È tradizione consolidata in Italia che, ogni volta che il Papa apre bocca, si leva dai politici un coro bipartisan di consensi. Ora però Papa Francesco si è espresso contro la guerra, riferendosi implicitamente ma chiaramente all’attacco in preparazione contro la Siria. E si è chiesto: «Questa guerra di là, quest’altra di là – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi?». Di fronte a tale presa di posizione e alla vasta mobilitazione popolare che la sostiene, i coristi si sono ammutoliti. Praticamente assenti, sui media, i soliti plausi del presidente della repubblica, del capo e dei membri del governo, dei segretari dei maggiori partiti.
In compenso, il segretario del Pd Guglielmo Epifani ha lodato il governo perché ha fatto «una scelta giusta fin dal principio, dichiarandosi contrario all’intervento in Siria». Si è dimenticato Epifani che il giorno prima il governo Letta aveva sottoscritto, ai margini del G-20 a San Pietroburgo, la Dichiarazione sulla Siria presentata dagli Stati uniti, che condanna il governo siriano per il «terrificante attacco con armi chimiche», accusa il Consiglio di sicurezza di essere «paralizzato» (dal veto russo) e chiede «una forte risposta internazionale».
Tace Epifani anche sul fatto che l’Italia è in prima linea nella preparazione dell’attacco aeronavale alla Siria: come quello contro la Libia nel 2011, sarebbe diretto dal Comando Usa di Napoli e sostenuto dall’intera rete di basi Usa/Nato in Italia, in particolare da quelle di Sigonella e Camp Darby. Per un primo attacco, della durata di alcuni giorni, sono più che sufficienti le forze aeronavali messe in campo da Stati uniti e Francia, che lancerebbero centinaia di missili e bombe a testata penetrante. Sarebbero probabilmente impiegati anche bombardieri strategici B-2 Spirit, gli aerei più cari del mondo (oltre 2 miliardi di dollari ciascuno), già usati contro la Serbia, l’Iraq e la Libia. Concepiti per l’attacco nucleare, possono trasportare oltre 18 tonnellate di bombe e missili a testata non-nucleare.
Una partecipazione diretta italiana nella prima fase è quindi superflua sul piano militare, anche se non esclusa: con la motivazione ufficiale di proteggere il contingente italiano in Libano, è stato inviato nel Mediterraneo orientale il cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, che si aggiunge alle unità statunitensi, francesi, israeliane e turche che fronteggiano quelle russe. Situazione sempre più pericolosa: con quelle in arrivo, le navi da guerra russe nel Mediterraneo orientale saliranno a 12.
Epifani passa sotto silenzio anche il fatto che l’Italia è da tempo impegnata a sostenere la guerra interna: partecipa al gruppo intergovernativo degli «Amici della Siria» che, lo scorso giugno a Doha, si è apertamente impegnato a fornire armi ai «ribelli» (cosa che da tempo già faceva sotto direzione Cia).
