È morta Olema Righi, la partigiana in bicicletta

Olema Righi

È morta ieri mattina nella sua abitazione di Carpi, in Provincia di Modena, Olema Righi. Staffetta partigiana, per molti emiliani rappresentava il simbolo stesso della Resistenza, insieme a tante altre compagne come Ibes Pioli o Tina Anselmi.
Celebre la foto che la ritrae in sella alla sua bicicletta, nei giorni della Liberazione, con il fucile ancora in spalla e la bandiera dell’Italia libera sullo sfondo. Chi l’ha conosciuta ricorderà per sempre il suo sguardo determinato – lo stesso di quella vecchia fotografia – ed il sorriso inscritto nel viso di una bellezza severa che si era addolcita col passare degli anni.
Riportiamo il racconto del suo arresto e della tragica morte del fratello (partigiano anche lui), tratto dal sito dell’Associazione Nazionale Partigiana – Emilia Romagna:

Era una mattina di novembre quando, senza neanche poter dire a mia madre che andavo via, sono stata presa e caricata su un camion, dove c’erano altri giovani che dicevano di essere stati arrestati.
Da Limidi, i camion dei repubblichini sono passati per Carpi, dove hanno caricato altra gente, poi si sono diretti a Modena. Dai loro discorsi, si capiva che i repubblichini erano orgogliosi delle loro scelleratezze, della loro “azione”.
A causa delle lunghe soste siamo arrivati all’Accademia (ora Accademia Militare) che era già sera. La mattina seguente il capitano mi ha fatto andare nel suo ufficio per interrogarmi. Stava seduta alla sua scrivania e teneva davanti a se un foglio scritto a mano. Ha cominciato a leggerlo: vi era scritto che io ero una staffetta partigiana, che mio fratello, mia sorella e mio padre erano antifascisti. Quest’ultimo poi era anche in prigione per questo.
C’era scritto proprio tutto in quel maledetto foglio. Avevano saputo tutto della nostra famiglia, anche che noi avevamo un terreno nei prati di Cortile sul quale mio fratello Sarno, insieme ai suoi compagni, aveva costruito un rifugio dove andavano a nascondersi e a dormire.
In seguito, sono stata tenuta per lunghe ore in una stanza di isolamento. Isolamento reso ancora più duro e imprevedibile dalla guardia, un omettino basso e dalla voce rauca, che mi sorvegliava e mi prospettava tutte le cose più brutte, compreso che mi avrebbero mandato in Germania e che mi avrebbero ammazzato. Dopo sette giorni di interrogatori e minacce, il 20 novembre ci fu lo scambio: le vite di 60 partigiani furono scambiate con quelle di 6 tedeschi, così anche noi fummo rilasciati.
Mentre uscivo dal portone dell’Accademia, il capitano che mi aveva interrogato mi prese da parte, per un attimo ebbi paura che mi tenesse ancora là, invece mi fece la predica e tra le altre cose mi disse di non prendere più parte alla guerra. Ricordo ancora le sue parole: “la guerra è per gli uomini e dì a tuo padre che non faccia più attività contro di noi perché, se non lo sa, il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi”. Poi aggiunse: “va a divertirti a casa troverai delle novità”.
Salutai e raggiunsi Stefanina e le altre per andare a casa. Avevamo tanta strada da fare a piedi, ma scherzavamo e ridevamo perché eravamo libere. Finalmente libere da un incubo, ancora tremanti per quegli interrogatori in cui avevamo sempre negato tutto, che ci avevano fatto capire che c’era una spia molto vicina a noi. Una spia amica di quegli scellerati che si vantavano di aver portato via i partigiani, saccheggiato il caseificio e bruciate le case…
A Ganaceto ho incontrato una staffetta, Ione, che si è offerta di accompagnarmi a casa sulla bicicletta. Lungo quel breve tragitto non parlammo molto e io pensavo ad alta voce a chi avrei trovato a casa. Quasi certamente mia madre, mia sorella e mio fratello piccolo. Chissà se mio padre era ancora nascosto a Panzano. Chissà dov’era mio fratello Sarno. L’avevo visto per l’ultima volta il giorno prima del rastrellamento. L’avevo chiamato da lontano e lui si era girato a salutarmi. Fu proprio mentre me lo ricordavo così che Ione mi disse “hanno ucciso tuo fratello”.
Non ricordo più niente di preciso di quello che seguì, ricordo solo che ho ricominciato la mia vita di staffetta con un motivo in più: onorare il sacrificio di mio fratello con una fede ancora più forte nell’antifascismo e nella memoria.

