Beppe Fenoglio

Dante Isella: “…rispetto alla letteratura cosiddetta resistenziale, il romanzo di Fenoglio è come il Moby Dick nella letteratura marinara. La sua dimensione epica dilata lo spazio e il tempo dell’azione oltre le loro misure reali”

Italo Calvino (a proposito di “Una questione privata”): “…è costruito con la geometrica tensione d’un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l’Orlando furioso, e nello stesso tempo c’è la resistenza proprio com’era di dentro e di fuori, vera come era stata scritta, serbata per tanti anni nella memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro e quest’altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perchè…”

Beppe Fenoglio a Italo Calvino che gli chiedeva qualche dato da includere nella presentazione del suo primo libro “I ventitrè giorni della città di Alba”: “Circa i dati biografici, è dettaglio che posso sbrigare in un baleno. Sono nato ad Alba il 1° marzo 1922, studente al ginnasio liceo, poi all’Università, ma naturalmente non mi sono laureato. Soldato del Regio e poi partigiano. Oggi uno dei procuratori di una nota ditta enologica. Credo che sia tutto qui. Ti basta, no? Mi chiedi una fotografia. Ora, sono sette anni circa che non mi faccio fotografare…”.

Beppe Fenoglio se n’è andato 50 anni fa e il silenzio “rumoroso” sulla ricorrenza della morte di uno dei più grandi scrittori italiani fa pensare…è stato il più grande cantore della guerra di liberazione contro i nazifascisti, anche se non è stato solo questo. C’ è uno scritto di Gina Lagorio, rivolto ai ragazzi delle scuole medie, che parla di lui e ci fa capire la sua grandezza. Questo è il brano:

“Beppe Fenoglio era nato ad Alba, il 1° marzo del 1922. Nella cittadina Beppe passò l’intera vita, allontanandosene solo durante la parentesi del servizio militare e della guerra. Compì pochi viaggi e sempre per ragioni di lavoro: l’attacamento ad Alba fu, insieme alla tenacia degli affetti e dell’amicizia, un suo carattere distintivo e in lui durò tutta la vita. Nel liceo di Alba, Fenoglio ebbe la fortuna di avere maestri d’eccezione: c’era il fascismo, la libertà di pensiero e d’opinione era soffocata, la propaganda ufficiale, attraverso la radio, nei giornali, nella scuola, coltivava i miti della potenza militare e della supremazia di una razza sulle altre. Fenoglio rifiutò istintivamente la retorica che vedeva manifestarsi nelle parate fasciste ed ebbe, in questo rifiuto, il sostegno del suo professore di lettere Leonardo Cocito e del filosofo Pietro Chiodi, entrambi antifascisti e più tardi partigiani combattenti: il primo pagò con la morte per impiccagione da parte dei tedeschi la sua fede politica. Iscrittosi alla facoltà di lettere a Torino, e scoppiata la guerra, dovette interrompere gli studi per partecipare a un corso allievi ufficiali: trasferito a Roma, fu colto là dalla caduta del fascismo e dall’armistizio. Come per tanti altri giovani, l’8 settembre del’43 segnò per Fenoglio la lunga fuga verso casa e poi la ribellione armata sulle colline, dove militò nelle formazioni autonome di Mauri, cioè non legate ad alcun partito politico. A Liberazione avvenuta, rientrato in Alba, si impiegò in una ditta vinicola dove rimase fino alla morte, avvenuta per cancro ai bronchi il 18 febbraio 1963. Oltre le opere pubblicate da vivo (dopo “I ventitrè giorni della città di Alba” apparve nel ’54 “La malora” e nel ’59 “Primavera di bellezza”) altre ne sono apparse postume, tratte da una mole di scritti suoi: molte pagine sono vergate sul retro dei fogli commerciali della ditta, perchè Fenoglio era scrittore tenacissimo, paziente creatore del suo stile, tanto sdegnoso di ogni chiasso intorno al suo nome, di ogni pubblicità, quanto persuaso della propria vocazione. La fama l’ha raggiunto tardi, con le opere postume: “Una questione privata” è stato giudicato il racconto “più bello della Resistenza” e “Il partigiano Johnny” ha costituito l’avvenimento letterario più importante di questi ultimi anni, suscitando un acceso interesse per lo scrittore di Alba, indicato come “il più interessante tra i nostri narratori rivelatisi nel dopoguerra”. In un inedito, “L’affare dell’anima”, c’è un inciso illuminante: “Molti, specie i vecchi, sulle Langhe chiamavano semplicemente ‘allora’ i tempi dei partigiani”. Anche per Fenoglio quei tempi furono ‘allora’: egli ebbe chiara coscienza che la Resistenza era stato il momento centrale della sua vita, come per Dante era stato il periodo dell’esilio. La Resistenza fu la sua Iliade e la sua Odissea: una lotta accettata per tornare a vivere da uomo nella terra che amava. Se c’è uno scrittore che può aiutarvi a capire quella che è stata la storia dei vostri padri, e il significato più vero della Resistenza, questo è proprio Fenoglio, che la visse fino all’ultimo e ne ripensò poi sempre gli eventi e gli uomini, facendoli rinascere nelle sue pagine. Senza retorica, senza dividere l’umanità in buoni e cattivi, senza indulgere a nessuna esaltazione: i suoi guerrieri sono ragazzi poco più vecchi di voi, imprevidenti spesso, vanitosi e litigiosi: talvolta giocano con le armi, ma le hanno scelte volontariamente, preferendo rischiare la pelle piuttosto che vendersi l’anima. Quei ragazzi seppero resistere al nemico soverchiante e al freddo, alla fame, ai disagi; molti non tornarono; oggi li si ricorda il 25 aprile: una celebrazione ufficiale a cui voi, forse, guardate con un poco di indifferenza. Ma la Resistenza non è una “leggenda” e non è storia passata: è una scelta morale, che condiziona l’intera esistenza; è presente in tutta la nostra storia e in quella di ogni popolo che si conquista la sua libertà e la sua giustizia: sempre la muove l’amore della terra in cui si è nati e che si difende per viverci da uomini. Per questo le pagine di Fenoglio sono cariche di vita, tutta, col suo peso di male e di bene, di violenza e di pietà; quei suoi guerrieri respirano ancora, negli eroismi e nelle debolezze, come respirano tutti gli uomini che nel mondo difendono il loro diritto a un’esistenza civile“.

