che lo presentano come il «pericolo comunista» incombente sulla città. Ma adesso la questione diventa anche più seria: la scorsa notte il giovane ha raccontato di essere stato minacciato e inseguito da due automobili, che hanno tentato di farlo uscire di strada. «Questo è il terreno di confronto che vogliono per alzare il tiro in maniera spietata – dice Chaibi –  ma io sono trevigiano quanto loro e devono farsene una ragione. Lunedì decideranno gli elettori». Il 27 maggio Treviso ha scelto di mandare al ballottaggio i due candidati sindaco più votati al primo turno, Giovanni Manildo per il centrosinistra e Giancarlo Gentilini per Lega e Pdl. Chaibi, che era candidato con Sel nella coalizione per Manildo, ha preso 149 preferenze ed entrerà comunque in consiglio comunale, in maggioranza o all’opposizione.
Ed è stato anche questo a spingere Lega, Pdl e alleati a scuotere la moderata Treviso paventando il pericolo rosso. La campagna elettorale di Gentilini, per la prima volta in svantaggio, sta puntando tutto sulla dicotomia fra la conservazione e la continuità dei passati vent’anni di amministrazione leghista da una parte, e l’avvento «del comunismo» dall’altra, incarnato non tanto dall’avversario Manildo, che è un moderato, ma dalla sua squadra di centrosinistra. La Lega accusa gli avversari di voler portare a Treviso i centri sociali e favorire le occupazioni abusive, e sul finire della scorsa settimana ha iniziato a diffondere i nuovi volantini per il ballottaggio: recano un’immagine del presidente della Camera Laura Boldrini (espressione di Sel) e una vecchia foto di Chaibi, accanto alla quale viene riportato con toni molto critici un suo pensiero sulla necessità di integrare gli stranieri, riferito agli omicidi violenti compiuti a Milano dall’immigrato clandestino Kabobo. Nella notte fra domenica e lunedì Chaibi stava attaccando manifesti per Manildo insieme a due attivisti; quattro sconosciuti si sono avvicinati a loro minacciando di strappare i manifesti. Quando i ragazzi sono risaliti in macchina per allontanarsi, i quattro, su vetture di grossa cilindrata, li hanno inseguiti, rischiando di farli uscire di strada. Chaibi ha segnalato la vicenda alla Digos, che ora indaga. «Non sono stato eletto da immigrati ma da cittadini trevigiani. Sono nato in Italia e Treviso è la mia città, sono trevigianissimo, ho frequentato le scuole qui dall’asilo alle superiori. Questo odio è stato creato da una fazione che fa politica su questi temi mentre io ne preferisco altri, come cercare soluzioni al disagio dei cittadini che non guardano nomi o colori della pelle, ma idee e competenza. Mi sembra che ormai che non abbiano più motivazioni per opporsi al cambiamento ». Le due coalizioni sono pronte alla sfida. «Noi pensiamo a parlare dei problemi dei cittadini – riflette Roberto Grigoletto, il coordinatore della campagna di Manildo -, non prestiamo il fianco alle provocazioni». Il segretario cittadino della Lega, Enrico Chinellato, commenta: «Non abbiamo nulla di personale contro Said, ma siamo lontani dalle idee che lui rappresenta, quelle di Sel, troppo estremiste e radicali. Chissà dov’è andato ad appenderli, quei manifesti, dato che non ne vediamo in giro. Forse l’hanno fermato prima che potesse farlo». E il candidato Gentilini: «Non so niente di questa storia ma chi è causa del suo mal pianga se stesso. Il rispetto delle regole è alla base del vivere civile». Per Abdallah Khezraji, rappresentante delle comunità immigrate trevigiane e vicepresidente della consulta regionale per l’immigrazione, l’episodio denunciato da Chaibi è «un tentativo disperato della Lega di riguadagnare consensi irrimediabilmente persi. Said è un cittadino italiano che gode del diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero. E come consigliere ha ottenuto il doppio delle preferenze del sindaco uscente, Gian Paolo Gobbo».

