Una lettera di Vittoria Giunti

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Era il 1943 nel mese di settembre. L’8 settembre io ero a Milano, nell’attività di lavoro politico.
All’annuncio del proclama di Badoglio: “La guerra continua” fu chiara la necessità di organizzare la difesa contro l’inevitabile occupazione tedesca. Accompagnai il comando militare del C.N.L dal generale Ruggero per formare la Guardia nazionale. Ma rifiuterà ogni aiuto. Il giorno dopo lo vedemmo consegnarsi al comando tedesco.
Ricordo una Milano deserta, tra le macerie dei bombardamenti, la piazza del Duomo: con i soldati usciti dalle caserme, sbandati, un camioncino carico di armi e in piedi, sul piedistallo del monumento, il compagno Li Causi che teneva un comizio. Finchè, al termine delle sue parole, dei compagni fermarono un camion di passaggio e vi fecero salire i giovani lì presenti e ripartirono: era cominciata la Resistenza. Le prime organizzazioni partigiane furono quelle del “Pizzo d’Erna” sopra la montagna di Como. I tedeschi stavano ormai occupando tutta la città e avevano ucciso già un operaio nella repressione di uno dei tentativi spontanei di difesa armata vicino alle fabbriche.
Fu dopo quei giorni che ebbi l’incarico di andare a Padova per prendere contatto con il professore Concetto Marchesi, grande latinista antifascista, comunista, che era stato nominato rettore, dopo il 25 luglio, all’università di Padova dal generale Badoglio. E dopo l’otto settembre aveva lanciato agli studenti un appello molto coraggioso. Ne ricordo le prime parole. “Giovani, una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la patria. Ci ha lasciato fra un cumulo di rovine. Da queste rovine dovete, con l’impeto della fede e il coraggio dell’azione ricomporre la vostra giovinezza e la vostra Patria”. L’appello aveva avuto una grande eco, l’avevamo distribuito anche a Milano in centinaia di copie, ma i fascisti l’avevano accusato e dato il pericolo che correva chiesi di organizzare il suo passaggio sicuro alla clandestinità a Milano.
Riuscii a prendere un treno in una mattina fredda e piovosa. Pensavo, nonostante gli inevitabili ritardi, di arrivare in pieno giorno, invece il treno corse per un ora e poi si fermò in piena montagna. Si sentivano gli aerei volare bassi e da una stazione usciva la sirena dell’allarme aereo. Si aprirono gli sportelli e ci sparpagliammo per i campi. Il tempo passava, poi finalmente la locomotiva fischiò, i viaggiatori risalirono e il treno ripartì, per fermarsi di nuovo. Oramai si era fatta sera. Arrivammo a Padova di notte, le poche persone scese dal treno si dispersero e io rimasi sola fuori dalla stazione: c’era l’oscuramento ed era già il coprifuoco. Ed io ero lì con uno zaino pieno di documenti e di stampa politica, con tutti i miei appuntamenti saltati. E allora feci quello che avevo fatto altre volte. Quando da li a poco passò una ronda tedesca mi avvicinai a loro, prima che loro fermassero me, spiegai in qualche modo la mia situazione e furono loro a condurmi in una specie di pensione piena di altra gente dove passai la notte su di una poltrona.
Ero preoccupata perché, senza volerlo, avevo mancato il mio compito. Il collegamento che avrei dovuto avere era con una persona che avrebbe dovuto trovarsi in un negozio ed io avevo perso questo appuntamento e l’indomani era domenica e l’attività sarebbe stata chiusa. Avevo davanti a me un’intera giornata da consumare. M’invase una grande tristezza e un terribile senso di vuoto. Nella clandestinità i collegamenti sono la rete di sicurezza, le tappe obbligate di un cammino che si è scelto ma ha bisogno di solidarietà per essere seguito con coraggio. Senti che la tua forza è centuplicata dalla presenza degli alti: degli altri non devi conoscere il nome, devi dimenticare il volto che hanno, ma sai che ci sono, sono tanti, sono vicino a te, solidali, amici, fratelli, compagni. Ecco, quella mattina mi sembrava di aver perso tutto questo, di essere sola in un grande vuoto.
Non conoscevo Padova e uscii per le sue strade. Ricordo che mi fermai al bar Pedrocchi di letteraria memoria coi suoi tavolini di marmo e le sedie settecentesche. Poi ripresi a camminare finchè arrivai a un piccolo edificio coperto tutto da sacchi di sabbia, la difesa ben poco sicura che si faceva alle opere d’arte. Su di un sacco una tabella indicava “Cappella degli Scrovegni”. Sapevo di cosa si trattava e poiché era miracolosamente aperta, entrai. Fuori l’aria era piena di nebbia e il cielo grigio era rotto solo dal rombo degli aerei ma quando entrai mi accolse la luce dei cieli azzurri di lapislazzuli, dal fondo dei colori abbaglianti una folla di personaggi straordinari mi venne incontro e non fui più sola. Li volli conoscere uno per uno poi mi fermai a guardare “L’Ultima cena”. Il Cristo tiene gli occhi fissi sui discepoli e oltre: vede, condanna e perdona nello stesso tempo. E’ un uomo che è diventato Dio perché ha la sua conoscenza della sua sorte ma nemmeno come Dio la può evitare. In quel momento mi sembrò di capire il tempo che vivevo, la guerra che dovevo combattere e capovolgere, ma anche la guerra come tragedia che dovevo vivere. C’erano in vendita delle fotografie: comprai quelle del volto del Cristo e della Madonna. Le misi nel mio sacco da montagna, sopra il doppio fondo, ingenuo e ben poco sicuro, nascondiglio delle mie carte insieme ai pochi indumenti, ad un’edizione in piccolo della Divina Commedia e alla poesia di Montale “ Forse un mattino, andando in un aria di vetro, vedrò compirsi un miracolo….”.