Olema Righi.

Altresì…(che vergogna)

Il distintivo della Guerra di Liberazione

Art.5 DPR n.1590 del 17 novembre 1948:

Il distintivo della guerra di liberazione è concesso:
ai militari e militarizzati delle Forze Armate dello Stato,
agli appartenenti alla Guardia di Finanza,
al personale della Croce Rossa Italiana e del Sovrano Militare Ordine di Malta,
agli assimilati ed ai civili,
che durante la guerra di liberazione siano caduti in combattimento ovvero si siano trovati in una delle seguenti condizioni:
a) abbiano prestato servizio dal 9 settembre 1943 in poi, per un periodo di almeno tre mesi, anche non consecutivi, alle dipendenze di enti delle Forze armate dello Stato, mobilitati dai rispettivi Stati Maggiori, o, se civili o assimilati, al seguito delle Forze armate operanti;
b) abbiano riportato ferite o mutilazioni o contratto infermità riconosciute dipendenti da cause specificamente derivanti da azioni di guerra;
c) abbiano onorevolmente partecipato ad un importante fatto d’arme;
d) abbiano ottenuto, in dipendenza dell’attività bellica nella guerra di liberazione o in azioni contro i tedeschi prima della dichiarazione di guerra alla Germania, una ricompensa al valor militare o la croce al merito di guerra.

Il distintivo suddetto è altresì concesso a coloro cui sia stata attribuita la qualifica di partigiano combattente.

Sondaggio sul 25 aprile

Al Comune di Cornate d’Adda si preoccupano delle opinioni dei propri cittadini e così hanno pensato bene di fare un sondaggio sul 25 Aprile, Festa della Liberazione: che questo sondaggio sia stato fatto con intento provocatorio non è dato sapere, vorremmo soltanto ricordare che non ci possiamo dimenticare di chi ha lottato contro il fascismo e il nazismo. La lotta di Liberazione non si sottopone a referendum.

Inviamo le nostre opinioni al sito del comune: https://docs.google.com/forms/d/1qyUF9DHF4dXF_bTFBgxmOmDULHY2GPTHIBtjoh5zI2s/viewform?pli=1

Ancilla Marighetto “Ora”

Ancilla Marighetto "Ora", 18 anni

Partigiana del battaglione “Gherlenda” è la più giovane Medaglia d’Oro al valor militare della Resistenza Italiana; assieme all’amica Clorinda Menguzzato è stata una delle poche donne in Italia a ricevere tale onorificenza. Era trentina. Venne uccisa da un gruppo di volontari italiani del del CST (Corpo di Sicurezza Trentino) composto da personaggi locali che dipendeva direttamente dalle SS tedesche. Per questa ragione, nel primo dopoguerra, si è cercato di farla dimenticare sottacendo, eludendo, glissando, facendo di tutto pur di sbiadire il ricordo di una donna di cui dovremmo andare orgogliosi e uno dei motivi è piccolo piccolo: per coprire i personaggi locali che avevano fatto “il patto col diavolo” e s’erano fatti parte attiva nel lavoro sporco delle SS.
Come il Maresciallo Rocca di Cavalese, uno che a domanda avrebbe probabilmente risposto: “Io non faccio politica”, ma che aveva seguito il consiglio del commissario collaborazionista De Bertolini, l’ispiratore del CST (Corpo di Sicurezza Trentino).

Per ricordarla sabato 2 marzo 2013, con partenza da Passo Brocon (TN) alle 9.30, ci sarà una “Ciaspolata Resistente”, che percorrerà i luoghi che hanno visto il martirio di Ancilla. La manifestazione è organizzata dall’Anpi di Feltre, Belluno, Bolzano e Vittorio Veneto.