Silvia Madiotto

Scomparsa di Don Gallo, il cordoglio dell’Anpi

La segreteria nazionale Anpi esprime profondo cordoglio per la scomparsa di Don Gallo e si stringe attorno alla Comunità di San Benedetto e dei cittadini di Genova. Il Paese intero perde con Don Gallo un autentico servitore dell’antifascismo e della Costituzione. Un esempio, non un’omelia. Un partigiano della solidarietà, della giustizia sociale, dei diritti. Esempio della Resistenza che amava nominare in ogni occasione. La memoria di Don Gallo, delle sue lotte e del suo impegno non ci abbandonerà. La porteremo nel cuore e nella coscienza. Fino a farla scendere nelle piazze, tra la gente. Con la Costituzione in mano.

Segreteria Nazionale Anpi

25 aprile: notizie dall’Italia

Il 25 aprile è già passato e mai come quest’anno, almeno in Veneto, abbiamo avuto un così consistente numero di celebrazioni, concerti e conferenze sul tema della Resistenza. C’è anche chi vuole infangare questa data fondamentale per la Repubblica Italiana ed è successo a Pescara, la culla della Brigata Maiella, l’unica formazione partigiana decorata con la medaglia d’oro al valor militare e alla bandiera, la prima ad entrare a Bologna e a proseguire il suo cammino fino ad Asiago per liberare l’Italia dai nazisti e dai loro alleati fascisti repubblichini. Il sindaco di Pescara, Luigi Mascia, ha scritto una lettera di censura alla preside Assunta D’Emilio, dirigente scolastica dell’istituto “11 Febbraio 1944“, per aver fatto cantare “Bella Ciao” ai suoi alunni, durante le celebrazioni della Liberazione: secondo il sindaco la canzone è “di chiaro orientamento politico” e per questo accusa la dirigente di “aver trasformato le celebrazioni del 25 aprile in una sorta di conviviale di partito”. Da notare che l’istituto “11 Febbraio 1944” è intitolato così perchè sorge vicino al luogo dove, in quella data,  furono fucilati dai nazisti 9 partigiani italiani catturati in precedenza da fascisti locali. L’ignoranza sulla Resistenza e quanto decisiva è stata per far nascere la nostra Costituzione non è solo appannaggio dei personaggi di centrodestra ma anche di qualcuno del centrosinistra, visto il clima di questi ultimi periodi, saturo di “inciuci” e di asservimento a idee e comportamenti non certo di sinistra. Succede nel comune di Cecina (in provincia di Livorno) dove il segretario comunale e anche segretario dell’Anpi locale, Paolo Bertolini, presenta una mozione in consiglio comunale per dedicare la sala consiliare a Primetta Cipolli: durante il fascismo Primetta è stata un’esponente di spicco del Partito Comunista e un’attivista antifascista. Sposata con Oreste Marcucci, perseguitato dal fascismo e morto nel 1938 sul fronte dell’Ebro durante la guerra civile spagnola, dopo la guerra fu la prima donna ad assumere un incarico istituzionale diventando assessore all’istruzione. Alcuni consiglieri del centro sinistra si oppongono in quanto la figura della partigiana è “divisiva” e non “condivisiva” da tutti i consiglieri e quindi le viene intitolata solo una stanza del comune. Il comitato provinciale dell’Anpi attacca i consiglieri accusandoli di “pressapochismo” e contestando “l’ignoranza sulla storia, sulle persone e sui fatti legati alla Resistenza” perchè “considerare divisiva la figura di una donna che si è battuta contro il fascismo significa non aver compreso che la nostra Costituzione ha le sue radici nella Resistenza perchè antifascismo e Repubblica sono i due elementi inscindibili che danno senso alla nostra democrazia. E la democrazia dovrebbe far capo ad ogni schieramento politico e non è appannaggio di una sola parte”. Alla fine interviene il sindaco Stefano Benedetti e, per chiudere le polemiche, afferma che la sala consiliare verrà intitolata a Primetta Cipolli e il consiglio comunale approva. Adesso si aspetta la decisione della giunta che dovrà approvare la delibera.

Notizie tristi dall’Italia…ma a Roma sabato scorso durante la manifestazione della Fiom a Roma indovinate qual’era la canzone più cantata? Proprio quella che il sindaco di Pescara (e tanti come lui) non vuole proprio sentire: guardate il video in apertura.