Di quale miracolo? Forse non lo pensavamo nemmeno perché quello che vivevamo era solo il tempo dell’attesa. Un tempo sospeso dove agivamo per costruirci “un mondo migliore”. Le immagini del Cristo e della Madonna non erano per me immagini religiose, non ero e non sono credente, ma mi accompagnavano nei miei viaggi.

Concetto Marchesi riparò a Milano dove fece parte del Comitato di Liberazione Nazionale insieme a Giorgio Amendola come rappresentante del Pci, per trasferirsi poi in Svizzera dove creò un efficace collegamento fra le forze partigiane e gli alleati.

Io continuai a viaggiare e combattere. Da lì a poco il miracolo sarebbe avvenuto, costruito non da Dio ma dagli uomini e donne di questo strano ma splendido paese.

Vittoria Giunti

http://anpimirano.it/2014/le-eredita-di-vittoria-giunti-di-gaetano-gato-alessi/

Attacco alla casa editrice KappaVu

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Lettera aperta all’Assessore alla Cultura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Gianni Torrenti
P.c. Alla Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani
Agli organi di informazione

Gentile Assessore
Le scriviamo come storici che hanno pubblicato con la casa editrice KappaVu di Udine. Leggiamo che Lei avrebbe dichiarato alla stampa (Il Piccolo, 29.11.2014) che la KappaVu in quanto tale, e quindi tutti i suoi autori di testi storici, negherebbe la drammatica vicenda della resa dei conti (“nega radicalmente la portata storica della vicenda”) avvenuta alla fine della guerra (impropriamente definita vicenda delle foibe) e sosterrebbe idee non condivisibili.
Se tali affermazioni risultassero vere sarebbero da un lato assurde – com’è infatti possibile negare la portata storica di un vicenda che è argomento quasi quotidiano di dibattito e strumentalizzazioni politiche da ormai 70 anni – e dall’altro mistificanti e offensive. Questo perché, al di la della inaccettabile riduzione dell’attività editoriale in campo storico della KappaVu al solo tema della resa dei conti alla fine della guerra, quello che portiamo avanti nei testi che pubblichiamo non sono idee, condivisibili o meno, bensì ricerca storica. La quale si occupa di ricostruire le vicende storiche collocandole nel loro tempo e contesto sulla base del maggior numero possibile di fonti prodotte dal maggior numero possibile di soggetti coinvolti. Naturalmente riteniamo che le nostre ricerche possano e debbano essere discusse, ma non in base a preconcetti, stereotipi ed “idee”, bensì sulla base delle fonti. Siamo perciò disponibilissimi a un pubblico dibattito storiografico sulle vicende in questione e auspichiamo che il suo Assessorato voglia prendere l’iniziativa di promuoverlo.
Distinti saluti.
Trieste, 1 dicembre 2014