Pur tacendo, il governo non ha però fatto mancare la sua presenza alla preghiera per la pace. Il ministro della difesa Mario Mauro è giunto alla veglia in piazza San Pietro, senza però rispondere ai giornalisti che gli chiedevano come possa conciliarsi la preghiera per la pace con l’acquisto degli F35. Il premier Letta è andato in chiesa a Cernobbio, ma ha taciuto quando gli hanno chiesto se partecipava al digiuno per la pace. La regola del silenzio l’ha imparata partecipando al gruppo Bilderberg, cupola dei poteri occulti, che nel meeting 2012 (sempre a porte chiuse e in silenzio stampa) ha invitato insieme a Letta oscuri «rappresentanti dell’opposizione siriana». (dal Manifesto del 10 settembre 2013)
Tag: ANPI
11 settembre 1973: colpo di stato in Cile
“Loro hanno la forza, potranno farci schiavi ma i progressi sociali non si arrestano né con il crimine, né con la forza, la storia è nostra ed è fatta dal popolo. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!”. Queste le ultime parole di Salvador Allende prima di essere assassinato dai golpisti cileni comandati da Pinochet e ispirati,aiutati e supportati dal governo americano che non voleva un governo marxista in America Latina. Il 24 febbraio 1974 sul settimanale “L’Espresso” compare un articolo del grande scrittore Gabriel Garcia Marquez: non si tratta di una narrazione storica ma di una ricostruzione appassionata, che utilizza tutte le fonti, i materiali, le ipotesi sul dramma cileno. “Ho scritto questa rievocazione soprattutto per far capire agli americani del nord quel che era successo sotto i loro occhi, e in parte per colpa loro” ha detto Marquez inviando il manoscritto al giornale. Questa è la parte finale dell’articolo:
“Aveva compiuto 64 anni il luglio prima ed era un leone perfetto: tenace, deciso e imprevedibile. “Quel che pensa Allende, solo Allende lo sa”, mi aveva detto uno dei suoi ministri. Amava la vita, amava i fiori e i cani, era di una galanteria un po’ all’antica, fatta di bigliettini profumati e di incontri furtivi. La sua maggior virtù fu la coerenza, ma il destino gli apparecchiò la rara e tragica grandezza di morire difendendo a colpi di mitra lo sgorbio anacronistico del diritto borghese, difendendo una Suprema corte di giustizia che l’aveva ripudiato ma che doveva legittimare i suoi assassini, difendendo un congresso miserando che lo aveva dichiarato illeggittimo ma che doveva soccombere compiaciuto davanti alla volontà degli usurpatori, difendendo la libertà dei partiti di opposizione che s’erano venduti l’anima al fascismo, difendendo tutto il bric-à-brac tarlato di un sistema di merda che egli si era proposto di distruggere senza sparare un colpo. Il dramma ebbe luogo in Cile, per sventura dei cileni, ma passerà alla storia come qualcosa che capitò a noi tutti, uomini di questo tempo, e c’è rimasto dentro, nelle nostre vite, per sempre.”
Questa è la sequenza finale del film “La memoria ostinata” di Patricio Guzman, una sequenza intensa e terribile: dopo la proiezione de “La guerra del Chile” (un documentario dello stesso Guzman sulla storia dell’esperienza di Unidad Popular in Chile) fa vedere i visi sconvolti, commossi dei giovani incapaci di dominare l’emozione che sgorga nel vedere la propria storia. Il film è una lotta contro l’oblio e la falsificazione della storia, sulla memoria negata. Come afferma José Balmes: “la memoria e l’oblio sono come il polo positivo e quello negativo della riflessione umana, ci fanno soffire e morire, ma ci permettono anche di vivere”.
http://anpimirano.it/2013/11-settembre-1973-colpo-di-stato-in-cile/
8 settembre 1943: 700000 soldati italiani vengono spediti nei Kriegsgefangene
Ho appena finito di vedere il Tg3 e il Tg 3 Veneto. Hanno parlato dei 150 anni del Cai, del cavaliere delinquente, della crisi, del papa, della manifestazione dell’Anpi in Cansiglio ma dell’8 settembre nessuno ha parlato. A distanza di 70 anni è assolutamente necessario ricordare l’8 settembre 1943 come la data che ufficializzò la nascita della Resistenza. La battaglia di Porta San Paolo, per difendere Roma, il 9 settembre, vide lottare fianco a fianco militari e civili, quest’ultimi, in larga parte, organizzati dai partiti antifascisti. 700000 soldati italiani, senza ordini, sbandati, furono catturati dai tedeschi e trasferiti in campi di prigionia (kriegsgefangene) e, nonostante le privazioni e le morti che avvenivano tra di loro ogni giorno, restarono indifferenti alle insistenti visite dei fascisti repubblichini che venivano a promettere una vita ben diversa nell’Italia di Salò. Circa il 90% di questi settecentomila militari italiani trascinati nei lager diede origine ad una resistenza passiva, che avrebbe pesato assai positivamente sulle sorti dell’Italia futura, la quale, però, è rimasta sostanzialmente nell’ombra. C’è da dire che gli italiani non furono mai considerati prigionieri di guerra, ma “internati militari”, con l’avvallo preciso dei repubblichini di Salò, che hanno sulla coscienza anche questi morti dimenticati dallo Stato Italiano. Il sito dell’Anpi Nazionale ricorda la data così:
“8 settembre 1943: quando l’Italia disse no al nazifascismo”. E’ questo il titolo dell’ampio e approfondito servizio che la rivista “Rolling Stone” dedica all’8 settembre e alla lotta di liberazione, con approfondimenti storici e testimonianze dirette.”
