22 giugno 1941: Invasione dell’Unione Sovietica

Settant’anni fa, il 22 giugno 1941, quando la radio annunciò in tutta l’Urss: “Oggi, alle 4 del mattino, i soldati dell’esercito tedesco hanno attaccato il nostro Paese…”, era difficile credere che tutto quell’orrore, che imperava in Europa e in Africa ormai da due anni, fosse riuscito a raggiungere nuovi territori. Anastasija Poljakova, che in quegli anni aveva iniziato a frequentare la scuola, rievoca quella giornata: “Stavo andando in pasticceria a fare scorta di caramelle prima di partire per la colonia estiva. Ma improvvisamente alla mattina sentimmo alla radio che sarebbe stato dato un annuncio importante. Io aspettai, ascoltai e non capii bene cos’era successo, o meglio, non riuscii a rendermene conto, e uscii per andare a comprare le caramelle. In pasticceria si era già radunata un sacco di gente: iniziavano già a fare le scorte”.
In quest’epoca di blog e di giornalismo civile i racconti di quei pochi che ancora ricordano quel giorno, stupiscono per la loro somiglianza, come se fossero stati tutti presi da un unico forum. Sia i militari che le persone semplici, senza essersi mai incontrati o messi d’accordo, nelle pagine dei loro diari, scrivono delle stelle rosso rubino del Cremlino, del meraviglioso sole estivo, del famigerato annuncio via radio.
E anche se secondo i rapporti odierni, l’aggressione delle armate nazifasciste all’Urss non fu poi una grande sorpresa per i vertici militari sovietici, stando alle parole di Kirill Drjannov, uno dei maggiori specialisti del Museo della Difesa di Mosca, nonostante le informazioni raccolte dagli agenti segreti, il comando militare sovietico venne a sapere dell’inizio della guerra solo qualche ora prima e non fece in tempo a prepararsi adeguatamente. Anche se c’erano stati diversi segnali di un attacco imminente, basti pensare agli atti di sabotaggio compiuti da soldati tedeschi travestiti da soldati sovietici che tagliavano le linee di comunicazione e uccidevano gli ufficiali. La notte tra il 21 e il 22 giugno i sabotatori fecero esplodere alcuni grandi ponti e alla mattina 4.900 aerei tedeschi iniziarono a bombardare gli aeroporti e i magazzini militari.
In una situazione estrema come questa, le decisioni spettavano a una persona soltanto: Iosif Stalin. Ecco come viene descritta la chiamata al vertice dall’allora sindaco di Mosca, o, secondo la nomenclatura sovietica, presidente del consiglio dei deputati dei lavoratori, Vasilij Pronin: “Verso le 9 di sera venni chiamato al Cremlino insieme al segretario. Quando entrammo nell’ufficio di Stalin ci trovammo diversi membri del Comitato Centrale del partito. I volti erano austeri e preoccupati. Capimmo subito che non eravamo stati convocati per questioni di routine. E in effetti, appena ci fummo seduti, Stalin si rivolse a noi dicendo: Secondo i dati forniti da alcuni defezionisti le armate tedesche si preparano ad attaccare i nostri confini questa notte. E’ tutto pronto per la difesa antiaerea?. E dopo una pausa aggiunse: Oggi è sabato, tutti i dirigenti se ne vanno in dacia, cercate di trattenerne in città il più possibile…”.
Si dovette agire in fretta, perché dall’altra parte c’era un nemico non meno esperto nell’arte della guerra come Adolf Hitler. Il suo piano strategico per l’attacco dell’Unione Sovietica prevedeva la rapida conquista della parte europea del Paese nel corso di 16 settimane, cioè prima dell’arrivo del freddo autunnale. Vale la pena ricordare che questi territori dell’Urss superavano per estensione la stessa Europa. Secondo Konstantin Korzhenevskij, esperto di Storia della guerra, questi territori avrebbero dovuto essere usati come residenza d’élite per i vertici nazisti. Non ci sarebbe stato neanche bisogno di assumere della servitù: secondo il progetto di Hitler sui 190 milioni di abitanti dell’Urss, bisognava eliminarne 150 milioni e ridurre in schiavitù i restanti 40. A questo proposito, secondo Heinrich Himmler, lo schiavo avrebbe dovuto avere soltanto alcune semplici capacità: sapere contare fino a dieci in tedesco, scrivere il proprio nome e sapere chi era il suo padrone.
Secondo Kirill Drjannov, “oggi cercano di mettere in testa alla gente che quella di Hitler era una guerra contro i bolscevichi: in realtà gli ideologi nazisti, in primo luogo Himmler, sostenevano le teorie razziali e dichiaravano che la guerra avrebbe dovuto essere l’ultima campagna in oriente, e che avrebbe dovuto annientare l’Urss come unico ostacolo al dominio mondiale dei tedeschi. Questo tipo di informazione non veniva diffusa solo tra i vertici; i nazisti mettevano al corrente dei propri piani anche i soldati nemici, cioè quelli sovietici. Nei volantini lanciati dagli aerei, stampati in milioni di copie, i soldati russi venivano esortati a fermare “l’insensato spargimento di sangue in nome di ebrei e commissari”, mentre ai militari che sarebbero passati dalla parte di tedeschi veniva promessa una “buona accoglienza”, cibo e lavoro.
Da parte sua, l’Agenzia d’informazione sovietica, fin dalle prime ore, iniziò a preparare un collegamento dal fronte e dalle fabbriche. I comunicati venivano diffusi al mattino e alla sera attraverso apparecchi radiofonici attaccati ai pali lungo le strade, e venivano inoltre stampati sulle prime pagine di tutti i giornali. I giovani di tutto il Paese fin dal primo giorno iniziarono a ricevere l’ordine di presentarsi ai raduni militari. Per strada apparvero manifesti con incitazioni come “Tutti per il fronte! Tutti per la vittoria!”, “Il nemico verrà sconfitto! La vittoria sarà nostra!”. Le pareti delle case venivano tappezzate di annunci sugli allarmi antiaerei e di comunicazioni sulle stazioni della metropolitana in cui erano stati organizzati dei rifugi anti-bomba. Da Mosca iniziò l’evacuazione verso Kujbyshev (l’attuale Samara), che, se Mosca fosse caduta in mano al nemico, sarebbe diventata la nuova capitale. Non solo veniva trasferita la popolazione, ma anche intere fabbriche e aziende.
Le azioni militari si svolsero in modo estremamente rapido: durante la prima giornata cadde Brest, dopo sei giorni venne presa anche la capitale della Bielorussia, Minsk. La velocissima avanzata delle armate tedesche venne bloccata soltanto in autunno, alle porte di Mosca. Ci sarebbero state ancora molte battaglie, che avrebbero determinato il corso della storia della Russia: le battaglie per Mosca e Leningrado, i combattimenti di carri armati vicino a Stalingrado e Kursk, la liberazione della Bielorussia e la presa di Berlino. Ma questa storia iniziò proprio in quel giorno, il 22 giugno 1941. (http://russiaoggi.it/)