La locandina

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/ancilla-marighetto

Le foto della Ciaspolada

Claudia Cernigoi: una vita tra minacce e querele

Claudia Cernigoi, ricercatrice storica e antifascista, autrice di “Operazione foibe tra storia e mito”, racconta in questo documento – testimonianza quello che le è successo dopo la pubblicazione dei suoi testi, basati su un serio lavoro di ricerca storica basato sulla consultazione di documenti e nella ricerca dei testimoni diretti dei fatti. È una testimonianza che racconta gli insulti, le minacce, le querele che ha dovuto subire in questi ultimi anni.  È stata anche cancellata da Wikipedia, (“non è che sia un dramma, vista la poca attendibilità dei suoi articoli”: questa è la pagina delle motivazioni), dopo un martellamento informatico da parte degli stessi autori delle minacce da lei subite. La testimonianza termina con queste parole:

Chiudo qui questo dossier che avrei preferito non dovere scrivere ma che ho redatto per un motivo di autodifesa: rendere note le persecuzioni e le minacce a cui si è sottoposti spesso evita che la situazione degeneri. Per questo motivo ho intenzione di diffonderlo il più possibile, e scusate se per una volta ho parlato tanto di me.

Il testo

La recensione di Wu Ming al libro “Operazione foibe”   (“Un libro fon-da-men-ta-le, che deve circolare, che va diffuso con ogni mezzo necessario e letto dal maggior numero di persone possibile. La lettura spalanca il mondo davanti agli occhi. Questo saggio è uno strumento di lotta, è un’ascia di guerra dissepolta, alfine….”)

Appello dell’Anpi nazionale

Un voto antifascista per guardare avanti

Ci siamo. Il 24 e il 25 la parola passa alle urne. Che cosa diranno saremo noi a stabilirlo. Con il nostro voto. Che, come sempre,  soggettivamente, rappresenterà, insieme, una speranza e una preoccupazione.

Ma, si sa, le elezioni sono un gioco di squadra. L’individuo declina un desiderio, la collettività lo sancisce o lo nega, a maggioranza.
E’ la democrazia, appunto. Che come cantava Gaber è innanzitutto partecipazione.

Già, nessun voto vada disperso. L’Anpi il suo appello lo ha lanciato chiaro e forte. Un voto per rigenerare un Paese sfiduciato, confuso, stressato. In una sola parola in crisi. Non solo economica, anche d’identità.

Un voto per quella democrazia vera che non può nutrirsi di spot fasulli che, anzi, la intossicano. Un voto per dare forza a quell’antifascismo che è l’architrave della nostra Repubblica, quella nata dalla resistenza.

No, non credete a chi per strappare un voto dice che dopo tanti anni ormai tutto è cambiato, che bisogna guardare avanti non indietro. Attenti a chi lo dice perchè sono proprio loro che guardano a quel passato, che hanno tentato in tutti i modi di recuperare, di truccarlo, con l’obietttivo, come si dice oggi, di “sdoganarlo”.

Quel passato invece – non dimentichiamolo mai – rievoca una storia drammatica e disperata del nostro Paese: un Italia senza libertà, con le leggi razziali, con centinaia di migliaia di giovani mandati a morire in guerre ingiuste, con una popolazione civile stremata dalla fame, dalle distruzioni, dai lutti.

In realtà, sono proprio loro, i finti quanto interessati “modernisti”,  che guardano all’indietro.  Chi crede nei valori della libertà e della democrazia guardava avanti allora e guarda avanti oggi.

Sia chiaro, riconoscere quanti pensano con la testa girata all’indietro non è difficile. C’è chi ha preso una netta posizione antifascista e chi no. Guardate chi ha sottoscritto l’appello dell’Anpi e troverete una risposta. Bersani, Vendola, Ingroia, lo hanno fatto.

Non ci troverete nè Berlusconi, nè Maroni, nè La Russa. Nè Monti. E nemmeno Beppe Grillo.