 

Verona capitale fascista, con la scusa del calcio

Il Verona Hellas torna in serie A; i neofascisti si preparano a invadere l’Arena, con i finanziamenti e la condiscendenza del sindaco Flavio Tosi. Per festeggiare degnamente questo avvenimento alcune associazioni, tra cui l'”associazione culturale Hellas Verona”, con il patrocinio del Comune di Verona e la sponsorizzazione di tutte le sue partecipate (AMIA, AGSM, ATV), ha organizzato per lunedì 20 maggio un maxi concerto. Il palcoscenico offerto dall’amministrazione sarà all’altezza dell’evento: l’Arena, l’antico anfiteatro romano.
Il presidente dell'”associazione culturale Hellas Verona”, Alberto Lomastro, non è il primo che passa per strada. Già noto alle cronache cittadine per essere il leader carismatico della Banda Loma (nucleo dei duri e puri della curva sud nei primi anni ’90), indagato (con Yari Chiavenato di Forza Nuova, poi assolti entrambi) per la vicenda del manichino di colore impiccato dagli ultras nel 1996 come protesta contro la decisione della società di acquistare il calciatore africano Ferrier, coordinatore provinciale e candidato nelle liste della Fiamma Tricolore, poi candidato per Forza Nuova, in seguito accolto a braccia aperte nella Lega Nord di Flavio Tosi (che lo presenta per due volte in conferenza stampa).
Ad allietare la serata ci saranno gruppi musicali, cabarettisti e cantanti. Tra gli ospiti anche due band locali di riferimento dell’estrema destra: Sumbu Brothers e 1903.
Dopo una gavetta come gruppi spalla a varie band di chiara ispirazione nazi-fascista italiane tra cui gli Zetazeroalfa del leader di Casapound Gianluca Iannone, i Gesta Bellica di cui faceva parte l’attuale presidente di AMIA Andrea Miglioranzi, e i Legittima Offesa, responsabili di numerose aggressioni a Bologna, oggi i Sumbu Brothers e i 1903 hanno la possibilità di calcare un palcoscenico patrimonio storico-culturale e vera icona della città di Verona, davanti al “pubblico delle grandi occasioni”. Gli stessi hanno suonato insieme sempre qui a Verona, alla Teca, con la collaborazione del “The Firm”, circolo night-club al cui indirizzo risultano domiciliati sia la sede di Forza Nuova sia il negozio di merchandasing nazifascista “il Movimento”. E suoneranno presto di nuovo, ancora in territorio scaligero, in occasione dei vent’anni dalla nascita della Tuono Records, tra le più note etichette discografiche nazionali del cosiddetto nazirock.  Il clima in cui è maturato nel 2008 l’omicidio di Nicola Tommasoli non è cambiato. Lo stanno a dimostrare anche le numerose aggressioni che continuano tutt’oggi, ultime quella del febbraio scorso all’interno della stessa università scaligera o quelle che hanno visto protagonista Marcello Ruffo, leader locale di Casapound e consigliere in circoscrizione per la lista “Civica per Verona – Tosi sindaco”.
Ancora una volta è grazie alla strumentalizzazione dell’immagine (a Verona molto spendibile) della squadra e dei colori cittadini che chi rivendica senza pudore il proprio credo fascista riesce a veicolare la propria simbologia e le proprie pratiche. (http://www.contropiano.org)

