È morta Olema Righi, la partigiana in bicicletta

Olema Righi

È morta ieri mattina nella sua abitazione di Carpi, in Provincia di Modena, Olema Righi. Staffetta partigiana, per molti emiliani rappresentava il simbolo stesso della Resistenza, insieme a tante altre compagne come Ibes Pioli o Tina Anselmi.
Celebre la foto che la ritrae in sella alla sua bicicletta, nei giorni della Liberazione, con il fucile ancora in spalla e la bandiera dell’Italia libera sullo sfondo. Chi l’ha conosciuta ricorderà per sempre il suo sguardo determinato – lo stesso di quella vecchia fotografia – ed il sorriso inscritto nel viso di una bellezza severa che si era addolcita col passare degli anni.
Riportiamo il racconto del suo arresto e della tragica morte del fratello (partigiano anche lui), tratto dal sito dell’Associazione Nazionale Partigiana – Emilia Romagna:

Era una mattina di novembre quando, senza neanche poter dire a mia madre che andavo via, sono stata presa e caricata su un camion, dove c’erano altri giovani che dicevano di essere stati arrestati.
Da Limidi, i camion dei repubblichini sono passati per Carpi, dove hanno caricato altra gente, poi si sono diretti a Modena. Dai loro discorsi, si capiva che i repubblichini erano orgogliosi delle loro scelleratezze, della loro “azione”.
A causa delle lunghe soste siamo arrivati all’Accademia (ora Accademia Militare) che era già sera. La mattina seguente il capitano mi ha fatto andare nel suo ufficio per interrogarmi. Stava seduta alla sua scrivania e teneva davanti a se un foglio scritto a mano. Ha cominciato a leggerlo: vi era scritto che io ero una staffetta partigiana, che mio fratello, mia sorella e mio padre erano antifascisti. Quest’ultimo poi era anche in prigione per questo.
C’era scritto proprio tutto in quel maledetto foglio. Avevano saputo tutto della nostra famiglia, anche che noi avevamo un terreno nei prati di Cortile sul quale mio fratello Sarno, insieme ai suoi compagni, aveva costruito un rifugio dove andavano a nascondersi e a dormire.
In seguito, sono stata tenuta per lunghe ore in una stanza di isolamento. Isolamento reso ancora più duro e imprevedibile dalla guardia, un omettino basso e dalla voce rauca, che mi sorvegliava e mi prospettava tutte le cose più brutte, compreso che mi avrebbero mandato in Germania e che mi avrebbero ammazzato. Dopo sette giorni di interrogatori e minacce, il 20 novembre ci fu lo scambio: le vite di 60 partigiani furono scambiate con quelle di 6 tedeschi, così anche noi fummo rilasciati.
Mentre uscivo dal portone dell’Accademia, il capitano che mi aveva interrogato mi prese da parte, per un attimo ebbi paura che mi tenesse ancora là, invece mi fece la predica e tra le altre cose mi disse di non prendere più parte alla guerra. Ricordo ancora le sue parole: “la guerra è per gli uomini e dì a tuo padre che non faccia più attività contro di noi perché, se non lo sa, il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi”. Poi aggiunse: “va a divertirti a casa troverai delle novità”.
Salutai e raggiunsi Stefanina e le altre per andare a casa. Avevamo tanta strada da fare a piedi, ma scherzavamo e ridevamo perché eravamo libere. Finalmente libere da un incubo, ancora tremanti per quegli interrogatori in cui avevamo sempre negato tutto, che ci avevano fatto capire che c’era una spia molto vicina a noi. Una spia amica di quegli scellerati che si vantavano di aver portato via i partigiani, saccheggiato il caseificio e bruciate le case…
A Ganaceto ho incontrato una staffetta, Ione, che si è offerta di accompagnarmi a casa sulla bicicletta. Lungo quel breve tragitto non parlammo molto e io pensavo ad alta voce a chi avrei trovato a casa. Quasi certamente mia madre, mia sorella e mio fratello piccolo. Chissà se mio padre era ancora nascosto a Panzano. Chissà dov’era mio fratello Sarno. L’avevo visto per l’ultima volta il giorno prima del rastrellamento. L’avevo chiamato da lontano e lui si era girato a salutarmi. Fu proprio mentre me lo ricordavo così che Ione mi disse “hanno ucciso tuo fratello”.
Non ricordo più niente di preciso di quello che seguì, ricordo solo che ho ricominciato la mia vita di staffetta con un motivo in più: onorare il sacrificio di mio fratello con una fede ancora più forte nell’antifascismo e nella memoria.