Mi. Urb.

Beppe Fenoglio

Dante Isella: “…rispetto alla letteratura cosiddetta resistenziale, il romanzo di Fenoglio è come il Moby Dick nella letteratura marinara. La sua dimensione epica dilata lo spazio e il tempo dell’azione oltre le loro misure reali”

Italo Calvino (a proposito di “Una questione privata”): “…è costruito con la geometrica tensione d’un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l’Orlando furioso, e nello stesso tempo c’è la resistenza proprio com’era di dentro e di fuori, vera come era stata scritta, serbata per tanti anni nella memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro e quest’altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perchè…”

Beppe Fenoglio a Italo Calvino che gli chiedeva qualche dato da includere nella presentazione del suo primo libro “I ventitrè giorni della città di Alba”: “Circa i dati biografici, è dettaglio che posso sbrigare in un baleno. Sono nato ad Alba il 1° marzo 1922, studente al ginnasio liceo, poi all’Università, ma naturalmente non mi sono laureato. Soldato del Regio e poi partigiano. Oggi uno dei procuratori di una nota ditta enologica. Credo che sia tutto qui. Ti basta, no? Mi chiedi una fotografia. Ora, sono sette anni circa che non mi faccio fotografare…”.

Beppe Fenoglio se n’è andato 50 anni fa e il silenzio “rumoroso” sulla ricorrenza della morte di uno dei più grandi scrittori italiani fa pensare…è stato il più grande cantore della guerra di liberazione contro i nazifascisti, anche se non è stato solo questo. C’ è uno scritto di Gina Lagorio, rivolto ai ragazzi delle scuole medie, che parla di lui e ci fa capire la sua grandezza. Questo è il brano:

“Beppe Fenoglio era nato ad Alba, il 1° marzo del 1922. Nella cittadina Beppe passò l’intera vita, allontanandosene solo durante la parentesi del servizio militare e della guerra. Compì pochi viaggi e sempre per ragioni di lavoro: l’attacamento ad Alba fu, insieme alla tenacia degli affetti e dell’amicizia, un suo carattere distintivo e in lui durò tutta la vita. Nel liceo di Alba, Fenoglio ebbe la fortuna di avere maestri d’eccezione: c’era il fascismo, la libertà di pensiero e d’opinione era soffocata, la propaganda ufficiale, attraverso la radio, nei giornali, nella scuola, coltivava i miti della potenza militare e della supremazia di una razza sulle altre. Fenoglio rifiutò istintivamente la retorica che vedeva manifestarsi nelle parate fasciste ed ebbe, in questo rifiuto, il sostegno del suo professore di lettere Leonardo Cocito e del filosofo Pietro Chiodi, entrambi antifascisti e più tardi partigiani combattenti: il primo pagò con la morte per impiccagione da parte dei tedeschi la sua fede politica. Iscrittosi alla facoltà di lettere a Torino, e scoppiata la guerra, dovette interrompere gli studi per partecipare a un corso allievi ufficiali: trasferito a Roma, fu colto là dalla caduta del fascismo e dall’armistizio. Come per tanti altri giovani, l’8 settembre del’43 segnò per Fenoglio la lunga fuga verso casa e poi la ribellione armata sulle colline, dove militò nelle formazioni autonome di Mauri, cioè non legate ad alcun partito politico. A Liberazione avvenuta, rientrato in Alba, si impiegò in una ditta vinicola dove rimase fino alla morte, avvenuta per cancro ai bronchi il 18 febbraio 1963. Oltre le opere pubblicate da vivo (dopo “I ventitrè giorni della città di Alba” apparve nel ’54 “La malora” e nel ’59 “Primavera di bellezza”) altre ne sono apparse postume, tratte da una mole di scritti suoi: molte pagine sono vergate sul retro dei fogli commerciali della ditta, perchè Fenoglio era scrittore tenacissimo, paziente creatore del suo stile, tanto sdegnoso di ogni chiasso intorno al suo nome, di ogni pubblicità, quanto persuaso della propria vocazione. La fama l’ha raggiunto tardi, con le opere postume: “Una questione privata” è stato giudicato il racconto “più bello della Resistenza” e “Il partigiano Johnny” ha costituito l’avvenimento letterario più importante di questi ultimi anni, suscitando un acceso interesse per lo scrittore di Alba, indicato come “il più interessante tra i nostri narratori rivelatisi nel dopoguerra”. In un inedito, “L’affare dell’anima”, c’è un inciso illuminante: “Molti, specie i vecchi, sulle Langhe chiamavano semplicemente ‘allora’ i tempi dei partigiani”. Anche per Fenoglio quei tempi furono ‘allora’: egli ebbe chiara coscienza che la Resistenza era stato il momento centrale della sua vita, come per Dante era stato il periodo dell’esilio. La Resistenza fu la sua Iliade e la sua Odissea: una lotta accettata per tornare a vivere da uomo nella terra che amava. Se c’è uno scrittore che può aiutarvi a capire quella che è stata la storia dei vostri padri, e il significato più vero della Resistenza, questo è proprio Fenoglio, che la visse fino all’ultimo e ne ripensò poi sempre gli eventi e gli uomini, facendoli rinascere nelle sue pagine. Senza retorica, senza dividere l’umanità in buoni e cattivi, senza indulgere a nessuna esaltazione: i suoi guerrieri sono ragazzi poco più vecchi di voi, imprevidenti spesso, vanitosi e litigiosi: talvolta giocano con le armi, ma le hanno scelte volontariamente, preferendo rischiare la pelle piuttosto che vendersi l’anima. Quei ragazzi seppero resistere al nemico soverchiante e al freddo, alla fame, ai disagi; molti non tornarono; oggi li si ricorda il 25 aprile: una celebrazione ufficiale a cui voi, forse, guardate con un poco di indifferenza. Ma la Resistenza non è una “leggenda” e non è storia passata: è una scelta morale, che condiziona l’intera esistenza; è presente in tutta la nostra storia e in quella di ogni popolo che si conquista la sua libertà e la sua giustizia: sempre la muove l’amore della terra in cui si è nati e che si difende per viverci da uomini. Per questo le pagine di Fenoglio sono cariche di vita, tutta, col suo peso di male e di bene, di violenza e di pietà; quei suoi guerrieri respirano ancora, negli eroismi e nelle debolezze, come respirano tutti gli uomini che nel mondo difendono il loro diritto a un’esistenza civile“.

Giuseppe Cederna legge il brano “L’amore si fa ripensare” da “Appunti partigiani”:

https://www.youtube.com/watch?v=-w4Qk-bZVmw

Giovanni Lindo Ferretti (CSI) legge “Il gorgo”:

http://www.youtube.com/watch?v=MJ96STkGaCs

Quelli che non si sono dimenticati di Beppe: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=11921

I personaggi (veri) de “Il Partigiano Johnny”: http://www.parcoletterario.it/it/autori/fenoglio_personaggi.htm

Mel, 23 febbraio 2013: inaugurazione della mostra “Quando morì mio padre”