Giuseppe Cederna legge il brano “L’amore si fa ripensare” da “Appunti partigiani”:

https://www.youtube.com/watch?v=-w4Qk-bZVmw

Giovanni Lindo Ferretti (CSI) legge “Il gorgo”:

http://www.youtube.com/watch?v=MJ96STkGaCs

Quelli che non si sono dimenticati di Beppe: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=11921

I personaggi (veri) de “Il Partigiano Johnny”: http://www.parcoletterario.it/it/autori/fenoglio_personaggi.htm

Milano: fascisti cacciati dal Liceo Manzoni

S’erano aggirati tutta la settimana scorsa all’uscita di alcuni licei milanesi, ogni volta col solito fare intimidatorio e raccogliendo solo astio e lontananza.
Ma “chi cerca trova”, dice il detto, e alla fine i fascisti della Fiamma Tricolore sono riusciti a farsi cacciare per bene con la coda tra le gambe!
Quasi duecento studenti, all’uscita dal Liceo Classico Manzoni, hanno intonato cori antifascisti e si sono schierati a difesa della propria scuola e dei propri compagni, impedendo ai fascisti della Fiamma di volantinare e costringendoli ad andarsene di gran carriera.
I camerati della Fiamma, un drappello di nemmeno dieci persone di cui la metà almeno in palese età da “fuori quota”, vista la mala parata non hanno potuto far altro che rimettersi in tasca le mani che sino a poco prima avevano salutato romanamente e mostrato “la lama” con fare intimidatorio e andarsene con la coda tra le gambe.
Ovviamente le precedenti prodezze di coraggio e ardimento politico (saluti romani, minacce, coltelli ostentati visibilmente) avvenivano sotto gli occhi di un paio di agenti di polizia in borghese che nulla vedevano e nulla facevano al riguardo.
I volantini-ossimoro (“Il fascismo è amore”) in questo momento sono spazzatura nei cestini vicino al Liceo Manzoni, com’è giusto che sia; chi li distribuiva crediamo sia giusto che si appresti a seguirli per la stessa strada.
Milano è più bella (e le sue scuole pure!) senza tutto questo pattume in giro! (dal sito http://milanoinmovimento.com)