CasaPound, fascisti del 5×1000

Fra il 2010 e il 2011 i sedicenti fascisti del terzo millennio, quelli di CasaPound, riceveranno oltre 41 mila euro del 5 per mille come si legge dalle liste dell’Agenzia delle Entrate: 27 mila è la somma indicata dagli ultimi dati diffusi – del 2011 – frutto della libera scelta fatta davanti al commercialista da un migliaio di italiani (il totale si aggira tecnicamente sui 25 mila, cifra alla quale si vanno poi ad aggiungere altri 1800 euro “in dote”, cioè la porzione ridistribuita proporzionalmente per settore, a pioggia, dal meccanismo).
Non è ancora dato sapere quanto prenderanno per il 2012, ma già si preparano alla loro quarta tornata consecutiva, il 2013. Nel frattempo gli altri 14 mila euro, datati 2010, sono arrivati a destinazione. Con i complimenti dello Stato italiano, che finanzia così de facto un partito che si richiama esplicitamente all’esperienza fascista.
Nonostante il fatto che ai partiti il 5 per mille non spetti. Perché CasaPound è, sì, un’associazione di promozione sociale, ma è principalmente un movimento e un partito politico: sta facendo campagna elettorale per un proprio sindaco alle comunali di Roma – Simone Di Stefano, già candidato governatore del Lazio – mentre alle scorse elezioni nazionali aveva provato a entrare in Parlamento.
E la legge parla chiaro: “Non si considerano in ogni caso ONLUS […] i partiti e i movimenti politici”. Lo stabilisce la cosiddetta “Legge Zamagni”, cioè il decreto legislativo 460 del 1997, all’articolo 10. Lo stesso Stefano Zamagni, ex presidente dell’Agenzia per le Onlus spenta da Mario Monti, interpellato dall’HuffPost conferma quest’interpretazione: “Niente partiti nel 5 per mille”. Inoltre, in nessuna riga del Decreto del Presidente del Consiglio del 23 aprile 2010, che aggiorna i parametri per l’accesso al 5 per mille, e al suo ricco bouquet di sgravi fiscali (criteri confermati anche l’anno seguente) si fa menzione di un’inclusione dei partiti fra i soggetti destinatari. Eccezion fatta per le cosiddette fondazioni politiche, che sono però un animale ben diverso.
Anche per questo, sfogliando gli elenchi del volontariato che attinge a questi soldi pubblici, proprio non ti aspetteresti d’incappare in CasaPound. Pregiudizio vuole, d’altronde, che parlando di organizzazioni di utilità sociale il pensiero corra più facilmente al mondo dell’associazionismo, della ricerca o della spiritualità, che a un gruppo dell’estrema destra italiana (per quanto sociale). E in effetti “CasaPound Italia”, nelle oltre ottocento pagine delle liste del 5 per mille, formalmente non ce la trovi, neppure a cercarla con il lanternino: né scritta con la “u” italiana, né con la “v” latina. Ciò che vedi, piuttosto, è una società cooperativa onlus a responsabilità limitata: “L’isola delle tartarughe”. Nome che – per chi non ha familiarità con la testuggine ottagonale del logo casapoundiano – potrebbe sembrare soltanto una delle innumerevoli associazioni animaliste dedicate al panda di turno.
Allora che cos’è veramente, questa mitica Isola delle Tartarughe? Il cosiddetto codice “Ateco” con cui è registrata (93299) indica “altre attività di intrattenimento e di divertimento”. Cioè nello specifico: sagre, mostre, animazione di feste e villaggi, ludoteche, marionette, fuochi d’artificio e stand di tiro a segno. Ma sfogliando un’aggiornata visura camerale, l’oggetto sociale della cooperativa lievita alla lunghezza monstre di sei pagine. Per prendersi cura degli emarginati – dagli ex degenti di istituti psichiatrici ai tossicodipendenti – i mezzi sono infiniti: dalla raccolta differenziata alla tutela delle arti, dalla consegna pacchi alla vendita di pezzi di ricambio per auto. Tutto ciò, con due (2) dipendenti.
Non è chiaro che cosa c’entri questo con CasaPound Italia. Sul sito, se cerchi le parole “isola delle tartarughe”, ti si risponde pacatamente: “Nessun post corrispondente alla query”. Il legame però salta facilmente agli occhi: in apertura della loro homepage campeggia a caratteri cubitali la scritta “5×1000 A CASAPOUND”, e il codice fiscale riportato in bella vista sotto la scritta – cioè 09301381001 – non lascia spazio a dubbi: è quello dell’Isola delle tartarughe (del resto neanche per una tartaruga un codice fiscale può fare riferimento a due soggetti diversi).
La parentela fra le due testuggini l’avevano già fatta notare due senatori democratici della scorsa legislatura, Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, i quali – incuriositi dalla vicenda di un casale “regalato” da Gianni Alemanno alla cooperativa in questione – in aula illustravano quanto segue: “La cooperativa ‘Isola delle tartarughe onlus’ a quanto consta agli interroganti è chiaramente riconducibile a CasaPound: Paolo Sebastianelli [l’amministratore unico, ndr] è uno stretto collaboratore del leader di CasaPound Gianluca Iannone”.
Allora come ci sono finiti negli elenchi del 5 per mille – seppure sotto altro nome – i “fascisti del terzo millennio”, e per quattro anni di seguito? La responsabilità della scelta non è dell’Agenzia delle Entrate: le cooperative sociali, infatti, una volta iscritte nell’albo tenuto dal Ministero dello sviluppo economico, diventano in gergo “onlus di diritto”. E dunque – quando ne fanno richiesta – vengono automaticamente incluse negli elenchi.
Non è dato sapere come e perché sotto l’ultimo governo Berlusconi il Mise abbia spalancato ai casapoundiani le proprie porte. Ma il risultato è che queste tartarughe sono oggi tutt’altro che in estinzione. Con quei 27.352,61 euro che gli arriveranno per il 2011, non solo raddoppiano il raccolto da un anno all’altro – senza dubbio segno del crescente successo dei fascisti ispirati allo scrittore americano Ezra Pound – ma balzano fulminee dal 2390esimo a un decorosissimo posto numero 1009 fra i più premiati dagli italici contribuenti. Subito sopra tanti altri nomi più immediatamente riconoscibili, come Soccorso degli Alpini e Fondazione Intesa San Paolo (rispettivamente poco più e poco meno di 26 mila euro), e dando uno stacco enorme ad altre, come la Fondazione Teatro la Fenice (16 mila e rotti).
“CasaPound Italia opera dal 2008 nel sociale, nel volontariato, nello sport, nella politica al servizio dei cittadini senza alcun finanziamento pubblico” – si legge sul loro sito di raccolta fondi – Hai l’opportunità di sostenerla in una campagna elettorale che sarà completamente autofinanziata”. Restano da capire due cose: il 5 per mille conta come finanziamento pubblico a un partito? E la testuggine, in questo caso, non somiglia più a un camaleonte? (http://www.huffingtonpost.it)