50 veterani di guerra americani restituiscono le medaglie (2012)
Durante il Vertice NATO del 21-05-2012 a Chicago, almeno 50 veterani della US-Army buttano via le loro decorazioni militari e mostrano così al mondo quanto sia controproduttiva e stupida la guerra.
“Il mio nome è Greg Miller. Sono un veterano della Us-Army Infantry e nel 2009 sono stato impiegato in Irak. L’apparato militare distribuisce queste medaglie scadenti ai soldati, ai parenti dei soldati, e cerca così di riempire il vuoto dove prima c’era la loro coscienza, prima che la distruggessero con l’indrottinamento. Ma questo con me non ha funzionato e per questo sono qui per restituire la mia “National Defense Medal” e la “Global War on Terrorism Medal”. Perchè sono solo bugie”.
“Il mio nome è Vince Emanuel e ho prestato servizio nell’Us Marine Corps. Prima cosa, questo è per le persone in Irak e in Afghanistan. Seconda cosa, questo è per i nostri veri antenati. Parlo del movimento studentesco pacifico. Parlo dei Black Panters. Parlo del movimento per i diritti civili. Parlo dei sindacati. Parlo dei nostri fratelli e sorelle socialisti, dei nostri fratelli e sorelle comunisti, dei nostri fratelli e sorelle anarchici, parlo dei nostri fratelli e sorelle del movimento ambientalista. Questi sono i nostri veri nostri antenati. E per finire, il punto più importante. I nostri nemici non vivono 10000 km lontani da qui ma stanno seduti nei consigli di amministrazione, sono i capi dei gruppi industriali, sono i banchieri, sono i manager. Non vivono 10000 km lontani da qui. I nostri nemici sono qui davanti a noi e li vediamo tutti i giorni. E non sono gli uomini e le donne della polizia che abbiamo qui davanti. Sono i milionari e i miliardari che controllano questo pianeta e noi ne abbiamo abbastanza di loro. Si possono riprendere le medaglie.”
Il comunista Rizzo e il Pdl: “Un insulto B. come Moranino”
“Una bestemmia”: così Marco Rizzo e Massimo Recchioni del Partito comunista definiscono il paragone tra Berlusconi e Francesco Moranino, il partigiano passato alla storia con il nome di battaglia “Capitano Gemisto”. I due esponenti del Pc, insieme alla figlia di Moranino, ieri mattina hanno organizzato un incontro a Montecitorio per smontare l’analogia tra Moranino e Berlusconi suggerita dal senatore del Popolo delle Libertà. Secondo l’esponente azzurro, il partigiano ed ex parlamentare Pci avrebbe beneficiato della grazia concessa dall’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat per evitare il carcere e tornare a Palazzo Madama. La stessa cosa cui punta il leader del Centrodestra. “Berlusconi ha tanti avvocati a libro paga – tuona Recchioni – ma non è ben consigliato. Moranino rinunciò alla grazia di Saragat e rimase esule a Praga. Per ritornare in Italia a fare politica attese l’amnistia, perché solo questa cancella l’interdizione dai pubblici uffici e tutte le altre pene accessorie. E poi Moranino di carcere ne ha fatto tanto durante il ventennio”. Il partigiano era stato condannato per l’omicidio di sette presunte spie fasciste. (da “Il Fatto”)
Il video della conferenza stampa alla Camera dei Deputati:
Raduno fascista a Revine Lago
Dopo il raduno degli skinheads, i fascisti di casapound si ritrovano dal 12 al 15 settembre a Revine Lago, con un programma a base di incontri, concerti nazirock e dimostrazioni “muscolari” varie, il tutto trasmesso via web con il supporto di Radio Bandiera Nera, la radio del gruppo. Fascisti che fanno festa, in un luogo che ha visto nascere diverse Brigate Partigiane, che ha visto la vera natura del fascismo con uccisioni, deportazioni, case distrutte.