Olema Righi.

Sondaggio sul 25 aprile

Al Comune di Cornate d’Adda si preoccupano delle opinioni dei propri cittadini e così hanno pensato bene di fare un sondaggio sul 25 Aprile, Festa della Liberazione: che questo sondaggio sia stato fatto con intento provocatorio non è dato sapere, vorremmo soltanto ricordare che non ci possiamo dimenticare di chi ha lottato contro il fascismo e il nazismo. La lotta di Liberazione non si sottopone a referendum.

Inviamo le nostre opinioni al sito del comune: https://docs.google.com/forms/d/1qyUF9DHF4dXF_bTFBgxmOmDULHY2GPTHIBtjoh5zI2s/viewform?pli=1

Ancilla Marighetto “Ora”

Ancilla Marighetto "Ora", 18 anni

Partigiana del battaglione “Gherlenda” è la più giovane Medaglia d’Oro al valor militare della Resistenza Italiana; assieme all’amica Clorinda Menguzzato è stata una delle poche donne in Italia a ricevere tale onorificenza. Era trentina. Venne uccisa da un gruppo di volontari italiani del del CST (Corpo di Sicurezza Trentino) composto da personaggi locali che dipendeva direttamente dalle SS tedesche. Per questa ragione, nel primo dopoguerra, si è cercato di farla dimenticare sottacendo, eludendo, glissando, facendo di tutto pur di sbiadire il ricordo di una donna di cui dovremmo andare orgogliosi e uno dei motivi è piccolo piccolo: per coprire i personaggi locali che avevano fatto “il patto col diavolo” e s’erano fatti parte attiva nel lavoro sporco delle SS.
Come il Maresciallo Rocca di Cavalese, uno che a domanda avrebbe probabilmente risposto: “Io non faccio politica”, ma che aveva seguito il consiglio del commissario collaborazionista De Bertolini, l’ispiratore del CST (Corpo di Sicurezza Trentino).

Per ricordarla sabato 2 marzo 2013, con partenza da Passo Brocon (TN) alle 9.30, ci sarà una “Ciaspolata Resistente”, che percorrerà i luoghi che hanno visto il martirio di Ancilla. La manifestazione è organizzata dall’Anpi di Feltre, Belluno, Bolzano e Vittorio Veneto.

La locandina

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/ancilla-marighetto

Le foto della Ciaspolada

Claudia Cernigoi: una vita tra minacce e querele

Claudia Cernigoi, ricercatrice storica e antifascista, autrice di “Operazione foibe tra storia e mito”, racconta in questo documento – testimonianza quello che le è successo dopo la pubblicazione dei suoi testi, basati su un serio lavoro di ricerca storica basato sulla consultazione di documenti e nella ricerca dei testimoni diretti dei fatti. È una testimonianza che racconta gli insulti, le minacce, le querele che ha dovuto subire in questi ultimi anni.  È stata anche cancellata da Wikipedia, (“non è che sia un dramma, vista la poca attendibilità dei suoi articoli”: questa è la pagina delle motivazioni), dopo un martellamento informatico da parte degli stessi autori delle minacce da lei subite. La testimonianza termina con queste parole:

Chiudo qui questo dossier che avrei preferito non dovere scrivere ma che ho redatto per un motivo di autodifesa: rendere note le persecuzioni e le minacce a cui si è sottoposti spesso evita che la situazione degeneri. Per questo motivo ho intenzione di diffonderlo il più possibile, e scusate se per una volta ho parlato tanto di me.

Il testo

La recensione di Wu Ming al libro “Operazione foibe”   (“Un libro fon-da-men-ta-le, che deve circolare, che va diffuso con ogni mezzo necessario e letto dal maggior numero di persone possibile. La lettura spalanca il mondo davanti agli occhi. Questo saggio è uno strumento di lotta, è un’ascia di guerra dissepolta, alfine….”)

Appello dell’Anpi nazionale

Un voto antifascista per guardare avanti

Ci siamo. Il 24 e il 25 la parola passa alle urne. Che cosa diranno saremo noi a stabilirlo. Con il nostro voto. Che, come sempre,  soggettivamente, rappresenterà, insieme, una speranza e una preoccupazione.