Firenze: i fascisti buttati fuori dall’università

Questa mattina, al Polo universitario di Novoli, i neofascisti di Casaggì, avevano allestito un banchetto per la campagna elettorale in vista delle elezioni universitarie. Contestati e allontanati dagli studenti dei collettivi. Arriva la Digos.. e identifica gli antifascisti.
Qui di seguito il comunicato degli studenti del polo universitario di Novoli:

Come sempre il teatrino elettorale universitario attira gli animali più bizzarri della città. Casaggì, centro sociale di destra, approfittando della candidatura di alcuni suoi militanti nella lista Centrodestra per l’università (quindi con Studenti per le libertà e Azione universitaria), si è presentata questa mattina al polo delle scienze sociali con volantini di propaganda fascista. Novoli però ha dimostrato ancora una volta di essere antifascista. Decine di studenti e studentesse hanno letteralmente cacciato fuori dalla facoltà i provocatori neri. Di questo infatti si è trattato, di una risposta alla provocazione di alcuni soggetti esterni all’università. Questi sono stati invitati ad andarsene ma hanno assunto un atteggiamento strafottente e rissoso (attrezzandosi anche con tirapugni). A questo punto studenti dei collettivi e altri studenti antifascisti li hanno costretti ad interrompere il volantinaggio.
Li abbiamo buttati fuori, ma non si è trattato di una guerra tra bande né di un atto antidemocratico. Non possiamo accettare la provocazione di un gruppo dichiaratamente e orgogliosamente FASCISTA, che si nutre della nostalgia del ventennio, che fomenta l’odio, che ospita nella propria sede ex terroristi neri di Terza posizione e dei Nar (vedi Adinolfi e Merlino, coinvolti rispettivamente nelle stragi di Bologna e Piazza Fontana) e che imbratta la città con croci celtiche, orrendi manifesti e inutili adesivi. Ci ripugnano le loro commemorazione dei franchi tiratori, cecchini che sparavano sui civili per coprire la ritirata nazifascista durante la liberazione, dei macellai della repubblica di salò e i loro insulti ai partigiani. Tutto questo in una città medaglia d’oro per la resistenza come Firenze è inaccettabile. Ogni giorno sentiamo di aggressioni squadriste in molte città italiane contro migranti, attivisti dei movimenti sociali e studenteschi, o durante le assemblee di istituto nelle scuole (la stessa Firenze è stata recentemente teatro dell’ omicidio di due ragazzi senegalesi in Piazza Dalmazia ad opera di un militante di Casapound). Aggressioni che ormai si verificano anche sui posti di lavoro contro i picchetti dei lavoratori in sciopero (vedi Modena, Basiano, ecc).
Per questi motivi riteniamo giusto, legittimo e anche necessario negare ogni spazio di agibilità politica in facoltà come in città a chi fomenta la guerra tra poveri e predica l’odio e la violenza. Questa idea non è portata avanti solo dai militanti dei collettivi ma da un fronte ben più ampio.. e i fatti di oggi lo hanno dimostrato!
Novoli è antifascista!
ORA E SEMPRE RESISTENZA!