Il Comune ha infatti pagato un altissimo contributo di vite umane, di deportazioni, di indicibili distruzioni: 40 case di abitazione (12% del totale) e circa 60 casere e stalle incendiate nei ripetuti rastrellamenti, incursioni e rappresaglie, eseguiti dalle SS e dalle Brigate nere. Revine Lago risulta, dopo Pieve di Soligo, ed in rapporto al numero degli abitanti, il Comune più danneggiato della Provincia. Il 12 marzo del 1945, in uno degli ennesimi rastrellamenti, viene catturato Armando Grava, staffetta della Brigata Partigiana “Tollot”. Il coraggioso e sfortunato giovane viene sottoposto ad ogni sorta di torture e di sevizie. Sotto stringente interrogatorio, si addossa la responsabilità del ferimento del tedesco e, a conferma di quanto dichiarato, si fa condurre nel luogo dove ha nascosto il proprio mitra. Egli, pur conoscendo tutto della formazione partigiana, non si lascia sfuggire neppure una parola. I fascisti non desistono ed usano tutti i sistemi per farlo parlare. Dopo quattro giorni di continui interrogatori e torture, il giorno 17 marzo, mentre continua il rastrellamento, il giovane Armando viene trasferito nel paese di Lago e precisamente nella trattoria di fronte alla chiesa, dove viene sottoposto ad un nuovo terribile interrogatorio. Questa volta, anche alla presenza della madre e della sorella. Su di lui compiono le più efferate sevizie e violenze. Una ausiliaria fascista, con le forbici, gli taglia la carne degli zigomi, delle sopracciglia, dei testicoli; sulle ferite passa poi della tintura di jodio. Sono quattro giorni di inutili ,tentativi, per strappargli qualche notizia su persone e fatti che egli conosceva bene; quattro giorni di incredibili sofferenze per il povero Armando. Il 17 marzo, con il pretesto di condurlo ad una medicazione si dirigono verso Revine e al confine con Vittorio Veneto, il patriota viene ucciso con una raffica di mitra. Gli gettano sopra il capo un grosso macigno e lo abbandonano sulla strada.
Casapound, dice il sindaco, non ha chiesto permessi perchè la festa è in un luogo privato, lo stesso del raduno degli skinheads di qualche hanno fa. Belle parole, da un sindaco che rappresenta una comunità che ha provato sulla propria pelle il fascismo e quello che rappresenta. Oggi Umberto Lorenzoni “Eros”, segretario dell’Anpi di Treviso, avrà un incontro con questa persona, e ribadirà che ogni rappresentazione ispirata al fascismo in Italia è vietata dalla Costituzione Italiana. Tutti gli antifascisti dovrebbero mobilitarsi e andare dal sindaco per pretendere il rispetto della Costituzione su cui ha giurato fedeltà.
Una serie di video sulla Siria
Questo video mostra le forze ribelli, dette ELS, lanciare un attacco con il gas Sarin su un villaggio siriano:
Quest’altro mostra le forze ribelli siriane caricare una bombola di gas nervino su un razzo da lanciare sui civili e sulle forze governative. Come si vede qui sotto, una ripresa dal video mostra le forze ribelli porre un contenitore blu sospetto su di un lanciarazzi.
http://youtu.be/wGtE2GdKIxYUn video della Rai che mostra un’altra realtà:
Storia di un repubblichino al soldo dei servizi segreti
C’era un uomo, una spia, prima fascista, poi al soldo dei servizi deviati, che ha attraversato tutta la notte della repubblica italiana e che è stato coinvolto nei più cruenti fatti di sangue che hanno funestato il nostro Paese almeno fino alla metà degli anni ’70, il suo nome era Berardino Andreola, ma in verità ne usava più di uno alla volta. È stato Giuseppe Chittaro e Umberto Rai quando si trattava di indicare la pista rossa di piazza Fontana al giovane commissario Luigi Calabresi; Gunter, quando avrebbe manomesso i timer che hanno fatto saltare in aria Giangiacomo Feltrinelli; Luigi De Fonseca, quando cercava di depistare e confondere le acque di chi cercava il filo che teneva la strategia della tensione e degli opposti estremismi.