Ma, si sa, le elezioni sono un gioco di squadra. L’individuo declina un desiderio, la collettività lo sancisce o lo nega, a maggioranza.
E’ la democrazia, appunto. Che come cantava Gaber è innanzitutto partecipazione.

Già, nessun voto vada disperso. L’Anpi il suo appello lo ha lanciato chiaro e forte. Un voto per rigenerare un Paese sfiduciato, confuso, stressato. In una sola parola in crisi. Non solo economica, anche d’identità.

Un voto per quella democrazia vera che non può nutrirsi di spot fasulli che, anzi, la intossicano. Un voto per dare forza a quell’antifascismo che è l’architrave della nostra Repubblica, quella nata dalla resistenza.

No, non credete a chi per strappare un voto dice che dopo tanti anni ormai tutto è cambiato, che bisogna guardare avanti non indietro. Attenti a chi lo dice perchè sono proprio loro che guardano a quel passato, che hanno tentato in tutti i modi di recuperare, di truccarlo, con l’obietttivo, come si dice oggi, di “sdoganarlo”.

Quel passato invece – non dimentichiamolo mai – rievoca una storia drammatica e disperata del nostro Paese: un Italia senza libertà, con le leggi razziali, con centinaia di migliaia di giovani mandati a morire in guerre ingiuste, con una popolazione civile stremata dalla fame, dalle distruzioni, dai lutti.

In realtà, sono proprio loro, i finti quanto interessati “modernisti”,  che guardano all’indietro.  Chi crede nei valori della libertà e della democrazia guardava avanti allora e guarda avanti oggi.

Sia chiaro, riconoscere quanti pensano con la testa girata all’indietro non è difficile. C’è chi ha preso una netta posizione antifascista e chi no. Guardate chi ha sottoscritto l’appello dell’Anpi e troverete una risposta. Bersani, Vendola, Ingroia, lo hanno fatto.

Non ci troverete nè Berlusconi, nè Maroni, nè La Russa. Nè Monti. E nemmeno Beppe Grillo.

Mi. Urb.

Mel, 23 febbraio 2013: inaugurazione della mostra “Quando morì mio padre”

Sabato 23 febbraio alle ore 18, presso il Palazzo delle Contesse a Mel (BL), ci sarà l’inaugurazione della mostra: “Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943)”, preparata dall’Istituto Gasparini di Gorizia e organizzata dalla sezione Anpi “La Spasema”. La mostra illustra i crimini fascisti italiani contro la comunità slovena e croata al confine orientale italiano. Nello specifico indaga l’odissea dei bambini sloveni deportati nei campi di Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943, attraverso le testimonianze di bambini internati nel campo, raccolte tra il 1944 e il 1945. Si articola in 26 grandi pannelli in italiano e in serbo.
La mostra è nata così: Metka Gombac, nel suo lavoro all’Archivio di stato sloveno, dirige il reparto dedicato alla resistenza. E’ uno degli archivi più ricchi di documentazione su questo fenomeno in Europa. Proprio collaborando con le colleghe di Venezia (scrivevano un articolo sulle donne e sui bambini nella seconda guerra mondiale) si è riusciti a rintracciare una cinquantina di disegni e scritti datati nel 1944 e scritti da bambini sopravvissuti ai campi di concentramento che, tornati a casa, dovevano frequentare i corsi delle scuole riaperte dai partigiani. Il ‘direttore’ didattico, informato dalle maestre “che i bambini rimpatriati rivivevano i drammi trascorsi essendo molto irrequieti e depressi e che bisognava fare qualcosa per rimuovere i patimenti patiti”, impartì alle maestre il consiglio di fare una specie di gara dove dovevano riscrivere e disegnare quello che avevano provato nei “campi”, affinchè “dessero fuori il loro patimento”. È chiaro che si pensava a sanare il PTS (Post traumatic sindrom) e oggi i colleghi psicologi direbbero proprio così, ma allora si pensò solo di alleviare loro il peso del ricordo.
Alla prima mostra organizzata a Ljubljana sono stati invitati all’inaugurazione quasi tutti i bambini sopravvissuti. Allora avevano l’età dai sette ai dieci anni e oggi ne contano settanta in più. Gli organizzatori sono riusciti a creare un ambiente incredibile. I bambini di allora rivedevano i propri compiti dopo decine di anni e rivivevano l’ambiente e la situazione di allora. I sopravvissuti hanno rivisto per la prima volta i propri compiti di scuola di 70 anni prima . Non potevano credere che la storia si fosse ricordata di loro, dei loro patimenti e della loro gioventù provata dall’esperienza del lager.
I testi ed i disegni sono conservati nell’Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e nel Museo di Storia Contemporanea di Lubiana e costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.