Alessandro (Sandi) Volk, Claudia Cernigoi, Paolo Consolaro, Piero Purini, Gorazd Baj, Giacomo Scotti, Adriano Hvalica Qualizza, Giuliano Zelco, Andrea Martocchia, Federico Tenca Montini, Boris M. Gombac, Joze Pirjevec, Monica Rebeschini, Vanni D’Alessio Wu Ming, Roberta Michieli

L’inaugurazione a Mirano del monumento ai caduti

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Durante delle ricerche d’archivio svolte da Catia Costanzo Boschieri, è stato recuperato questo articolo, comparso in un numero del bollettino del Comitato Nazionale Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. – A. 1, n. 1 (lug. 1949). Proponiamo la trascrizione dell’articolo, corredata da una foto dell’avvenimento, in cui si fa cenno alle ingiuste persecuzioni dell’apparato di polizia e della magistratura che in quegli anni subivano i partigiani superstiti. Da notare il numero delle persone intervenute (2000): erano davvero altri tempi.

In occasione della inaugurazione del Monumento ai caduti « Martiri di Mirano » si è svolta a Mirano il 23 ottobre una grande manifestazione. L’A.N.P.I. provinciale di Venezia aveva innanzitutto costituito un Comitato d’onore composto da numerose personalità partigiane del Veneto, rappresentanti tutte le correnti. Tra gli altri facevano parte di questo Comitato la signora Frida Mascherpa vedova dell’ammiraglio medaglia d’oro, la signora Martella Minto vedova Licori, il Reverendo Don Amedeo Cornetto cappellano della Brigata “Martiri di Mirano”, il dottor Camillo Matter, prefetto della liberazione, il sindaco di Venezia Gianquinto, il sindaco di Mirano Morgante, il sig. Confi in rappresentanza dette Brigate del Popolo, il prof. Morin in rappresentanza delle Formazioni G. L. ecc.
Il programma della manifestazione è stato quanto mai ricco. Nella mattinata la popolazione si è ammassata al Parco comunale e di qui circa duemila persone in corteo, con alla testa il sindaco e le autorità intervenute, le bandiere delle Associazioni, i familiari dei caduti e i partigiani della Brigata «Martiri di Mirano», hanno raggiunto il cimitero. Dopo lo scoprimento del Monumento ai Caduti il parroco mons. Muriago ha benedetto la lapide e ha rievocato i giorni delle terribili persecuzioni. Nel pomeriggio ha avuto luogo un comizio nel quale hanno preso la parola il rev. Don Beniamino Vitali, Mario Liziero, e il Commissario della Brigata «Martiri di Mirano», Cosmai: gli oratori hanno denunciato con dure parole la campagna in corso contro i partigiani.
E’ stato stampato e posto in vendita un opuscolo contenente le biografie di tutti i caduti ed è stato affisso un grande manifesto che mentre annunciava la manifestazione ammoniva che «la Resistenza non si piega con gli arresti e le illegalità». Non sono mancate neppure altre iniziative di carattere popolare: una pesca di beneficenza, un concerto della Banda musicale di Venezia, una competizione calcistica con in palio la coppa «Martiri di Mirano», uno spettacolo pirotecnico. Nella giornata precedente l’ANPI aveva organizzato uno spettacolo teatrale.