A svelarne l’identità e i tanti alias è Egidio Ceccato, storico di Camposampiero che nel suo «L’Infiltrato» disegna un quadro estremamente inquietante della nostra democrazia, per trent’anni almeno tenuta sotto scacco e tutela da un «doppio stato» che ne indirizzava pancia e opinioni al fine di tenere il Paese nel solco della moderazione politica e dell’Alleanza atlantica. In altre parole quella «guerra a bassa tensione» di cui fu ideatore e organizzatore il capo del secret team della Cia Theodore Shackley. E di cui fu strumento in Italia James Angleton, capo del controspionaggio americano a Roma. Un doppio stato che non ha esitato a reclutare servitori fra i reduci di Salò, infiltrare forze armate, polizia, servizi, partiti politici, amministrazioni e aziende pubbliche.
E fino a qui si potrebbe dire che c’è ben poco di nuovo, rispetto ai sospetti e ai troppi segreti che ci trasciniamo dietro da sempre e che lasciano lo spazio alle peggiori delle ipotesi sulla nostra storia recente. La novità sta nell’aver individuato uno dei personaggi che hanno giocato da protagonisti di questa brutta storia: Berardino Andreola, appunto.
Il nostro uomo, secondo Ceccato, giovanissimo ex repubblichino, viene infiltrato tra i gruppuscoli anarchici e dell’estrema sinistra, dopo aver servito per un certo periodo nel Sud Italia.
Ceccato prende le mosse proprio da qui. Sua intenzione era lavorare alla storia di Graziano Verzotto, cittadellese, capo di una formazione partigiana bianca, che nel dopoguerra viene mandato a fare il segretario regionale della Dc siciliana. Senatore, diventa presidente dell’Esm (ente minerario siciliano) e dirigente dell’Eni di Enrico Mattei, di cui sarà il braccio destro in Sicilia. Verzotto è l’uomo indicato recentemente, post mortem, da una sentenza della corte d’Appello del tribunale di Palermo come mandante per l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro. Una sentenza contestata e contro cui si sta battendo l’anziano fratello dello stesso Verzotto, avvocato ed ex sindaco di Santa Giustina, e, secondo Ceccato, non senza ragione.
In ogni caso Graziano Verzotto subì un tentativo di sequestro negli anni ’70 che quasi sicuramente l’avrebbe destinato a finire vittima della lupara bianca, se chi lo aveva messo in atto non si fosse dimostrato inadatto allo scopo.
Per quel delitto finì arrestato Berardino Andreola, assieme ai complici. Da qui Ceccato si ritrova a scrivere un altro libro che lo porta a seguire le tracce di Andreola fino a incrociare Pinelli, Calabresi e Feltrinelli. Il primo, com’è noto caduto dalla finestra del quarto piano della questura di Milano all’indomani della bomba alla banca dell’Agricoltura nel 1969. Gli altri due morti a pochi mesi di distanza nella primavera del 1972, proprio quando, grazie alle inchieste trevigiane dei giudici Stiz e Calogero, gli inquirenti scoprono e cominciano a seguire la pista nera veneta che conduce a Franco Freda e Giovanni Ventura; da notare che la carta d’identità falsa trovata a Feltrielli dilaniato sotto il traliccio di Segrate era stata rubata dai neri nel municipio di Preganziol, Treviso, nel dicembre del 1969; mentre i famosi timer di piazza Fontana furono venduti in via Facciolati a Padova.