Le foto dell’inaugurazione della mostra

Comunicato dell’Anpi di Mirano e del Miranese

In difesa della libertà di pensiero e di espressione

Il Direttivo ANPI di Mirano e del miranese,

esprime vicinanza e solidarietà alla prof.ssa Alessandra Kersevan, ricercatrice storica, fatta oggetto di vergognose aggressioni a Giavera del Montello e a Verona in occasione di incontri promossi per il “Giorno del Ricordo”.

La sua importante opera di studio e ricostruzione delle vicende che hanno segnato il nostro fronte orientale, evidentemente, da fastidio a molti che preferiscono ricordare quelle tragiche e complesse pagine della Seconda Guerra Mondiale, accettando le linee disegnate da una storiografia di comodo o peggio di propaganda, derivata dagli anni della guerra fredda. Il Direttivo ANPI di Mirano e del miranese si onora di averla avuta sua ospite ripromettendosi di rinnovarle l’invito per un’ulteriore, importante, occasione di riflessione.

Si deplorano con forza questi gravissimi episodi di squadrismo fascista, che giungono dopo quelli che hanno visto protagonista il  giornalista Sandro Ruotolo, a Civita Castellana (Vt), e gli studenti del liceo “A.Manzoni” di Milano, che hanno impedito l’irruzione di gruppi di neofascisti nei locali della loro scuola.

E’ il vero volto del neofascismo, che dismesso l’abito buono della festa, ha ripreso quello sporco da lavoro ritornando alle origini quando si bruciavano le sedi dei partiti e dei sindacati, si distruggevano le tipografie dei quotidiani o si mettevano a tacere gli oppositori come Giacomo Matteotti.

Le varie manifestazioni di violenza e intolleranza accadute anche nel “Giorno della Memoria” si inseriscono in un quadro politico generale piuttosto confuso e rissoso, segnato da una campagna elettorale dominata dagli slogan e da improvvisate ricette per combattere la crisi economica, con i partiti impegnati a fronteggiarsi in una competizione dove il tema dell’antifascismo trova poco spazio, come del resto il richiamo ai valori fondanti la nostra Democrazia, nata dalla Lotta di Liberazione e sanciti dalla Costituzione.

Il Direttivo ANPI di Mirano e del miranese auspica che i partiti del fronte progressista mantengano alto il livello di guardia contro ogni forma di intolleranza e sopraffazione e che la difesa dello Stato Repubblicano e delle sue Istituzioni siano assunti come temi qualificanti e discriminanti in queste ultime fasi della campagna elettorale. Gli ideali della Resistenza siano espressione di un sentire comune rivolto al riscatto morale del paese e ad un impegno politico inteso come servizio e partecipazione, andando oltre le divisioni e gli interessi di parte.

Mobilitare le coscienze con la riflessione critica e la partecipazione attiva per un antifascismo militante per l’unità di tutte le forze democratiche

Comunicato dell’Anpi Provinciale di venezia

L’ANPI provinciale di Venezia ritiene che i fatti accaduti a Montebelluna e all’Università di Verona siano da condannare senza alcuna attenuante, e non solo come segno di ignoranza sociale, storica e democratica, ma soprattutto per i modi con i quali si è voluto vietare un democratico confronto.

L’ANPI vuole ricordare che il Giorno del Ricordo (fortemente voluto da un’ampia parte del parlamento Italiano) è un giorno rievocativo e celebrativo, con lo scopo di guardare ai fatti istriani e dalmati con un senso di rispetto, di partecipazione al dolore, di conoscenza dei fenomeni barbarici e terribili che hanno scosso, dopo quei fatti, le coscienze di molti italiani. Recita, infatti, la legge: La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.

Erano chiare le parole dell’allora Presidente Ciampi: «L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro»; concetti ribaditi poi da Napolitano che riaffermava la necessità di «consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa.»

