25 aprile: notizie dall’Italia

Il 25 aprile è già passato e mai come quest’anno, almeno in Veneto, abbiamo avuto un così consistente numero di celebrazioni, concerti e conferenze sul tema della Resistenza. C’è anche chi vuole infangare questa data fondamentale per la Repubblica Italiana ed è successo a Pescara, la culla della Brigata Maiella, l’unica formazione partigiana decorata con la medaglia d’oro al valor militare e alla bandiera, la prima ad entrare a Bologna e a proseguire il suo cammino fino ad Asiago per liberare l’Italia dai nazisti e dai loro alleati fascisti repubblichini. Il sindaco di Pescara, Luigi Mascia, ha scritto una lettera di censura alla preside Assunta D’Emilio, dirigente scolastica dell’istituto “11 Febbraio 1944“, per aver fatto cantare “Bella Ciao” ai suoi alunni, durante le celebrazioni della Liberazione: secondo il sindaco la canzone è “di chiaro orientamento politico” e per questo accusa la dirigente di “aver trasformato le celebrazioni del 25 aprile in una sorta di conviviale di partito”. Da notare che l’istituto “11 Febbraio 1944” è intitolato così perchè sorge vicino al luogo dove, in quella data,  furono fucilati dai nazisti 9 partigiani italiani catturati in precedenza da fascisti locali. L’ignoranza sulla Resistenza e quanto decisiva è stata per far nascere la nostra Costituzione non è solo appannaggio dei personaggi di centrodestra ma anche di qualcuno del centrosinistra, visto il clima di questi ultimi periodi, saturo di “inciuci” e di asservimento a idee e comportamenti non certo di sinistra. Succede nel comune di Cecina (in provincia di Livorno) dove il segretario comunale e anche segretario dell’Anpi locale, Paolo Bertolini, presenta una mozione in consiglio comunale per dedicare la sala consiliare a Primetta Cipolli: durante il fascismo Primetta è stata un’esponente di spicco del Partito Comunista e un’attivista antifascista. Sposata con Oreste Marcucci, perseguitato dal fascismo e morto nel 1938 sul fronte dell’Ebro durante la guerra civile spagnola, dopo la guerra fu la prima donna ad assumere un incarico istituzionale diventando assessore all’istruzione. Alcuni consiglieri del centro sinistra si oppongono in quanto la figura della partigiana è “divisiva” e non “condivisiva” da tutti i consiglieri e quindi le viene intitolata solo una stanza del comune. Il comitato provinciale dell’Anpi attacca i consiglieri accusandoli di “pressapochismo” e contestando “l’ignoranza sulla storia, sulle persone e sui fatti legati alla Resistenza” perchè “considerare divisiva la figura di una donna che si è battuta contro il fascismo significa non aver compreso che la nostra Costituzione ha le sue radici nella Resistenza perchè antifascismo e Repubblica sono i due elementi inscindibili che danno senso alla nostra democrazia. E la democrazia dovrebbe far capo ad ogni schieramento politico e non è appannaggio di una sola parte”. Alla fine interviene il sindaco Stefano Benedetti e, per chiudere le polemiche, afferma che la sala consiliare verrà intitolata a Primetta Cipolli e il consiglio comunale approva. Adesso si aspetta la decisione della giunta che dovrà approvare la delibera.

Notizie tristi dall’Italia…ma a Roma sabato scorso durante la manifestazione della Fiom a Roma indovinate qual’era la canzone più cantata? Proprio quella che il sindaco di Pescara (e tanti come lui) non vuole proprio sentire: guardate il video in apertura.