Student* antifascist*

Fonte: contropiano.org

Questi sono i fascisti di casaggì: http://casaggi.blogspot.it/2013/04/un-altro-25-aprile-dai-caduti-della-rsi.html

Lettera di Alessandra Kersevan sul caso Moranino

Ecco la lettera inviata oggi (13/5/13) da Alessandra Kersevan a Il Fatto sulle ripetute vergognose affermazioni di Travaglio:

Scrivo a proposito della replica di Marco Travaglio alla famiglia Moranino.
Travaglio dice che Moranino non fu condannato da un tribunale fascista ma «dalla magistratura della Repubblica italiana per sette efferatissimi delitti avvenuti nel novembre del 1944 e non coperti neppure dall’amplissima amnistia varata dal compagno Togliatti nel 1946, perché con la lotta partigiana non c’entravano nulla».
Riguardo alla prima parte di questa affermazione, se bastasse che una sentenza sia fatta dalla magistratura della Repubblica italiana per essere “giusta”, la gran parte degli articoli su cui il giornalista MarcoTravaglio si è fatto in questi anni la sua carriera professionale sarebbe inutile e da rigettare, dal momento che lui esiste in quanto giornalista proprio perché la magistratura della Repubblica purtroppo in questi decenni ha sbagliato un mucchio di sentenze, anche nei confronti del suo principale obiettivo giornalistico Berlusconi. Per non parlare poi di tutte le stragi non punite, e di tutti gli scandali di questo dopoguerra, in cui sono stati coinvolti proprio dei magistrati in casi di corruzione. Travaglio dovrebbe sapere inoltre che nei primi anni della Repubblica la magistratura continuò ad essere costituita da magistrati che si erano formati nel fascismo, addirittura un presidente della Corte Costituzionale degli anni cinquanta, Gaetano Azzariti, era stato durante il fascismo presidente del Tribunale della Razza.
Per quanto riguarda la seconda parte della sua affermazione, dovrebbe leggersi un po’ di libri sull’argomento e scoprirebbe che l’amnistia Togliatti che era stata pensata come atto di clemenza nei confronti dei fascisti meno responsabili, venne applicata in maniera molto “larga”, da una parte della magistratura, per assolvere, invece, i maggiori responsabili: famoso è il caso del criminale di guerra Junio Valerio Borghese che riuscì con la complicità del presidente della corte d’assise che lo giudicava, il giudice Caccavale, ad essere praticamente scarcerato dopo un paio d’anni di galera, storia raccontata non da uno storico comunista, ma da Giorgio Bocca. Contemporaneamente, gli stessi magistrati, iniziarono una vera e propria persecuzione nei confronti dei partigiani. Era successo qualcosa in Italia e nel mondo nel frattempo, che possiamo riassumere nel termine “guerra fredda”, che in Italia significò “guerra ai comunisti”. Moranino, comandante partigiano amato e rispettato dalla gente della sua terra che lo elesse con tantissime preferenze al parlamento, fu vittima di questa guerra, condotta in tutti i modi dalla democrazia cristiana e dai serivizi segreti. Posto che Moranino non avrebbe neppure dovuto essere inquisito, tuttavia l’amnistia Togliatti per Moranino non fu applicata perché si aggiunse alle imputazioni l’accusa di furto, che come reato comune non rientrava nell’amnistia. Ma era un’accusa completamente inventata. Se Travaglio leggesse gli atti processuali, o anche solo il libro di Recchioni che li analizza, capirebbe.