Anche l’ANPI in tutto il territorio nazionale partecipa anche attivamente a queste celebrazioni, portando testimonianze, documenti e riflessioni. Tanti sono gli storici che si confrontano in quel giorno, come tante sono le ricerche che vengono portate a conoscenza dei partecipanti. Tutto questo con la finalità di rispondere ai contenuti espressi dalla legge 30 marzo 2004 n. 92 che ha istituito il Giorno del Ricordo.

Ma questa giornata dedicata alla conoscenza, all’approfondimento e alla riflessione sulle radici storiche che hanno portato a quelle tragiche conseguenze, per alcune frange nostalgiche e fasciste, è diventata il giorno del riscatto, delle rivendicazioni di un eroismo nazional-fascista, dell’antidemocrazia, di una falsa pretesa di giustizia politica e sociale, della denuncia di atteggiamenti razzisti nei confronti delle minoranze italiane subiti dopo la fine del conflitto mondiale. E spesso opponendo quel giorno di riflessione al Giorno della Memoria; e tutto ciò nella logica della netta contrapposizione tra buono e cattivo, tra vero e falso.

In quest’ottica, gruppi di Naziskin, di iscritti e simpatizzanti della Giovane Italia hanno voluto, a Villa Wassermann a Giavera e nelle aule dell’università di Verona, interrompere le lezioni della ricercatrice storica Alessandra Kersevan con atti intimidatori e violenti. Entrando e occupando spazi pubblici.

Ancora una volta le frange fasciste hanno sostituito il dialogo con la violenza, le idee alle minacce, la conoscenza all’aggressività manifestando una ferocia che ci riporta ad altri periodi, quelli del rogo dei libri, della distruzione delle case del popolo, del disprezzo della cultura.

Ma riteniamo che sia ancor più grave che figure istituzionali come i sindaci o i rettori chiudano gli occhi davanti a fatti così gravi, o ancor peggio prendendo attiva posizione nel vietare tali incontri, e che non rispondano al loro mandato democratico di imparzialità verso le persone e di rispetto di una legge dello Stato. Spesso erigendosi a giudici vietando che gli uomini, le donne, i giovani, gli studenti possano conoscere i fatti e le vicende che hanno indotto una larghissima maggioranza parlamentare, a promuovere un percorso di conoscenza di un periodo storico molto complesso, lasciando invece che violenza, brutalità e minacce e imposizioni veementi possano ancora una volta, dopo settant’anni dall’inizio della Resistenza, essere i soli strumenti per imporre una propria verità.

Il Presidente Provinciale Diego A. Collovini

Il Segretario Provinciale  Tullio Cacco

 

A Verona aggressione fascista all’università

Il 12 febbraio doveva tenersi all’Università di Verona un incontro con la storica Alessandra Kersevan, organizzato dai collettivi studenteschi “Studiare Con Lentezza” e “Pagina/13”, sul tema “Foibe: tra mito e realtà”. Questo il resoconto di quello che è successo dal sito http://beforetheyfall.blogspot.it:

 Squadrismo fascista. Non ci sono altri concetti per definire quello che è successo oggi, 12 febbraio 2013, all’università di Verona in presenza di un incontro sulla questione delle “foibe” con la storica Alessandra Kersevan.  Il resoconto sarà un po’ lungo, ma capite che è necessario chiarire tutto.
Partiamo dall’inizio, ma se non avete voglia della suspance andate alla fine.

1. L’università del potere
I collettivi studenteschi Pagina 13 (che è riconosciuto dall’università e quindi riceve fondi di rimborso per organizzare eventi) e Studiare con Lentezza organizzano un incontro con Alessandra Kersevan dal titolo “Foibe : tra mito e realtà”. Un incontro che viene organizzato in università con la procedura di un iter amministrativo per la concessione di un aula che, dopo aver avuto la firma di due professori che approvano l’iniziativa, viene concessa. La notizia dell’incontro subito non desta scandalo. D’altronde, non ci sono ragioni per che lo causi visto che un incontro sulle foibe è stato presentato all’Istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea con Costantino Di Sante, a cui hanno presenziato anche esuli e in cui non ci sono stati particolari disordini. Tuttavia il giorno 11 compaio sull’evento facebook dell’evento le prime polemiche, un commento le apre. Critiche che criticano il fatto che ci siano una storica “revisionista” o, peggio ancora, “negazionista”. Critiche riprese da un comunicato ufficiale di CasaPound Verona . Nei commenti si trovano risposte provocatorie ma anche risposte puntuali che fanno notare che si tratta di  ricerca storica  e quindi di una discussione che è aperta a dibattiti e dubbi e, se si è contrari alle tesi e interpretazioni, aperta a riceve revisioni, sulla base di fonti.
A questo punto, ricevute critiche e quant’altro il magnifico rettore Alessandro Mazzucco invia una mail al professore direttore del dipartimento tesis, che era responsabile per la concessione dell’aula, per invitarlo ad annullare il tutto:

Caro professore Romagnani,
ricevo una serie crescente di messaggi sempre più allarmati per la scelta di dar vita ad un seminario sulle Foibe, delle quali il Presidente della Repubblica ha celebrato proprio in questi giorni il doloroso ricordo. Per quanto le intenzioni possano essere animate da una volontà di perseguire una verità storica, che non sarà facile riconoscere, l’impressione estremamente forte è che non si giustifichi la coincidenza di questa conferenza con il tempo della commemorazione, che tocca da vicino tanti nostri concittadini e le loro memorie.
Di conseguenza, insisto per una azione di doveroso rispetto per queste non poche persone, alcune delle quali operano anche all’interno di questo Ateneo. C’ è un tempo per la pietà e un tempo per la scienza. Non mancheranno le occasioni per affrontare questo comunque doloroso pezzo di storia recente con una molteplicità di testimonianze.
Adesso sarebbe veramente inaccettabile.
Rinnovo pertanto la richiesta di soprassedere a questa iniziativa, dalla quale debbo dissociarmi in piena convinzione, che non potrebbe trovare giustificazione e farebbe ricadere sull’intero Ateneo un’ ombra non cercata e non meritata.
Alessandro Mazzucco.

La risposta del professore è ovviamente negativa, invitando il rettore, se proprio volesse, ad annullarlo lui personalmente. Detto fatto:

Caro Romagnani, cari studenti,
come avevo anticipato nel pomeriggio, la programmazione dell’evento in oggetto ha suscitato, non solo in Verona,  una serie crescente di reazioni  e di tensioni che sollevano forti preoccupazioni sulla sicurezza che potrebbe essere  garantita.
Pertanto, sono costretto a ordinare la sospensione dell’incontro.

C’è un problema però. Oltre ad aver avvisato alle 18.35 della sera precedente ad un incontro organizzato da un mese, in cui una storica di professione aveva preso un impegno eliminandone chissà quanti altri, quella mail ( e quindi non un atto d’ufficio) viene inviata, oltre che al prof. Romagnani, alla mail privata di un cittadino (nemmeno studente).
Ma tralasciando questo aspetto, vogliamo chiarire cosa dice?

C’È UN TEMPO PER LA PIETÀ E UNO PER LA SCIENZA.
Ci rendiamo conto? Questo è esattamente quello che Silvio Lanaro, riprendendo Marc Ferro, definisce tabù (Silvio Lanaro, raccontare la storia, marsillio, 2004) e cioè ciò di cui non si vuol parlare:

nella rinuncia – spontanea, quasi inavvertita – a discorrere di ciò che in un particolare momento non appare in sintonia con la coscienza collettiva, con l’autoimmagine di un sistema politico-sociale, di una confessione religiosa, di una tradizione istituzionalizzata, o anche semplicemente con un interesse ideologico predominante, o con il desiderio di oblio e di soppressione di una memoria dolorosa

Quando sarà mai il tempo per la scienza? Settanta anni non sono bastati? E come mai discorsi simili non si fanno per altri eventi? Come mai nell’incontro all’istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea, a cui hanno partecipato esuli, non si è voluto fare casino? Si ha paura di trattare SCIENTIFICAMENTE di Storia, perchè lo studio della Storia ha anche “funzone militante, ma non al servizio dello Stato, del partito e della Chiesa cattolica, bensì al servizio di una società che si sviluppa indipendentemente dai poteri che la opprimono” (Marc Ferro)
Oltretutto Mazzucco aggiunge che “farebbe ricadere sull’intero Ateneo un’ ombra non cercata e non meritata.” Vedremo tra poco che ombra è invece ricaduta sull’università.
Ma, andando oltre, dopo aver chiesto l’annullamento per motivi antiscientifici e quindi contrari al senso stesso dell’università che è luogo di ricerca, manda una mail (e ripeto, quindi non un atto d’ufficio anche se alcuni professori pretendevano fosse tale) giustificando la sospensione per “motivi di sicurezza”. Ci rendiamo conto a che livelli di ipocrisia siamo?