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Quelli che non condannano il nazismo

Neonazisti ucraini
Neonazisti ucraini

Una commissione delle Nazioni Unite ha esaminato recentemente un documento di condanna della glorificazione del nazismo. Il documento esprime “profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell’organizzazione “Waffen SS”, anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l’organizzazione di manifestazioni pubbliche”.

Il voto finale ha prodotto questo risultato: 115 voti a favore, 55 astenuti, 3 voti contrari. I tre voti contrari sono stati quelli di Ucraina, Stati Uniti e Canada. L’Italia – nella sua qualità di presidente di turno dell’Unione Europea – ha dichiarato la propria astensione, trascinandosi dietro tutti i paesi europei.

La dichiarazione di voto italiana merita di essere qui riportata in base al resoconto sintetico che ne ha fatto lo stesso ufficio stampa dell’ONU:

“Spiegando il voto, ad avvenuta votazione, il rappresentante dell’Italia, che parlava a nome dell’Unione Europea, ha detto che l’Unione è impegnata a combattere il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le correlate intolleranze, mediante sforzi generali a livelli nazionali, regionali e internazionali. I singoli stati sono stati liberi di decidere il contenuto del testo della risoluzione, tuttavia l’Unione ha avuto dubbi circa la sincerità del testo, visto che il sostenitore principale della risoluzione ha violato i diritti umani”.

Si noti che il rappresentante italiano ha evitato accuratamente di nominare il nazismo. E si capisce bene perché, avendo l’Unione Europea stretti rapporti con un governo – quello ucraino – che include forze apertamente inneggianti al nazismo. L’argomentazione usata è, del resto, non solo puerile, ma completamente ridicola perfino sul piano diplomatico. Se il voto di una qualsivoglia risoluzione fosse subordinato all’accertamento della buona fede del proponente, con ogni evidenza, non vi sarebbe nessun voto possibile in nessun consesso internazionale. In questo caso il proponente era, evidentemente, la Russia, non la potenza che tiene aperto il campo di prigionia di Guantánamo.

Impressionante lo schieramento dei tre voti contrari, con Stati Uniti e Canada principali e unici sponsor dell’Ucraina.
E particolarmente pregnante la dichiarazione di voto del rappresentante ucraino. Il quale ha dichiarato il voto contrario in questo modo:

“Lo stalinismo (sic) ha ucciso molte persone nei Gulag, e ha condannato Stalin e Hitler come criminali internazionali. Ha invitato la Federazione Russa a smetterla di glorificare e di incrementare lo stalinismo. Per queste ragioni ha detto di non poter appoggiare il documento. Ogni intolleranza va affrontata in modo equilibrato e appropriato. E’ errato manipolare la storia in favore della propria agenda politica. La Federazione Russa sta sostenendo gruppi neo-nazisti e nazionalisti in Crimea. Annuncia il voto contrario dicendo che la risoluzione contiene un messaggio errato.”

Chiunque può trarre le sue conclusioni da queste dichiarazioni che coprono di vergogna, almeno storicamente parlando, l’Occidente.
Ma, per provare vergogna, occorre conoscere i fatti. E i fatti resteranno sconosciuti ai più. Infatti questa notizia, insieme ai particolari che qui abbiamo fornito, è stata ignorata da tutti i quotidiani italiani e da tutte le televisioni italiane.