 

15 maggio 1916: nasce Paride “Bruno” Brunetti

Nato a Gubbio il 15 maggio 1916, conseguì a Vicenza la maturità classica al liceo “Antonio Pigafetta” militando in quel periodo nell’Azione Cattolica. Nel 1937 entrò all’Accademia Militare e col grado di sottotenente passò alla Scuola di Applicazione d’Artiglieria di Torino, terminandola nel 1941 con la nomina a tenente. Nel 1942 partì da Padova alla volta dell’Unione Sovietica con la spedizione ARMIR. Ritorna a Padova nell’aprile del ’43, dopo una lunga marcia. Di quel periodo la “conversione” che gli avvenimenti e le esperienze trascorse avevano fatto maturare. A Padova entrò in contatto con Concetto Marchesi, famoso latinista poi rettore dell’Università locale, e con Egidio Meneghetti; insieme formarono già da allora un primo nucleo organizzato di antifascisti. Il 10 settembre del ’43 (due giorni dopo l’armistizio) “Bruno” allestì, in collegamento con il C.L.N., le prime formazioni armate proprio a Padova, poi venne chiamato a organizzare vari nuclei partigiani dal Piave al Grappa, per andare in seguito a costituire nel feltrino la brigata “Gramsci” e diventa comandante del “Boscarin”, il primo reparto armato dei partigiani costituitosi sopra Lentiai e poi nella valle del Mis: ne tenne il comando fino al maggio 1945 quando ritornò nella “Zona Piave” quale vicecomandante per poi infine essere nominato responsabile della Piazza di Belluno.
Assieme a Raffaele Cadorna, comandante del C.V.L, e a Ferruccio Parri, fu insignito a Milano dal generale Clark (5° Armata) della Bronze Medal Star, prestigiosa onorificenza americana.
Nel giugno 1944 porta a termine quello che fu il più importante atto di sabotaggio a livello europeo compiuto dalla Resistenza italiana facendo saltare in aria un tratto della galleria ferroviaria della Valsugana presso il forte Tombion di Cismon del Grappa. Seguì poi la distruzione della cabina elettrica dello stabilimento della “Metallurgica” di Feltre che produceva pezzi per aerei militari. Per quei fatti fu insignito nel 1947 della Medaglia d’argento al Valor Militare dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri on. Alcide Degasperi. In seguito Feltre gli concesse la Cittadinanza Onoraria, come pure Vittorio Veneto.
Finita la guerra, “Bruno” proseguì nella carriera militare fino al 1958 quando l’allora ministro della Difesa gli nega la promozione a tenente colonnello per le sue idee politiche. Tornato alla vita civile terminò gli esami universitari e laureatosi in Ingegneria entrò alla Montedison. In seguito ricoprì la carica di consigliere comunale nelle liste del P.C.I. a Saronno, sua città di adozione dove è morto il 9 gennaio 2011 all’età di 94 anni.

Il sabotaggio di Forte Tombion

Un’intervista al comandante “Bruno”

Oggi è anche il compleanno di Umberto “Eros” Lorenzoni , presidente dell’Anpi di Treviso: tanti auguri a Umberto da tutta l’Anpi di Mirano!

Lettera di Alessandra Kersevan sul caso Moranino

Ecco la lettera inviata oggi (13/5/13) da Alessandra Kersevan a Il Fatto sulle ripetute vergognose affermazioni di Travaglio:

Scrivo a proposito della replica di Marco Travaglio alla famiglia Moranino.
Travaglio dice che Moranino non fu condannato da un tribunale fascista ma «dalla magistratura della Repubblica italiana per sette efferatissimi delitti avvenuti nel novembre del 1944 e non coperti neppure dall’amplissima amnistia varata dal compagno Togliatti nel 1946, perché con la lotta partigiana non c’entravano nulla».
Riguardo alla prima parte di questa affermazione, se bastasse che una sentenza sia fatta dalla magistratura della Repubblica italiana per essere “giusta”, la gran parte degli articoli su cui il giornalista MarcoTravaglio si è fatto in questi anni la sua carriera professionale sarebbe inutile e da rigettare, dal momento che lui esiste in quanto giornalista proprio perché la magistratura della Repubblica purtroppo in questi decenni ha sbagliato un mucchio di sentenze, anche nei confronti del suo principale obiettivo giornalistico Berlusconi. Per non parlare poi di tutte le stragi non punite, e di tutti gli scandali di questo dopoguerra, in cui sono stati coinvolti proprio dei magistrati in casi di corruzione. Travaglio dovrebbe sapere inoltre che nei primi anni della Repubblica la magistratura continuò ad essere costituita da magistrati che si erano formati nel fascismo, addirittura un presidente della Corte Costituzionale degli anni cinquanta, Gaetano Azzariti, era stato durante il fascismo presidente del Tribunale della Razza.
Per quanto riguarda la seconda parte della sua affermazione, dovrebbe leggersi un po’ di libri sull’argomento e scoprirebbe che l’amnistia Togliatti che era stata pensata come atto di clemenza nei confronti dei fascisti meno responsabili, venne applicata in maniera molto “larga”, da una parte della magistratura, per assolvere, invece, i maggiori responsabili: famoso è il caso del criminale di guerra Junio Valerio Borghese che riuscì con la complicità del presidente della corte d’assise che lo giudicava, il giudice Caccavale, ad essere praticamente scarcerato dopo un paio d’anni di galera, storia raccontata non da uno storico comunista, ma da Giorgio Bocca. Contemporaneamente, gli stessi magistrati, iniziarono una vera e propria persecuzione nei confronti dei partigiani. Era successo qualcosa in Italia e nel mondo nel frattempo, che possiamo riassumere nel termine “guerra fredda”, che in Italia significò “guerra ai comunisti”. Moranino, comandante partigiano amato e rispettato dalla gente della sua terra che lo elesse con tantissime preferenze al parlamento, fu vittima di questa guerra, condotta in tutti i modi dalla democrazia cristiana e dai serivizi segreti. Posto che Moranino non avrebbe neppure dovuto essere inquisito, tuttavia l’amnistia Togliatti per Moranino non fu applicata perché si aggiunse alle imputazioni l’accusa di furto, che come reato comune non rientrava nell’amnistia. Ma era un’accusa completamente inventata. Se Travaglio leggesse gli atti processuali, o anche solo il libro di Recchioni che li analizza, capirebbe.

Alessandra Kersevan
Udine, 13 maggio 2013

http://anpimirano.it/2013/travaglio-e-criminali-della-guerra-partigiana/

9 Maggio Giorno della Vittoria (день Победы)

Il 9 maggio è il Giorno della Vittoria in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale.
La resa fu firmata nella tarda sera dell’8 maggio 1945 (già il 9 maggio a Mosca), in seguito alla capitolazione concordata in precedenza con le forze alleate sul fronte occidentale. Il governo sovietico annunciò la vittoria la mattina del 9 maggio, dopo la cerimonia di firma avvenuta a Berlino. In Italia questa ricorrenza è meno sentita che nel resto dell’Europa, specialmente in quella orientale, perchè da noi la fine della Seconda Guerra Mondiale è segnata dall’insurrezione generale proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale il 25 aprile 1945. In poche ore i partigiani liberarono tutto il nord Italia ancora sotto occupazione nazifascista. Nel resto del continente si continuò a combattere per un altro paio di settimane, e visto che per i tedeschi si trattava del combattimento finale, le battaglie furono cruente.
La bandiera rossa sopra il Reichstag sventolò solo il 2 maggio 1945, data della fine della battaglia di Berlino (due anni e tre mesi dopo la fine della battaglia di Stalingrado, datata 2 febbraio 1943), ma Praga sarà conquistata solo una settimana più tardi.
Il 9 maggio, nelle prime ore del mattino, la radio a Mosca annunciò alla popolazione la resa incondizionata della Germania Nazista.
La popolazione si riversò immediatamente per le strade della città, commossa e provata per la fine di un grande incubo, per una vittoria pagata a carissimo prezzo (28 milioni di morti). Tra bandiere rosse e ritratti di Stalin la gioia, pur in un periodo di enormi e collettivi lutti, fu incontenibile.
Per tutti il 9 maggio è da allora ricordato come il Giorno della Vittoria (in russo: день Победы DenPobedy), celebrato ogni anno con una grande parata militare in Piazza Rossa a Mosca.
Molte nazioni d’Europa celebrano il giorno della vittoria con 24 ore di anticipo rispetto all’Unione Sovietica, poichè l’ultima firma tedesca avvenne nella tarda sera dell’8 maggio 1945, quando però a Mosca era già passata la mezzanotte.