2. Il giornalismo del potere
Se ciò non bastasse si aggiunge il giornalismo. L’Arena e il Corriere di Verona pubblicano articoli che definirli faziosi è poco. Kersevan “revisionista”, abusando del concetto e facendo una inversione di valori delle più pericolose.  Sinceramente non credo che sia utile soffermarcisi troppo. Vi lascio i link agli articoli e divertitevi voi.

3. Lo squadrismo fascista e l’avallo istituzionale
Oggi, alla fine, è stato deciso di fare nonostante tutto l’incontro. Nessuno degli organizzatori ha ricevuto un documento, un atto d’ufficio, sull’annullamento della concessione dell’aula. Tuttavia, c’era aria di preoccupazione perché in università stavano girando diversi volti noti dell’estrema destra già dalla mattina. Girava anche voce che si stessero preparando nascondendo cose nei calzini, chissà, abbiamo pensato, bisognerà aspettarsi di tutto.
Nel primo pomeriggio, dopo aver sentito i professori che avevano concesso l’aula (e che appoggiavnao la nostra iniziativa perchè si tratta di ricerca storica e non di slogan politici, di uso delle fonti e non di propaganda) viene deciso di fare l’incontro.. La professoressa Kersevan arriva, con la figlia, circa alle 15.45 giusto il tempo che un signore, che pare essere il Responsabile Amministrativo dell’università, arrivasse, insistendo per mezzora, portando le veci del rettore, affermando che la conferenza non veniva concessa e che quindi non si doveva fare. Non si capisce tra l’altro come il rettore possa annullare la conferenza. Il suo potere era di non concedere aule e, infatti lo ha fatto. Sono state prontamente chiuse tutte le aule possibili.
Tuttavia, dopo mezzora di discussione con la professoressa Kersevan che aspettava, oltretutto giustamente offesa da quello scritto dai giornali nonchè dalle dichiarazioni del rettore, si è entrati in un aula, la T.4, appena è stata liberata da chi stava facendo esami.  La prima reazione del responsabile amministrativo è stata quella di far staccare la corrente dell’aula. La Kersevan aveva preparato un incontro con immagini ma, elettricità o meno, aveva iniziato a parlare. Nel frattempo alcuni avevano allungato una prolunga fino a prese esterne. La risposta è stata immediata: la corrente è stata tolta a tutto il piano, anche all’ufficio per il servizio disabili.
Tra l’altro nel frattempo e anche precedentemente, CasaPound aveva allestito una mostra con foto nel chiostro dell’università e distribuiva volantini in cui parlava di 200.000 morti e 350.000 esuli, naturalmente il responsabile amministrativo preferiva discutere con noi, piuttosto che con loro.
L’incontro è andato avanti per circa 45 minuti. Ad un certo punto però, il finimondo. Dall’interno dell’aula si è sentito un ammasso di persone correre sbraitando e urlando frasi come “Merde”, “Tito boia”(naturalmente muniti di caschi, non si sa mai che in università piova! e, naturalmente, credendo che si stesse facendo apologia di Tito. Evidentemente per loro è difficile non ragionare per compartimenti stagni). I primi esterni al corridoio, che stavano controllando l’area per evitare disordini, sono immediatamente corsi dentro e hanno chiuso le porte, bloccandole con le sedie. Nel frattempo, la cinquantina e più di persone che ascoltava, usciva dalle porte che davano sul prato interno. Ovviamente i “fascisti del terzomillennio” hanno fatto il giro e sono arrivati nel prato. Al che tutti sono entrati e, una volta aperte le porte che erano state blindate e quindi usciti nel corridoio, ci siamo trovati una bella “sorpresa” di qualche furbacchione (chissè chi eh!!)che aveva gettato qualcosa tipo spray al peperoncino o  qualcosa di simile. E infatti gola che brucia, occhi che lacrimano e qualcuno con conati di vomito.  Mentre le squadracce nere erano fuori nel parco interno con uno striscione “VERITÀ”. Lascio a voi ogni commento.
Si è poi lentamente usciti con la gente molto scossa (figuratevi poi la Kersevan!!) oltre che int tensione pe ril pericolo di trovarsi altre sorprese. All’esterno c’erano 5-6 macchine della polizia e due camionette di carabinieri e polizia oltre che i militari. Ovviamente prima non sono intervenuti perchè per entrare in università serve la chiamata del rettore che, casualità oggi non c’era.