L’artista Kseniya Simonova attraverso i suoi quadri di sabbia ha ripercorso le sofferenze del popolo russo durante la Seconda Guerra Mondiale: i suoi disegni sono così sentiti, toccanti che alcuni spettatori non riescono a trattenere le lacrime.

2 febbraio 1943: liberazione di Stalingrado

… Porre il problema dell’esistenza di Dio a Stalingrado, significa negarlo. Te lo devo dire, caro padre, e mi rincresce doppiamente. Tu mi hai educato, perché mi mancava la mamma, e mi hai sempre messo Dio davanti agli occhi e all’anima.
E doppiamente mi rincrescono queste mie parole, perché saranno le mie ultime, e non potrò mai più dirne altre capaci di cancellarle e di espiarle.
Tu sei pastore di anime, padre, e nell’ultima lettera si dice solo la verità, oppure ciò che si ritiene vero. Ho cercato Dio in ogni fossa, in ogni casa distrutta, in ogni angolo, in ogni mio camerata, quando stavo in trincea, e nel cielo. Dio non si è mostrato, quando il mio cuore gridava a lui. Le case erano distrutte, i camerati erano tanto eroici o così vigliacchi quanto me, sulla terra c’erano fame ed omicidio e dal cielo cadevano bombe e fuoco. Soltanto Dio non c’era. No, padre, non c’è nessun Dio. Lo scrivo di nuovo, e so che è una cosa terribile e per me irreparabile. E se proprio ci deve essere un Dio, è solo presso di voi, nei libri dei salmi e nelle preghiere, nelle pie parole dei preti e dei pastori, nel suono delle campane e nel profumo dell’incenso. Ma a Stalingrado, no. (Ultime lettere da Stalingrado, Einaudi)

Oggi, 2 febbraio, ricorre il  70° anniversario della liberazione di Stalingrado (oggi Volgograd) dopo una delle più lunghe e terribili battaglie della II guerra mondiale.
La battaglia, durò oltre sei mesi e costò la vita ad almeno 750.000 militari e 250.000 civili. La vittoria delle truppe sovietiche nella battaglia di Stalingrado fu di grande importanza politica e di rilievo internazionale e rinforzò la resistenza nei paesi europei occupati dai nazifascisti. Nel luglio 1942 i tedeschi occupano la metà del territorio dell’URSS in Europa, con 80 milioni di abitanti e vi massacrano 10 milioni di persone, 2,7 milioni dei quali ebrei (i russi riescono a salvarne un milione).  I russi morti nella II guerra mondiale furono 26 – 27 milioni (fra il 15 e il 20% della popolazione) e ad essi vanno aggiunti decine di milioni di invalidi, di orfani, di senzatetto.

Albert Einstein: “Senza la Russia, questi cani sanguinari tedeschi avrebbero raggiunto il loro obiettivo o, in ogni caso, ci sarebbero arrivati vicino. I nostri figli e noi abbiamo un grande debito di gratitudine verso il popolo russo che ha sopportato immense perdite e sofferenze”». Ernest Hemingway: “Ogni essere umano che ama la libertà deve più ringraziamenti all’Armata Rossa di quanti possa esprimerne in tutta una vita”.

Sapere per non dimenticare

Una vera scienza storica non può avere niente in comune  con l’affermazione che gli atti e le decisioni di una sola persona possano essere causa  di una guerra Mondiale. Con questa iniziativa si tenterà, attraverso vari incontri, di analizzare l’hitlerismo in Germania ed il fascismo in Italia, da  chi sono stati messi in piedi, chi li ha  armati e quali erano i veri obiettivi del capitale finanziario internazionale, occulto finanziatore di questa forza d’urto criminale.
Nella serata  di Venerdì 22 giugno alle ore 20.45 in Sala Errera a Mirano con l’aiuto di due storici potremmo conoscere e approfondire la fase più tragica e drammatica della  Seconda Guerra mondiale nella  parte iniziale con l’invasione dell’ URSS e nella parte finale con lo sbarco in Normandia, soprattutto dal punto di vista militare ed economico, non slegato dalle conseguenze distruttive, la più distruttiva delle guerre che la storia ricordi e che l’umanità ha patito con 50 milioni di morti.