Giulietto Chiesa

Rifiuti nazi a Milano

26storie-concerto-lunikoff-tLa Skinhouse di Bollate ha preannunciato per sabato 29 novembre a Milano l’Hammerfest 2014, un raduno a livello europeo di band neonaziste. Sono attese almeno mille persone provenienti da tutta Europa. Già tre sono gli alberghi prenotati. Il posto del concerto è ancora tenuto rigorosamente segreto. Si scoprirà all’ultimo.
L’Hammerskin Nation, o Fratellanza Hammerskin, è un’organizzazione internazionale che dichiara di perseguire <<lo stile di vita White Power>> i cui obiettivi si possono riassumere nella frase di 14 parole coniata appositamente dal razzista americano David Lane (condannato negli Usa a 190 anni di carcere per assassinio e cospirazione): <<Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi>>.
L’Hammerskin Nation, che preconizza la <<supremazia bianca>>, è stata fondata verso la metà degli anni ’80 negli USA da membri fuoriusciti dal Ku Klux Klan. Nel simbolo due martelli incrociati che marciano a passo dell’oca per abbattere implacabilmente i muri dietro i quali si nascondono le minoranze. Negli Usa hanno vandalizzato sinagoghe e compiuto innumerevoli aggressioni contro persone di colore. Sono considerati alla stregua di un’organizzazione criminale. Il nazionalsocialismo, per loro, è stato il primo tentativo di costruzione di un Nuovo Ordine.
Quali siano i loro riferimenti ideologici e politici, d’altronde, è facilissimo capirlo esaminando alcune band che dovrebbero esibirsi all’Hammerfest. Prima di tutto i Lunikoff, dalla storia emblematica. In origine si chiamava Endlösung (<<Soluzione finale>>) ed era formata da elementi provenienti dal gruppo neonazista Ariogermanische Kampfgemeinschaft (Associazione di Combattimento ariogermanica). Poi hanno preso il nome di Landser, gruppo disciolto nel 2003 perché giudicato in Germania <<un’associazione criminale>>, in quanto incitava alla discriminazione razziale. Il leader, Michael “Lunikoff” Regener è stato per questi reati arrestato e condannato. Si è quindi formata la band Die Lunikoff Verschwörung (<<Il complotto Lunikoff>>) nel cui logo compare una L con una spada, ossia le insegne della divisione di cavalleria SS Lützow, formata direttamente da Himmler nel 1945, negli ultimi mesi di guerra. Il loro primo album si intitolava Das Reich kommt wieder (<<Il Reich verrà di nuovo>>). I nemici indicati nella loro musica sono i neri, i turchi, gli extracomunitari, gli ebrei, gli omosessuali.
I Vérszerzodé sono invece una band ungherese appartenente al circuito Rac (Rock against communism) e di Blood and Honour. Il nome, letteralmente <<Giuramento di sangue>>, allude al patto stipulato, secondo la mitologia nazionalsocialista, dalle prime sette tribù fondatrici dell’identità magiara. Questa band ha suonato in occasione della ricorrenza annuale della battaglia di Budapest in cui all’inizio del 1945 la Wehrmacht e i suoi alleati ungheresi avevano tentato di contrastare l’avanzata dell’Armata Rossa: uno dei meeting più importanti della scena neonazista europea. Titolo e ritornello di una loro canzone dice: <<Ein Volk, ein Reich, ein Führer>>.
In Svizzera è stato negato loro per ben due volte l’ingresso, come banda xenofoba, mentre in Slovacchia i componenti sono stati addirittura arrestati. Il cantante Geri, in un’intervista, ha dichiarato che il suo obiettivo è la <<difesa delle nazioni bianche d’Europa>> e di essere a favore di una religione chiamata Odinismo, dal nome del dio teutonico Wotan. Anche i Kommando skin, di Stoccarda, sono impegnati nella lotta contro l’immigrazione e la religione ebraico-cristiana.