QUESTA È LA DEMOCRAZIA CHE I FASCISTI DEL TERZO MILLENNIO SONO SOLITI USARE. QUESTA È LA VIOLENZA CHE LE ISTITUZIONI ACCETTANO E CONTRIBUISCONO A CREARE NELLA FERMENTAZIONE DI UN CLIMA DI ODIO E RIPUDIO DELLA RICERCA STORICA. SARÀ CONTENTO ORA MAZZUCCO DELL’OMBRA CHE È RICADUTA SULL’UNIVERSITÀ?

Il commento di Alessandra Kersevan sulla vicenda

Il comunicato del collettivo “Studiare Con Lentezza”

Il sito www.diecifebbraio.info con altri documenti sull’aggressione

La testimonianza di un partecipante all’incontro

Lettera dell’Associazione ex Deportati nei Campi nazisti

Fogli della memoria

Vi presentiamo il “foglio della memoria” di Damiano Salaroli della classe 3^ A In dell’Istituto Tecnico “P. Levi” di Mirano, che ha vinto il premio ANPI 2013 “Dalla consapevolezza emotiva alla consapevolezza critica”, consegnato allo studente dal Segretario della sezione di Mirano, Bruno Tonolo.

“Dicono che il sole splenda per tutti
Ma nel mondo di alcuni non splende affatto
Dicono che l’amore sia un flusso
Che troverà la sua strada
Alcuni pensano che la vita sia un sogno
Così fanno le cose peggiori.”
(Bob Marley)

Mentre ero nei due Campi, ho riflettuto molto sul presente e sul futuro; mi sono chiesto: cos’ha imparato l’uomo da questo orribile fatto? Mi permetto di dire Niente, niente a confronto di ciò che è successo. La storia ci insegna, o meglio, ci dovrebbe insegnare molte cose ma purtroppo l’essere umano è ottuso, è spento, privo di una propria cultura e tutto ciò mi fa paura. Questa guerra mi ha fatto capire che l’uomo pensa solo a se stesso, che pensa a riempirsi la propria pancia piuttosto che la mente, pensa a riempirsi il proprio portafogli piuttosto che la propria anima. Ricordare serve, ma il ricordo da solo non basta, deve essere accompagnato da ideali nuovi, totalmente contrari a quelli di una volta perché sono convinto che nella parola “dittatura” si sia aggiunto un nuovo significato, ora viviamo in una dittatura intellettuale nascosta, che piano piano si insidia dentro di noi. Le informazioni di parte, molto spesso false, la falsa libertà di stampa, l’ipocrisia di chi ci governa, ma soprattutto ci stanno e ci stiamo togliendo la libertà, quella libertà che è stata conquistata con il sangue dai nostri Partigiani e scritta nella Nostra Costituzione. Stiamo perdendo i veri valori, più le generazioni vanno avanti e più tutto diventa superficiale. E’ facile ricordare che gli ebrei non erano liberi di avere una propria identità, di vivere in una propria casa, di avere un proprio lavoro ma soprattutto non avevano la libertà di dire: “Sì, io ci sono!”. Noi non pensiamo che dobbiamo tenerci strette le nostre libertà, libertà che purtroppo si stanno perdendo. Ci basta chiedere un tetto, avere un bel telefono, guardare la partita di calcio alla domenica e andare due giorni al mare ma il resto ci può essere anche negato. Ognuno di noi dal Genocidio dovrebbe avere un occhio molto più critico, dovrebbe sapere arrabbiarsi e dire: “Sì, io ci sono!” perché la nostra fortuna più grande è questa, è poter pensare con la propria testa ed esprimere la propria opinione.

“Mi fa bene comunque illudermi
che la risposta sia un rifiuto vero
che lo sfogo della tolleranza prenda consistenza
e ridiventi un coro.”
(Giorgio Gaber)