Sabato 23 febbraio alle ore 18, presso il Palazzo delle Contesse a Mel (BL), ci sarà l’inaugurazione della mostra: “Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943)”, preparata dall’Istituto Gasparini di Gorizia e organizzata dalla sezione Anpi “La Spasema”. La mostra illustra i crimini fascisti italiani contro la comunità slovena e croata al confine orientale italiano. Nello specifico indaga l’odissea dei bambini sloveni deportati nei campi di Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943, attraverso le testimonianze di bambini internati nel campo, raccolte tra il 1944 e il 1945. Si articola in 26 grandi pannelli in italiano e in serbo.
La mostra è nata così: Metka Gombac, nel suo lavoro all’Archivio di stato sloveno, dirige il reparto dedicato alla resistenza. E’ uno degli archivi più ricchi di documentazione su questo fenomeno in Europa. Proprio collaborando con le colleghe di Venezia (scrivevano un articolo sulle donne e sui bambini nella seconda guerra mondiale) si è riusciti a rintracciare una cinquantina di disegni e scritti datati nel 1944 e scritti da bambini sopravvissuti ai campi di concentramento che, tornati a casa, dovevano frequentare i corsi delle scuole riaperte dai partigiani. Il ‘direttore’ didattico, informato dalle maestre “che i bambini rimpatriati rivivevano i drammi trascorsi essendo molto irrequieti e depressi e che bisognava fare qualcosa per rimuovere i patimenti patiti”, impartì alle maestre il consiglio di fare una specie di gara dove dovevano riscrivere e disegnare quello che avevano provato nei “campi”, affinchè “dessero fuori il loro patimento”. È chiaro che si pensava a sanare il PTS (Post traumatic sindrom) e oggi i colleghi psicologi direbbero proprio così, ma allora si pensò solo di alleviare loro il peso del ricordo.
Alla prima mostra organizzata a Ljubljana sono stati invitati all’inaugurazione quasi tutti i bambini sopravvissuti. Allora avevano l’età dai sette ai dieci anni e oggi ne contano settanta in più. Gli organizzatori sono riusciti a creare un ambiente incredibile. I bambini di allora rivedevano i propri compiti dopo decine di anni e rivivevano l’ambiente e la situazione di allora. I sopravvissuti hanno rivisto per la prima volta i propri compiti di scuola di 70 anni prima . Non potevano credere che la storia si fosse ricordata di loro, dei loro patimenti e della loro gioventù provata dall’esperienza del lager.
I testi ed i disegni sono conservati nell’Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e nel Museo di Storia Contemporanea di Lubiana e costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.

Le foto dell’inaugurazione della mostra

Comunicato dell’Anpi di Mirano e del Miranese

In difesa della libertà di pensiero e di espressione

Il Direttivo ANPI di Mirano e del miranese,

esprime vicinanza e solidarietà alla prof.ssa Alessandra Kersevan, ricercatrice storica, fatta oggetto di vergognose aggressioni a Giavera del Montello e a Verona in occasione di incontri promossi per il “Giorno del Ricordo”.

La sua importante opera di studio e ricostruzione delle vicende che hanno segnato il nostro fronte orientale, evidentemente, da fastidio a molti che preferiscono ricordare quelle tragiche e complesse pagine della Seconda Guerra Mondiale, accettando le linee disegnate da una storiografia di comodo o peggio di propaganda, derivata dagli anni della guerra fredda. Il Direttivo ANPI di Mirano e del miranese si onora di averla avuta sua ospite ripromettendosi di rinnovarle l’invito per un’ulteriore, importante, occasione di riflessione.

Si deplorano con forza questi gravissimi episodi di squadrismo fascista, che giungono dopo quelli che hanno visto protagonista il  giornalista Sandro Ruotolo, a Civita Castellana (Vt), e gli studenti del liceo “A.Manzoni” di Milano, che hanno impedito l’irruzione di gruppi di neofascisti nei locali della loro scuola.

E’ il vero volto del neofascismo, che dismesso l’abito buono della festa, ha ripreso quello sporco da lavoro ritornando alle origini quando si bruciavano le sedi dei partiti e dei sindacati, si distruggevano le tipografie dei quotidiani o si mettevano a tacere gli oppositori come Giacomo Matteotti.

Le varie manifestazioni di violenza e intolleranza accadute anche nel “Giorno della Memoria” si inseriscono in un quadro politico generale piuttosto confuso e rissoso, segnato da una campagna elettorale dominata dagli slogan e da improvvisate ricette per combattere la crisi economica, con i partiti impegnati a fronteggiarsi in una competizione dove il tema dell’antifascismo trova poco spazio, come del resto il richiamo ai valori fondanti la nostra Democrazia, nata dalla Lotta di Liberazione e sanciti dalla Costituzione.