Diversi in cartellone i gruppi musicali della scena nazi-rock italiana. In primis i Gesta Bellica, una band di Verona formatisi nell’ambito del Veneto fronte skinhead. In passato, tra i loro membri, ha suonato anche Andrea Miglioranzi, condannato nel 1995 e nel ’96 per due aggressioni oltre che per istigazione all’odio razziale. Aderente al Movimento sociale fiamma tricolore, era stato eletto nelle liste del leghista Flavio Tosi, che nel 2007 lo aveva provocatoriamente nominato rappresentante del Comune nel locale Istituto per la Storia della Resistenza, incarico da cui aveva dovuto dimettersi per le proteste della città. I temi e le parole delle canzoni dei Gesta Bellica sono particolarmente significative.
Una è dedicata a Il Capitano, ossia al comandante delle SS Erich Priebke, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, presentato come un perseguitato (<<Un uomo solo contro il mondo e tutto il mondo è contro di lui>>), fedele agli ideali che loro stessi condividono (<<Lui non risponde alle vostre menzogne, lui non si piega e non lo farà mai. / La fedeltà è più forte del fuoco e quel fuoco brucia dentro di noi>>), fino a lanciarsi nel ritornello ossessivamente ripetuto: <<Liberate il Capitano!>>. In un’altra canzone, Giovane patriota, si esaltano le divisioni delle Waffen-SS che nel 1945 a Berlino si arroccarono disperatamente a difesa del bunker di Hitler giurando di continuare la loro battaglia: <<Giovane patriota, ormai non sei più solo! / L’enorme orda rossa ormai sta dilagando, / ma non mi arrenderò, sarò fedele al giuramento!>>. I nemici sono la società multirazziale, gli immigrati, il mondialismo, i pedofili (<<Nessuna pietà per chi non ha pietà! / Pedofilo bastardo giustizia ci sarà! / Pena di morte, pena capitale! / Pedofilo maiale tu devi morire!>>. Si cantano i <<martiri delle foibe>> e si inneggia all’irredentismo italiano: <<In Italia tornerà la Dalmazia, Fiume ed Istria!>>.
Seguono i Malnatt, di Milano, che declamano: <<Soldati di una guerra che feriti non farà / giovani rasati, sguardi affilati /scolpiti nella fede e senza pietà! / Il mondo ci appartiene, noi non avremo pietà! / Il giorno sta arrivando per noi della croce celtica! >>. In un’altra canzone Resistenza bianca: <<Con il braccio teso ti saluterò! /Sono della Resistenza bianca!>>.
Ci fermiamo qui. Non crediamo ci sia bisogno di aggiungere altro. Hammerfest 2014, organizzato dalla Skinhouse, come il meeting dello stesso tenore promosso più di un anno fa, il 15 giugno 2013 a Rogoredo, sarà un’esibizione sfacciata di neonazismo, razzismo e xenofobia. Milano sta ormai diventando la capitale europea dei raduni neonazisti. Solo il 1° Novembre scorso si è tenuto un con¬certo di Black metal di ispirazione nazionalsocialista in una discoteca di via Corelli, l’ex Factory, con oltre 400 partecipanti giunti dall’Austria, dalla Germania e dalla Finlandia.
Qui grazie alla compiacenza del Prefetto e del Questore di Milano, la benevolenza di alcune istit-uzioni locali, la Regione, in primo luogo, l’apologia di fascismo, l’incitamento al razzismo e alla xenofobia, non consentiti in altri paesi, stanno diventando di casa. Il sindaco Giuliano Pisapia questa volta ha battuto un colpo. <<Abbiamo posto la questione a tutti i livelli, anche istituzionali>>, ha pubblicamente dichiarato, <<per impedire un ulteriore sfregio ai valori della Costituzione>>. Vedremo.