 Galleria fotografica sui festeggiamenti nella ex-Unione Sovietica

4 maggio 1944: Strage di Sant’Angelo di Arcevia

Con la firma dell’armistizio e la fuga dei vertici politici dello stato italiano, salgono ad Arcevia antifascisti noti e meno noti, giovani e non, che vogliono combattere. Nascono le prime formazioni partigiane, nella maggior parte dei casi guidate da antifascisti e perseguitati politici dell’anconetano. A questi gruppi si uniscono anche degli slavi che, scappati dal campo di concetramento di Arezzo, stanno marciando verso Ancona per imbarcarsi e tornare a casa. Il loro percorso, però, si ferma sugli appennini dove viene detto loro che imbarcarsi ad Ancona è impossibile e pericoloso vista la forte presenza fascista. Così, restano sull’appennino marchigiano e combattono con i partigiani locali per la Liberazione di un paese non loro.
Il 20 gennaio 1944 il comando Monte Sant’Angelo fa il primo attacco ad una caserma fascista, vicina ad Arcevia, per recuperare armi. Da quel giorno le azioni si fanno più frequenti fino ad aprile. Con due azioni ravvicinate e di successo, il 17 e il 27 aprile 1944, il gruppo libera tutta l’area comunale di Arcevia. E, liberate, le persone possono tornare a festeggiare il 1 Maggio.
Il successo dei partigiani allarmò i repubblichini e i tedeschi che prepararono un rastrellamento dalle proporzioni spaventose. Il gruppo aveva previsto la reazione nazista e decise di dividersi in sotto-nuclei per mettersi al salvo in zone diverse e lontane da Arcevia. Solo un gruppo rimase sul Monte Sant’Angelo, insieme ai prigionieri.
La notte tra il 3 e il 4 maggio, 2.000 soldati salirono ad Arcevia e arrivarono fino al Monte Sant’Angelo dove, nella casa della famiglia Mazzarini, stavano passando la notte i partigiani rimasti insieme ai prigionieri fascisti. La rappresaglia nazifascista non risparmiò nessuno, neanche la piccola Palmina che aveva 6 anni.
Poi, proseguirono alla ricerca degli altri partigiani, sparpagliati verso l’Appennino. Furono giustiziati, evirati, torturati.
Sono passati 69 anni, ma questo è un giorno triste per ognuno di noi. In queste stesse ore del 4 maggio 1944, i cittadini di Arcevia erano stati radunati tutti in piazza, senza possibilità di tornare a casa o andare via. Perché la punizione, la paura e la rappresaglia dovevano colpire tutti. Dalla piazza, le persone sentivano i colpi dei fucili, le esplosioni delle bombe a mano e vedevano le camionette salire verso le montagne alla ricerca di altra carne da macellare.
Chi nega il valore della Resistenza, nega tutto questo. Sputa sulle vittime. Io ricordo. Ho il privilegio e il dovere di ricordare. E l’obbligo di contrastare chiunque osi dire oggi che i partigiani siano da mettere sullo stesso piano dei repubblichini di Salò. Non fu così e non sarà mai così.
Goliarda Sapienza ha scritto che “I morti hanno torto se non c’è qualcuno che li difende”. Abbiamo tutti il dovere, in questo momento storico, di difendere senza reticenze coloro che morirono nel giusto, coloro che combatterono nel giusto, coloro che innocenti furono ammazzati dai fascisti e dai nazisti. (da http://aprilemaggio.blogspot.it)
Ecco una canzone dei Gang dedicata al 4 maggio 1944:

2 maggio 1945: Strage di Avasinis

Il Memoriale di Avasinis

“A Osoppo e a Gemona le campane suonavano a festa, perché erano arrivati gli Alleati; ad Avasinis ha invece suonato per mezza giornata solo la campana a morto… ” – così un’anziana donna di Avasinis, ricorda la palese contraddizione della contemporanea presenza di un Friuli liberato, all’inizio di maggio 1945, contrapposto al dramma di un eccidio perpetrato ad Avasinis, piccola frazione del Comune di Trasaghis.
La strage di Avasinis costò la vita a 51 persone, in massima parte donne, vecchi e bambini ed ebbe luogo il 2 maggio 1945, proprio nella giornata in cui entrava in vigore in Italia l’atto di cessazione delle ostilità. Un reparto delle SS era giunto a Trasaghis nel pomeriggio del 1° maggio e al mattino del giorno successivo si diresse verso Avasinis. Uno sparuto gruppo di partigiani tentò di sbarrare la strada ma fu rapidamente messo in fuga dai mortai e dalle mitragliatrici pesanti di cui disponeva il reparto.
I tedeschi, appena giunti in paese, si sparsero per le vie e iniziarono una sistematica perquisizione ed il saccheggio delle case uccidendone spesso gli occupanti, donne o bambini o anziani inermi che fossero, apparentemente senza una logica preordinata: a volte uccisero tutti gli occupanti di una casa, a volte una sola persona, secondo il capriccio o la casualità delle scelte di ogni singolo soldato.
Relativamente alle motivazioni dell’episodio, di fronte alla discussione storico – politica che si trascina da decenni, un ricercatore come Diego Carpenedo ritiene che appaia verosimile “un’unica spiegazione: la volontà di trasmettere un messaggio sinistro e minaccioso, in grado di far comprendere che non sarebbe stato tollerato il minimo intralcio ai movimenti delle SS in ritirata verso l’Austria”.
Anche se sono passati sessantaquattro anni da quei fatti, un limite temporale capace di diradare inesorabilmente il numero dei testimoni diretti di quelle vicende, l’Amministrazione comunale di Trasaghis continua a proporre una occasione per mantenere vivo il senso della memoria, per trasmettere anche a quanti non hanno vissuto direttamente quei giorni la conoscenza del dramma e del sacrificio della popolazione. La periodica commemorazione si lega infatti a un piano articolato che ha previsto la effettuazione di ricerche e la presentazione di libri (come la pubblicazione del diario del parroco dell’epoca, don Zossi, a cura di Pieri Stefanutti) e filmati (“Avasinis luogo della memoria” di Dino Ariis) che hanno consentito di ricostruire nei dettagli le circostanze dell’episodio e la drammaticità di quello che è stato definito il maggiore eccidio di civili in Friuli nel corso della seconda guerra mondiale.

30 aprile 1944: strage di Lipa (Fiume)