 

La giornata del ricordo

Soldati del Regio Esercito Italiano fucilano 5 contadini di Dane (Slovenia)

Franc Znidarsic, Janez Kranjc, Franc Skerbec, Feliks Znidarsic e Edvard Skerbec: sono questi i nomi dei 5 abitanti di Dane in Slovenia fucilati dai soldati italiani il 31 luglio del 1942. Questa è una foto che trovate spesso nelle celebrazioni della giornata del ricordo e viene sempre usata in maniera sbagliata sia da fascisti e post-fascisti ma anche da istituzioni pubbliche, da comuni, province, video, siti internet e, da buon ultimo, anche da Bruno Vespa nella puntata dello scorso anno di “Porta a porta”: gli italiani nella foto sono quelli in divisa e il far passare per martiri delle foibe 5 sloveni fucilati la dice lunga sulle mistificazioni e falsità che continuano ad essere dette e scritte dai più svariati personaggi che non hanno evidentemente mai fatto una ricerca storica precisa e basata sui documenti (sono tanti ed esistono) degli archivi di stato.
Un altro caso emblematico, riportato alla nostra  conoscenza dallo storico Davide Conti, è quello di un criminale di guerra italiano, Vincenzo Serrentino, premiato nel 2007 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’ambito della cerimonia annuale di conferimento della medaglia come “martire delle foibe” e che causò un incidente diplomatico con la Croazia. Nella motivazione ufficiale viene presentato semplicemente come “ultimo prefetto di Zara italiana”. In realtà Serrentino arrivò a Zara nel ’19 come ufficiale del Regio esercito e fu all’inizio degli anni ’20 tra i principali dirigenti del Fascio di combattimento di Zara. In seguito divenne tenente colonnello delle Camicie nere e dopo l’occupazione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse fece parte del Tribunale speciale per la Dalmazia, l’organo di “giustizia” che serviva a dare una copertura giuridica alle rappresaglie contro il movimento partigiano. Per questo la Jugoslavia inserì il Serrentino, assieme agli altri suoi colleghi del Tribunale speciale, nella lista di criminali di guerra italiani presentata alle Nazioni Unite. Lui fu però uno dei rari criminali di guerra che gli jugoslavi riuscirono a catturare e portare davanti a un tribunale. Venne infatti giudicato a Sebenico e condannato a morte, sentenza che venne eseguita il 15 maggio del 1947. Cosa ricordiamo nella giornata del ricordo?

Dossier Dane sull’uso della foto (dal sito www.diecifebbraio.info):  https://docs.google.com/file/d/0B2Fig3cDXuVMZ2FoNXVYdjNJemc/edit?usp=sharing

Dossier premiazioni:  https://docs.google.com/file/d/0B2Fig3cDXuVMM3VOdTBrVS1KekU/edit?usp=sharing

Alessandra Kersevan sulla verità storica delle foibe:

Mirano: 17 gennaio 1945

Per commemorare i partigiani uccisi, venerdì 18 gennaio alle ore 20.45 nella sala conferenze di Villa Errera si terrà un incontro – dibattito con lo storico Davide Conti sul tema : “Inverno ’44 – ’45 tutti a casa”. Presenzierà Diego Collovini Presidente dell’Anpi Provinciale. Volantino.