Saverio Ferrari, Marinella Mandelli, 25.11.2014, Il Manifesto

Oggi e sempre Resistenza

 

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“No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere, pensate che tutto è successo  perchè non ne avete voluto più sapere” (Giacomo Ulivi, studente, 19 anni, fucilato dai fascisti)

Dice così la targa del monumento in piazza Martiri, centro della cittadina di Mirano. La piazza, il cimitero, Villa Errera, la vecchia casa del Fascio… di luoghi che parlano di memoria ce ne sono, e non sono pochi. Per questo piccolo comune della provincia di Venezia la memoria di quegli anni rimane una questione importante. Oggi in particolare, 1 novembre 2014, ANPI e cittadinanza si sono riuniti per commemorare dopo 70 anni la fucilazione di uno dei partigiani del miranese, il primo di questa citta a essere ucciso.
Doveva essere una mattina simile a questa, quando le Brigate Nere portarono al cimitero Oreste Licori, anni 23, comandante della Brigata “Volga”: lo ricorda bene Renzo Tonolo, vice-presidente della sezione ANPI e testimone diretto di quei giorni.
“Lo ammirai quando l’ho visto passare avanti a me, a testa alta e con passo deciso, in mezzo agli scherani, per andare verso l’esito violento della propria breve esistenza, con grande dignità.
Lo ammirai quando seppi che non ha voluto subire passivo la programmata cerimonia fascista della sua fucilazione, ha scelto lui il posto dove dovevano ucciderlo: non avanti il muro ma qui, sulla strada. Fu questo il suo ultimo atto di rifiuto alla sottomissione. Lo ammirarono i suoi carnefici che espressero profondo rispetto per il coraggio con cui affrontò il plotone, urlando prima della fine la propria fede”.
Ancora viene ricordato infatti come mori quel ragazzo, con il pugno alzato e l’ultimo grido “Viva Stalin!”, riaffermando il sogno e l’ideale che l’avevano spinto a scegliere la lotta, a sacrificare infine anche la propria vita. Quelle furono le sue ultime parole, estremo schiaffo contro i suoi assassini, con il nome di Stalin visto come simbolo di libertà (oggi molti storcono il naso a tale affermazione, ma è da contestualizzare e capire secondo i tempi e la situazione).
Oreste è stato il primo, ma non certo l’ultimo. L’undici dicembre ogni anno il comune celebra la sua personale giornata della memoria, ricordando in particolare quei sei ragazzi che torturati e fucilati vennero esposti agli angoli della piazza durante la mattina di mercato.
Proprio a quel ragazzo di 23 anni è stato dedicato l’intervento di apertura all’incontro con Gaetano Alessi, la sera del 30 ottobre. In questa occasione è sembrato legittimo ricordare quei fatti, ricordare la Resistenza di allora per tracciare un invisibile filo che conduce al nostro presente. Gaetano si occupa da anni di giornalismo, antimafia e antifascismo. Di questo abbiamo parlato, lasciando che ci raccontasse una storia di resistenza a noi contemporanea, quella di un piccolo paesino della Sicilia caduto nelle mani della mafia. Ancora oggi esistono persone che rischiano ogni giorno la propria esistenza per un ideale, per un semplice desiderio di combattere quello che non va nella nostra società. Gaetano, come molti altri che si sono messi in prima linea nella lotta contro il sistema delle mafie, è stato piu volte minacciato. Ancora oggi il suo lavoro si dimostra difficile e incerto, ma non per questo smetterà mai di scrivere. Il suo ultimo libro parla della grande amicizia con Vittoria Giunti, donna che ha lasciato al nostro paese una piccola grande eredità con la sua vita trascorsa all’insegna della lotta in tutte le sue forme. La sua è un’altra storia di Resistenza, a partire dal suo ruolo di partigiana fino all’elezione come primo sindaco donna della Sicilia.
Tutte queste storie si legano tra di loro, forti di una costante comune, in tempi di pace come in quelli di guerra. Rimangono certo solo parole, solo storie e ricordi che un giorno potrebbero svanire. Ma agli studenti, ai giovani di oggi, serve ora più che mai il ricordo di queste figure. Serve sentirne le parole, serve capirle e ricordare che sono esistite, che certe cose sono accadute e ancora continuano ad accadere. Serve per combattere l’indifferenza che aleggia sopra la nostra generazione e che potrebbe diventare la peggiore rovina per la nostra società.

Alice Solari, coordinatrice della Rete degli Studenti Medi di Mirano (da “Il Mancino” )

Verso la terza guerra mondiale: Fermiamola!