La lapide in ricordo della strage di Lipa

Non serve molto per capire cosa è stato fatto quel giorno, a meno di un’ora, a qualche decina di chilometri da Trieste, in questo piccolo villaggio vicino a Rupa, sulla strada tra Fiume e Trieste.
Quelle due cifre, 87 abitazioni e 85 tra stalle e altri edifici, ad appena 21 km da Fiume.
Era una domenica pomeriggio; i maschi adulti o giovani impegnati quasi tutti con i partigiani erano da tempo via dal villaggio. Un monumento nel centro del paese, quasi di fronte alla lapide della foto, ricorda i 17 partigiani di Lipa caduti durante la guerra di liberazione jugoslava. Nei pascoli intorno qualche ragazzo o ragazza, 4 o 5 in tutto, attenti al bestiame. La neve se ne era andata da poco. E una famiglia giù a Fiume, in città. Sarebbe ritornata il giorno dopo, sorpresa dai militari addetti alla “bonifica” e sterminata per impedire scomode testimonianze.
Al mattino era stata attaccata da una brigata partigiana la caserma di Rupa, un paese un po’ più grosso, dove la stazione dei carabinieri fascisti serviva da presidio per il controllo della strada che collegava Fiume a Trieste. Da Fiume sta sopraggiungendo una colonna di una trentina di soldati tedeschi che vengono chiamati in soccorso e mentre stanno ancora decidendo il da farsi una granata li colpisce; 4 soldati tedeschi muoiono. Questo episodio fa scattare la rappresaglia. Vengono chiamati rinforzi da Ilirska Bistrica, un reparto speciale guida l’azione che dovrà essere “esemplare”. Viene chiesto ai carabinieri da quale villaggio intorno a Rupa fossero originari con certezza i partigiani. E i carabinieri li accompagnano a Lipa…
Madri, bambini e anziani vengono condotti e stipati nell’ultima casa di Lipa e bruciati vivi. Le bombe a mano gettate dentro per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti furono 269, fra cui tre bambine che non avevano neanche un anno.
Ma la caratteristica straordinaria di questa strage sono le fotografie originali, scattate da qualche soldato addetto alla documentazione delle azioni di guerra (immagino), stampate di nascosto nel laboratorio fotografico di Ilirska Bistrica e ancor oggi conservate e solo parzialmente riprodotte nel piccolo Museo di Lipa; la cui visita è un vero “pugno nello stomaco” per chi non sa cosa abbiamo combinato – noi brava gente – in quei luoghi. (da http://fiumetrieste.blogspot.it)

 

mt

Ho inviato una lettera a “Il Fatto” esprimendo le mie perplessità su quello che aveva scritto Marco Travaglio in un articolo su Giuseppe Saragat, in cui descriveva Francesco Moranino come “un criminale della guerra partigiana”. Questa la sua risposta (non pubblicata sul giornale):

Caro Roberto,
Moranino era un feroce aguzzino, colpevole di fatti che ben travalicavano la guerra. Cordiali saluti
mt

come potete leggere sono parole che non ammettono replica e che, Marco Travaglio (d’ora in poi mt), sicuramente  afferma sapendo di dire una cosa sbagliata, vista la notevole documentazione esistente e il libro di Massimo Recchioni appena uscito. Forse le sue fonti sono i libri di Pansa e allora si capisce la diffamazione di una figura simbolo della Resistenza (da leggere come viene descritto nel sito dell’Anpi nazionale) che mt prende ad esempio per denigrare una lotta di popolo che ha permesso di riscattare tutti gli italiani (compreso mt). Forse imparerebbe qualcosa di diverso e per lui sconosciuto, dalle parole di una ragazza di terza media che ha scritto questo: “Il popolo sotto oppressione di una dittatura terribile e insensata ha combattuto per la libertà, la fine della guerra, i propri diritti che venivano violati. È stato un movimento soprattutto di giovani di diverse età e classe sociale, anche di vari partiti.
E molti di quei giovani sono morti, ma ancora oggi è importante ricordarli poiché nei luoghi dove hanno combattuto e dato la vita si sono scritte le prime pagine della nostra Costituzione, quella della Repubblica Italiana, libera dalla dittatura e che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.”

Penso che mt dovrebbe vergognarsi per aver descritto il comandante “Gemisto” con quelle parole. Cordiali saluti (non a mt)

Roberto (Anpi Mirano)

 

27 aprile 2013: commemorazione di Antonio Gramsci

Nell’anniversario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937 dopo dieci anni di carcere fascista, il Centro Gramsci, in collaborazione con l’Anpi di Mirano, del Partito Democratico, del Partito della Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Ecologia e Libertà e l’Italia dei Valori organizza il convegno: “Partigiani prima del 1943” nella sala conferenze di Villa Errera alle ore 17.00.

P.P. Pasolini sulla tomba di Gramsci

Mirano: 25 aprile 2013 Festa della Liberazione

Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è.In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale. (P. P. Pasolini “Scritti Corsari” 1975)

Per commemorare, per ricordare, perchè la memoria non sia una cosa astratta, troviamoci tutti (iscritti, simpatizzanti, antifascisti) questa mattina davanti alla Casa del Combattente a Mirano alle 9.30.

ORA E SEMPRE RESISTENZA!