Secondo Ceccato, il commissario Calabresi si sarebbe reso conto di essere stato “usato” dai servizi e che a colpire a Milano fu «una mente di destra con manovalanza di sinistra». Le stesse responsabili della sua di morte, forse.
E lo stesso Feltrinelli fu un ingenuo strumento nelle mani dei servizi e della destra, che lo fecero saltare letteralmente in aria mettendo in mano all’editore-bombarolo dei timer difettosi preparati appunto da quel Gunter che si era conquistato la fiducia tanto incondizionata quanto malriposta dell’imprenditore rivoluzionario.
Non è un libro facile quello di Ceccato, tra guerra sporca, complotti internazionali, servizi deviati, ossessioni anticomuniste, sgherri, sbirri infedeli, doppi e triplogiochisti, in cui rosso e nero si confondono e si scambiano ruoli, ferro e fuoco in una nuvola di fumo in cui è complicatissimo orientarsi. È un libro ardito che solleverà dubbi e polemiche, ma è un tentativo coraggioso e onesto di gettare un po’ di luce nel pozzo nero della nostra vita pubblica. (di Giorgio Sbrissa da “La Nuova Venezia”)
Bologna 30 agosto 1944: 12 partigiani fucilati al poligono di tiro
Al Poligono di Tiro di Bologna vengono fucilati 12 partigiani come rappresaglia per l’uccisione del colonnello Zambonelli della Guardia Nazionale Repubblicana. L’annuncio della avvenuta fucilazione appare il giorno 31 sul Resto del Carlino
Antefatto
… qualche settimana dopo, una nostra squadra in perlustrazione sulla Persicetana, in pieno giorno, avvistò la macchina del colonnello Zambonelli, uno dei più pericolosi comandanti fascisti. I nostri riuscirono a bloccarla e fecero prigioniero lo stesso colonnello, con il proposito di scambiarlo con dieci compagni detenuti nelle carceri fasciste. II comando della brigata nera, anziché aderire alla nostra richiesta, due giorni dopo a Bologna fucilò i partigiani di cui si chiedeva il rilascio. Tale rappresaglia, che rappresentava anche un’aperta sfida, esigeva una nostra immediata risposta e fu così che poco tempo dopo, sullo stesso luogo, venne ad opera nostra giustiziato il colonnello Zambonelli.
Testimonianza di Vito Giatti
Le vittime della rappresaglia al Poligono di tiro:
Atti Floriano, «Nome di battaglia Gianni», nato il 16/9/1922 a Bentivoglio. Prestò servizio militare negli autieri dal febbraio 1942 all’ʼ8/9/43. Militò nel Veneto nella div Belluno e successivamente nella 7a brg GAP Gianni Garibaldi e nella 1a brg Irma Bandiera Garibaldi a Bologna. Già incarcerato, venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro.
Bentivogli Renato, «Nome di battaglia Renè», nato il 14/6/1912 a Malalbergo. Militò nella la brg Irma Bandiera Garibaldi ed operò a Bologna. Già incarcerato, venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro. Al suo nome a Bologna è stato intestato un giardino.