Il Direttivo ANPI di Mirano e del miranese auspica che i partiti del fronte progressista mantengano alto il livello di guardia contro ogni forma di intolleranza e sopraffazione e che la difesa dello Stato Repubblicano e delle sue Istituzioni siano assunti come temi qualificanti e discriminanti in queste ultime fasi della campagna elettorale. Gli ideali della Resistenza siano espressione di un sentire comune rivolto al riscatto morale del paese e ad un impegno politico inteso come servizio e partecipazione, andando oltre le divisioni e gli interessi di parte.

Mobilitare le coscienze con la riflessione critica e la partecipazione attiva per un antifascismo militante per l’unità di tutte le forze democratiche

Comunicato dell’Anpi Provinciale di venezia

L’ANPI provinciale di Venezia ritiene che i fatti accaduti a Montebelluna e all’Università di Verona siano da condannare senza alcuna attenuante, e non solo come segno di ignoranza sociale, storica e democratica, ma soprattutto per i modi con i quali si è voluto vietare un democratico confronto.

L’ANPI vuole ricordare che il Giorno del Ricordo (fortemente voluto da un’ampia parte del parlamento Italiano) è un giorno rievocativo e celebrativo, con lo scopo di guardare ai fatti istriani e dalmati con un senso di rispetto, di partecipazione al dolore, di conoscenza dei fenomeni barbarici e terribili che hanno scosso, dopo quei fatti, le coscienze di molti italiani. Recita, infatti, la legge: La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.

Erano chiare le parole dell’allora Presidente Ciampi: «L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro»; concetti ribaditi poi da Napolitano che riaffermava la necessità di «consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa.»

Anche l’ANPI in tutto il territorio nazionale partecipa anche attivamente a queste celebrazioni, portando testimonianze, documenti e riflessioni. Tanti sono gli storici che si confrontano in quel giorno, come tante sono le ricerche che vengono portate a conoscenza dei partecipanti. Tutto questo con la finalità di rispondere ai contenuti espressi dalla legge 30 marzo 2004 n. 92 che ha istituito il Giorno del Ricordo.

Ma questa giornata dedicata alla conoscenza, all’approfondimento e alla riflessione sulle radici storiche che hanno portato a quelle tragiche conseguenze, per alcune frange nostalgiche e fasciste, è diventata il giorno del riscatto, delle rivendicazioni di un eroismo nazional-fascista, dell’antidemocrazia, di una falsa pretesa di giustizia politica e sociale, della denuncia di atteggiamenti razzisti nei confronti delle minoranze italiane subiti dopo la fine del conflitto mondiale. E spesso opponendo quel giorno di riflessione al Giorno della Memoria; e tutto ciò nella logica della netta contrapposizione tra buono e cattivo, tra vero e falso.

In quest’ottica, gruppi di Naziskin, di iscritti e simpatizzanti della Giovane Italia hanno voluto, a Villa Wassermann a Giavera e nelle aule dell’università di Verona, interrompere le lezioni della ricercatrice storica Alessandra Kersevan con atti intimidatori e violenti. Entrando e occupando spazi pubblici.

Ancora una volta le frange fasciste hanno sostituito il dialogo con la violenza, le idee alle minacce, la conoscenza all’aggressività manifestando una ferocia che ci riporta ad altri periodi, quelli del rogo dei libri, della distruzione delle case del popolo, del disprezzo della cultura.

Ma riteniamo che sia ancor più grave che figure istituzionali come i sindaci o i rettori chiudano gli occhi davanti a fatti così gravi, o ancor peggio prendendo attiva posizione nel vietare tali incontri, e che non rispondano al loro mandato democratico di imparzialità verso le persone e di rispetto di una legge dello Stato. Spesso erigendosi a giudici vietando che gli uomini, le donne, i giovani, gli studenti possano conoscere i fatti e le vicende che hanno indotto una larghissima maggioranza parlamentare, a promuovere un percorso di conoscenza di un periodo storico molto complesso, lasciando invece che violenza, brutalità e minacce e imposizioni veementi possano ancora una volta, dopo settant’anni dall’inizio della Resistenza, essere i soli strumenti per imporre una propria verità.

Il Presidente Provinciale Diego A. Collovini

Il Segretario Provinciale  Tullio Cacco