Da un’intervista a Carlo Toniolo del 2002:
Ero a prendere il cavallo e mi trovavo tra i due ponti.
Che ora era?
Di mattina, le otto, otto e mezza.
Che stagione?
Era freddo sì, era il 17 gennaio 1945; e trovo questi due ammanettati con uno da una parte e uno dall’altra, altri due e l’ultima fila tre. Due e due quattro e tre sette ammanettati così.
Non ne conosceva nessuno?
No, neanche uno. Erano bianchi in faccia!
Erano giovani?
Giovanissimi! Mi sembrava quasi che qualcuno avesse quindici anni. Erano bianchi, sapevano che andavano a morire. Quando siamo stati in piazza abbiamo sentito gli spari.
Erano quelli fucilati alla mura del cimitero?
Sì. Adesso la mura è più bassa perché una volta non c’era l’asfalto, era terra battuta: qualcuno ha sparato in alto per non colpirli, si vedono i fori in alto.

Nell’ottobre del 1944 una pattuglia della Brigata Volga, comandata da Oreste Licori, catturò il tenente delle SS italiane Vasco Mingori e, forse per uno scambio di prigionieri andato male, l’ufficiale venne ucciso nell’accampamento della “Luneo”. Elda Gallo, sorella del segretario del fascio di S. Maria di Sala fu catturata e giustiziata come spia nell’accampamento della “Volga”.
A Mirano il comandante delle Brigate nere Mario Zagari, grazie alla segnalazione di una collaborazionista, poi giustiziata dai partigiani della “Luneo”, arrestò Oreste Licori mentre faceva visita alla madre. Il giovane venne fucilato il 1° novembre 1944. Seguirono numerosi arresti tra i partigiani della “Luneo” grazie alle rivelazioni di una spia che si era introdotta nella formazione. Sei giovani furono torturati a morte nella notte tra il 10 e l’11 dicembre. I cadaveri vennero gettati ed esposti per tutto il giorno nella piazza del paese, i loro nomi sono: Cesare Chinellato, Bruno e Giovanni Garbin, Cesare e Severino Spolaor e Giulio Vescovo; un settimo giovane Mosè Bovo fu trucidato nell’aia di casa davanti ai genitori.
Il 5 gennaio del ’45 fu riesumato il cadavere della SS italiana in zona Luneo. I tedeschi, in relazione alla morte dell’ufficiale e all’esecuzione delle due donne, chiesero dieci condanne a morte tra la trentina di partigiani reclusi nella casa del fascio. Fu istituito un processo farsa che si concluse con la condanna a morte di dieci partigiani, di cui tre ebbero accolta la domanda di grazia. Il 17 gennaio furono fucilati presso il cimitero di Mirano Luigi Bassi (23 anni), Ivone Boschin (21 anni), Dario Camilot (23 anni), Michele Cosmai (53 anni), Primo Garbin (23 anni), Aldo Vescovo (27 anni) e Gianmatteo Zamatteo (20 anni).

Mappa per arrivare alla Sala Conferenze di Villa Errera

https://www.youtube.com/watch?v=6Olf_wMt1gQ

Aggiornamento del 7/2/2013: il video dell’intervento di Davide Conti: https://www.youtube.com/watch?v=w54wZyKxg8s

I tredici della Banda Tom

I funerali della Banda Tom

La Banda Tom fu una brigata partigiana comandata da Antonio Olearo, detto Tom (Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria), attiva durante la Guerra di liberazione tra il Monferrato Casalese e l’Astigiano, le cui efficaci azioni costituirono a lungo una spina nel fianco dei nazifascisti.
Il 14 gennaio 1945, durante un violento rastrellamento, la banda ed il suo comandante – ferito durante il salvataggio di un compagno, finito in mano ai tedeschi – aveva trovato rifugio in una cascina di Casorzo, dove venne catturata. Solo tre su tredici riuscirono a fuggire. Incatenati, seminudi e scalzi, i prigionieri vennero obbligati a marciare nella neve sino a Casale. Attraversata la città tra le percosse, vennero incarcerati ed interrogati con crudeltà. A “Tom” venne anche negato l’abbraccio della madre, rinchiusa in una cella vicina. Processati e condannati, all’alba del 15 gennaio, i “ribelli” vennero condotti alla cittadella militare, dove vennero passati per le armi. Con loro anche alcuni prigionieri politici, uno di questi sedicenne all’ultimo momento venne risparmiato. Sul selciato del poligono di tiro, all’interno della Cittadella di Casale, i loro cadaveri rimasero due giorni insepolti nella neve, guardati a vista dai soldati per impedire ai parenti di ricomporle. Questi i nomi dei partigiani:

Antonio Olearo detto Tom, 24 anni, Casale
Giuseppe Augino, 22 anni, Enna
Alessio Boccalatte, 20 anni, Casale
Aldo Cantariello, 19 anni, Alessandria
Luigi Cassina detto Ginetto, 25 anni, Casale
Giovanni Cavoli detto Dinamite, 34 anni, Solero
Albert Harbyohire (Ufficiale della Raf), 31 anni
Giuseppe Maugeri, 23 anni, Siracusa
Remo Peracchio, 21 anni, Montemagno
Boris Portieri, 17 anni, Genova
Giuseppe Raschio, 21 anni, Alessandria
Luigi Santambrogio detto Gigi, 17 anni, Casale
Carlo Serretta detto Scugnizzo, 17 anni, Casale

Rosetta Santambrogio, sorella di Luigi Santambrogio così ricorda:

“Le immagini di quel giorno, il 15 gennaio 1945, sono ancora ben impresse nella mia mente. Quando la mia famiglia fu avvertita della fucilazione, mi recai in Cittadella e mi trovai di fronte ad uno spettacolo terribile, con fascisti ubriachi che ogni tanto sparavano, e vidi infine il corpo di mio fratello. Dopo due giorni andai alla Brigata nera per chiedere la salma di mio fratello e mi sentii dire che era già molto se erano stati sepolti al cimitero e non fossero stati gettati nel Po. I corpi furono poi recuperati dopo la Liberazione e si celebrarono le esequie solenni: per riconoscere mio fratello dovetti guardare undici salme, poi gli ho tagliato una ciocca di capelli che conservo ancora oggi”.

Il discorso di Annamaria Crosio (Presidente dell’Anpi di Casale) alla commemorazione del 15 dicembre 2012: https://docs.google.com/open?id=0B2Fig3cDXuVMazRZV2NydTdxUnM

Il programma della commemorazione del 20 febbraio 2013.

La storia della banda Tom, trucidata dalla dittatura nazi-fascista il 15 gennaio 1945 a Casale Monferrato. Testo letto da Giuseppe Cederna:

La canzone “Tredici” (Yo Yo Mundi e Gang), dedicata ai Partigiani della banda Tom (alla fine Bella Ciao):

“Su in collina”

Francesco Guccini  nel 2007 scrisse una canzone tratta da una poesia in dialetto. Questa poesia parlava di un episodio della Resistenza avvenuto sulla Linea Gotica, vicino a Bologna. Adesso l’ha incisa nell’ultimo suo disco “L’ultima Thule”.

“Ogni tanto capita di scrivere una canzone nuova, e ho scritto una canzone nuova. O meglio, ho trovato una poesia scritta in dialetto bolognese e l’ho tradotta in italiano. Flaco ha musicato questa poesia in modo molto emozionante; Flaco ha musicato questi bellissimi versi, ed è una poesia che parlava della guerra partigiana, con dei personaggi che si chiamavano con dei nomi di battaglia: ‘Pedro’, ‘Cassio’, ‘il figlio del Biondo’, ‘il Brutto’…siamo in un curioso periodo di revisionismo, e siamo in un periodo in cui qualcuno cerca di equiparare i combattenti della repubblica di Salò ai partigiani. Io dico che, con tutti i distinguo, con tutta la retorica che c’è stata, lasciamo stare, lasciatemi stare la Resistenza. La canzone si chiama ‘Su in collina’, e parla appunto di Pedro, di Cassio, il figlio del Biondo, il Brutto”
(Francesco Guccini, presentazione dal vivo della canzone nel tour del 2007)

Pedro, Cassio e poi me, quella mattina
Sotto una neve che imbiancava tutto
Dovevamo incontrare su in collina
L’altro compagno, figlio al Biondo, il Brutto

Il vento era ghiacciato e per la schiena
Sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo compagni su in collina
Che non riuscivi neanche a respirare

Andavamo via piano, “E te cammina!”
Perché veloci non si poteva andare
Ma in mano tenevam la carabina
Ci fossero dei togni a cui sparare