Alessandra Kersevan
Udine, 13 maggio 2013

http://anpimirano.it/2013/travaglio-e-criminali-della-guerra-partigiana/

Bloccare qualsiasi sfregio alla Costituzione

La “contro-convenzione” di Rodotà per la sinistra: nuovo fronte d’opposizione dalla Fiom ai dissidenti del Pd per bloccare qualsiasi tipo di sfregio alla Costituzione.
di Giampiero Calapà (“Il Fatto” 3 maggio 2013)

Nasce la Controconvenzione di Stefano Rodotà per bloccare “eventuali sfregi alla Costituzione”: la sinistra e l’opposizione ripartono da qui, Cinque Stelle compresi (“Hanno voglia di imparare come si fa politica, non possiamo escludere nessuno”). E da “nuovi cantieri”, quello di Sel è già fissato a piazza Santi Apostoli l’11 maggio, per riorganizzare un’area che “con l’implosione del Pd subisce un vuoto pericoloso”.
“Una Convezione bipartisan – denuncia il giurista –, magari presieduta da Silvio Berlusconi per sfregiare la Costituzione, sarebbe un grave errore. Badate che la riforma elettorale non è già più una priorità del governo, quella è la cosa che il parlamento dovrebbe fare subito”. Le parole di Stefano Rodotà, ieri all’Eliseo di Roma, hanno riunito la sinistra, “grande patrimonio storico del Paese”. Lunga la schiera di invitati del nuovo fronte all’iniziativa organizzata dal settimanale Left: da Sergio Cofferati alla Fiom, rappresentata da Francesca Redavid, da Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia all’ex pm Gherardo Colombo ad Antonio Ingroia, dallo storico Adriano Prosperi a Gennaro Migliore di Sel.
Tutti al tavolo del direttore di Left Maurizio Torrealta, davanti ad un teatro pieno di cittadini ed elettori rimasti senza punti di riferimento. Che hanno riservato, Rodotà escluso, l’applauso più lungo e sentito a Pippo Civati, il dissidente Pd che non ha votato la fiducia al governo Letta, uscendo dall’aula. E hanno fischiato Vito Crimi, capogruppo al Senato dei Cinque Stelle, quando ha cercato di spiegare: “Sono felice di essere qui con persone con una forte connotazione di sinistra, nell’accezione migliore del termine. Dico questo ma voglio aggiungere che non condivido gli estremismi, non andrei a braccetto con Casa Pound, ma darei una limata da entrambe le parti: il diritto alle ideologie è sacrosanto, ma a noi interessa la buona amministrazione, diciamo no agli steccati ideologici”. Fischi e malumori, gli applausi Crimi li recupera solo con l’aneddoto dell’incontro con un commosso Rodotà, quando lui e Roberta Lombardi gli hanno riferito della candidatura alla presidenza della Repubblica. Lo stesso Rodotà poco prima aveva parlato proprio delle differenze tra destra e sinistra: “Il vuoto che l’implosione del Partito democratico crea è pericoloso. Io non ho consigli da dare, ma al dirigente politico del Pd che nei giorni scorsi ha sostenuto che un dipendente delle poste di certo non sa chi è Rodotà (Stefano Fassina, ndr), rispondo di non guardare dentro gli uffici postali, ma piuttosto alla società italiana, perché ci sono tanti come me che adesso stanno aprendo dei cantieri a sinistra. Dico questo essendo conscio dell’eccesso della legittimazione nei miei confronti: non ho mai mandato tanti sms come in questi giorni. Quando è morto il capo della polizia Antonio Manganelli qualcuno ha scherzato: per la successione si fanno i nomi di Rodotà e Zagrebelsky”. Entusiasmo e applausi, appunto, anche per Civati: “Abbiamo un governo che non deve durare troppo: deve fare la legge elettorale… perché io, che rappresento il 3 per cento del Pd, non ho capito cosa vogliono fare, secondo me non è il caso di togliere l’Imu ai ricchi per esempio”. Poi Civati dice di voler restare nel partito, per giocarsi la partita del Congresso, che deve essere anticipato. La stessa cosa che chiede da giorni Sergio Cofferati: “L’abbandono silenzioso di iscritti ed elettori è preoccupante, ma dobbiamo lavorare per scongiurare scissioni”. Il vendoliano Migliore annuncia: “Abbiamo proposto di abolire la parata militare del 2 giugno”. E il prossimo appuntamento per questa ritrovata area di sinistra d’opposizione, che invoca cantieri e spera in un nuovo inizio, sarà proprio durante la festa della Repubblica: “Per noi quel giorno è anche la festa della Costituzione, faremo una manifestazione – rilancia Sandra Bonsanti – con Rodotà e Zagrebelsky, perché bisogna ripartire dall’opposizione a riforme sciagurate”. Quindi, parola di Rodotà, “occorre organizzare questa Controconvenzione, nella speranza che quella vera, la Convenzione di Pd e Pdl, alla fine non funzioni”.