Bracci Luciano, «Nome di battaglia Toro», nato l’11/2/1926 a Bologna. Militò nella 62a brg Camicie rosse Garibaldi. Cadde prigioniero dei tedeschi mentre tentava di portare in salvo un compagno ferito. Fu rinchiuso nel carcere di San Giovanni in Monte e sottoposto a torture e sevizie. Venne fucilato al Poligono di tiro di Bologna
Bussolari Gaetano, «Nome di battaglia Maronino», nato il 19/9/1883 a S. Giovanni in Persiceto. Discendente da antica famiglia persicetana, partecipò vivamente fin dalla giovinezza alla vita politica della sua città, della quale studiò per tutta la vita la storia passata in tutti i suoi aspetti (aveva in animo di elaborare unʼamplissima «enciclopedia persicetana»). Fu uno spirito ribelle, originale, polemico, libero: ciò spiega anche il passaggio da posizioni socialistiche ed anarchiche ad una temporanea, breve militanza fascista. Ben presto passò allʼantifascismo che manifestò senza cautela tanto da attirarsi l’odio dei gerarchi locali, dei quali denunciò il malgoverno e le sopraffazioni, specialmente nell’amministrazione del consorzio dei partecipanti. Fu confinato e carcerato. Durante la lotta di liberazione venne arrestato e prelevato dal carcere per essere fucilato al poligono di tiro di Bologna
Garagnani Arturo, nato il 3/5/1907 a Castello di Serravalle. Già incarcerato, venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro
Garagnani Celestino, nato il 18/10/1913 a Castello di Serravalle. Già incarcerato, venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro
Musi Giocondo, nato il 16/10/1914 a Bologna. Prestò servizio militare in fanteria a Bologna. A seguito di una vasta azione di propaganda svolta dal PCI e dalla gioventù comunista a Bologna e nei comuni della provincia, venne arrestato alla fine del 1930. Deferito al Tribunale speciale, con sentenza del 28/9/31, venne condannato (assieme ad altri dodici compagni) a 1 anno di carcere, per costituzione del PCI, appartenenza allo stesso e propaganda. Durante la lotta di liberazione militò nella la brg Irma Bandiera Garibaldi con funzione di comandante di btg. Il 19/8/44, mentre si accingeva a far saltare il ponte ferroviario in località Due Torrette, fu arrestato ed incarcerato nel carcere di S. Giovanni in Monte (Bologna). venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro. E’ stata dedicata una strada di Bologna a lui e a suo fratello.
Nanni Luciano, nato l’8/2/1923 a Bologna. Militò nel 1° btg Busi della 1ª brg Irma Bandiera Garibaldi con funzione di ispettore organizzativo di compagnia e operò a Bologna. Già rinchiuso in carcere dal 20/8/44, venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro
Pietrobuoni Agostino, nato il 24/7/1894 a S. Agata Bolognese. Capolega dei braccianti dal 1915, al termine della grande lotta agraria nel Bolognese fu arrestato il 31/10/20 in seguito all’uccisione di Gaetano Guizzardi. Fu processato e condannato nel 1923. Dimesso dal carcere, espatriò a Domont (Francia), dove lavorò e svolse attività antifascista. Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu internato nel campo di concentramento di Vernet dʼAriège. Tradotto in Italia, il 29/9/41 la Commissione provinciale lo condannò al confino per 5 anni a causa dellʼattività antifascista svolta allʼestero. Venne liberato il 18/8/43; lasciò Ventotene e fece ritorno al paese natio. Dopo 1’8/9/43 fu animatore della lotta di liberazione a S. Agata Bolognese, assieme ai fratelli Quinto e Ottavio. Partecipò all’attività del btg Marzocchi della 63ª brg Bolero Garibaldi con funzione di commissario politico con grande intensità nonostante stesse perdendo la vista. Fu arrestato a seguito di una delazione il 27/8/44 a S. Giovanni in Persiceto e trasferito a Bologna. Venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro
Sghinolfi Alfonso, nato il 10/3/1907 a Monteveglio. Prestò servizio militare in artiglieria a Bologna dal 1942 all’ʼ8/9/43. Militò ad Anzola Emilia nel btg Tarzan della 7a brg GAP Gianni Garibaldi. Catturato il 15/8/44, venne fucilato al poligono di tiro.
Sordi Renato, nato il 14/1/1924 ad Ancona. Già rinchiuso in carcere venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro
Zanasi Cesare, «Nome di battaglia Cesarino», nato il 15/9/1923 a Bentivoglio. Militò nella 7ª brg GAP Gianni Garibaldi, con funzione di vice comandante di compagnia, ed operò a Bologna. Arrestato il 25/8/44 a S. Giovanni in Persiceto e incarcerato, venne prelevato dal carcere per essere fucilato al Poligono di tiro
(da http://storiedimenticate.wordpress.com)
Siria, agosto 2013
Milano, agosto 1943
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio: e l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.