Era della brigata il Brutto, e su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
E insieme all’altra stampa clandestina
Doveva consegnarci “l’Unità”

Ma Pedro si è fermato e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore
Legato a tutto quel filo spinato
Guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”

Non capimmo più niente e di volata
Tutti corremmo su a quella stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
Dai pugni e i calci di quegl’assassini

Era scalzo, né giacca né camicia
Lungo un filo alla vita e tra le mani
Teneva un’asse di legno e con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”

Dopo avere maledetto e avere pianto
L’abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
Che avrebbero pagato tutto quanto.

L’abbiam sepolto là sulla collina
E sulla fossa ci ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
Un saluto da tutto il battaglione

Col cuore stretto siam tornati indietro
Sotto la neve andando, piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
Piano tenendo stretta l’asse in mano

Quando siamo arrivati su al comando
Ci hanno chiesto: la stampa clandestina
Cassio mostra il cartello in una mano
E Pedro indica un punto su in collina

Il cartello passò di mano in mano
Sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
Guardava quel bastone su in collina

“Bella ciao”: a qualcuno proprio non piace…

La "Banda Ottoni" mentre suona Bella Ciao

Da “Il  Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2012:

Caro Colombo è passato come un piccolo fatto di cronaca l’incidente che ha segnato la distribuzione del premio Ambrogini d’Oro il 7 dicembre a Milano. Una banda ha suonato “Bella ciao” e alcuni consiglieri comunali della Lega e del Pdl hanno abbandonato la sala gridando che era una vergogna. Sono orgoglioso del sindaco di Milano, che fa accadere cose normali e rassicuranti come queste. Ma come può essersi ridotto un Paese a respingere la sua memoria di resistenza e di libertà?
Fiorenzo

È triste, ma non è così difficile da spiegare. Ci sono due percorsi. Uno è la violenza e anche la potenza mediatica con cui il corteo di berlusconiani della prima ora e di affiliati al benessere in distribuzione per i convertiti, si è lanciato contro tutti gli aspetti di ricordo, celebrazione, memoria della guerra di Liberazione, dei partigiani, dei militari che hanno combattuto con gli alleati, per ridare all’Italia onore, libertà e la Costituzione di cui molti italiani giustamente si vantano. Leggi tutto ““Bella ciao”: a qualcuno proprio non piace…”

Mestre, Centro Candiani: “Carnia 1944, un’estate di libertà”

La Repubblica della Carnia

Giovedì 6 dicembre alle ore 21.00 al Centro Candiani di Mestre verà proiettato il film – documentario “Carnia 1944, un’estate di libertà” di Marco Rossitti.
Il film è dedicato alla straordinaria, misconosciuta storia della Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli. Nel 1944, per alcuni mesi, una quarantina di Comuni friulani e veneti vennero liberati dall’occupazione nazi-fascista. Vi si costituì una Repubblica partigiana comprendente tutte le forze politiche democratiche, nella quale si sperimentò un eccezionale spazio di libertà e partecipazione popolare che anticipò alcune delle conquiste dell’Italia repubblicana.

http://www.carnialibera1944.it/

http://repubblicadellacarnia1944.uniud.it/liniziativa

Una mattina…

Oggi 14 novembre 2012 a Mestre, come in tante città d’Italia si è svolto lo sciopero generale indetto dalla CGIL e dalla Confederazione Europea dei Sindacati (di cui fanno parte anche la Cisl e la Uil…..). Come in tante città la partecipazione è stata notevole e anche a Mestre, dopo il bellissimo intervento di Carlo Bulado dell’Anpi di Venezia sul partigiano Erminio Ferretto, la manifestazione è finita con le note di “Bella Ciao”, una canzone che continua ad essere cantata nelle piazze e sui palchi, perchè è una bella canzone, perchè è una canzone degli italiani che hanno combattuto per la liberazione dell’Italia dai fascisti, dai tedeschi, dalle leggi razziali, dalla fame e dalla guerra, e perché è ancora un canto che unisce. E vedere un popolo unito, è bello.