assemblea_mestre_1Ieri, sabato 15 novembre, si è svolto a Mestre un incontro – dibattito dal titolo “Verso la terza guerra mondiale: fermiamola”, organizzato dal Partito dei Comunisti Italiani, Pandora TV, Rete dei Comunisti, Comitato veneto di solidarietà con il DONBASS Antinazista, Associazione MARX XXI e a cui hanno partecipato GIULIETTO CHIESA (giornalista, “Pandora TV”), MANLIO DINUCCI (giornalista de “il Manifesto”), FRANCESCO MARINGIÒ (vice responsabile esteri PdCI), SERGEY DIACHUK (giornalista di Odessa, Ucraina), SERGIO CARARO (Rete dei Comunisti, direttore di Contropiano) e ANTONIO MAZZEO (portavoce NO MUOS). L’intervento di Giulietto Chiesa è stato interrotto più volte dalle numerose donne ucraine presenti ed è dovuta intervenire la polizia per calmare la situazione. Questi sono tre degli interventi della conferenza:

Antonio Mazzeo Mestre 15 novembre 2014 by Roberto Solari on Mixcloud

Manlio Dinucci Mestre 15 novembre 2014 by Roberto Solari on Mixcloud

Giulietto Chiesa Mestre 15 novembre 2014 by Roberto Solari on Mixcloud

Le bufale (e le manipolazioni) di Wikipedia

BoKEHNeIEAEg-x-.jpg largeWikipedia non è mai stata una fonte attendibile: lo dimostra questo articolo che svela manipolazioni fatte ad arte, invenzioni, falsificazioni, strategie per sviare l’attenzione da queste falsificazioni. E guarda caso i più attivi in queste operazioni sono utenti chiaramente di destra e neofascisti, che intervengono sulle voci “sensibili” alla loro ideologia: Porzus, foibe, partigiani, storici e studiosi come Claudia Cernigoi (la cui voce su Wikipedia è stata “bannata” proprio per l’intervento di questi individui). Riportiamo qui la parte dell’articolo che parla di Franco Basaglia, antifascista e incarcerato per la sua attività contro il regime il 4 dicembre del 1944 e fatto passare su Wikipedia per repubblichino. Questo l’articolo di Nicoletta Bourbaki, quello completo lo potete leggere su     http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=19327 .

Come l’antifascista Franco Basaglia divenne repubblichino su it.wikipedia

È capitato anche che Presbite, dall’alto del suo ruolo di “esperto”, si sia prestato a “coprire” operazioni sporche di altri utenti. Per capire in che modo il futuro psichiatra Franco Basaglia (1924 – 1980), incarcerato per antifascismo già all’età di 19 anni, su it.wikipedia sia diventato… repubblichino grazie all’utente Theirrules e con l’imprimatur di Presbite, ecco la storia dell’inserimento in it.wiki della “notizia”.
«Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924, da una famiglia agiata. Secondogenito di tre figli, trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene nel caratteristico quartiere veneziano di San Polo. Conclusi gli studi classici, nel 1943 si iscrive alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Padova. Qui entra in contatto con un gruppo di studenti antifascisti e, a seguito del tradimento di un compagno, viene arrestato e detenuto per sei mesi, fino alla fine della guerra. Esperienza che lo segna profondamente e che rievocherà anni dopo parlando del suo ingresso in un’altra istituzione chiusa: il manicomio.» (Mario Colucci – Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori Editore, Milano 2001, pag.1)
6 agosto 2011: nella talk di Presbite Sandro_bt chiede se si può “chiudere” sulla voce “Eccidio di Vercelli”, alla quale una nutrita compagnia – coordinata da chi? Da Presbite, naturalmente – sta lavorando da molto tempo.
Theirrules chiede qualche giorno di tempo dicendo di avere una notiziola interessante da inserire.
11 agosto 2011: Theirrules annuncia nella talk della voce di aver trovato una fonte che indica Basaglia come repubblichino della colonna Morsero. La fonte è un libro di Bruno Vespa,Vincitori e vinti (2005).
4 novembre 2011: l’utente Jose Antonio inserisce nella voce “Franco Basaglia” la “notizia” su Basaglia repubblichino, indicando come fonti Bruno Vespa e il defunto “foibologo” di estrema destra Marco Pirina. L’inserimento viene subito perfezionato da Theirrules.
Bruno Vespa. In un suo libro del 2005 la notizia falsa su Basaglia repubblichino, poi ripresa dai wikinazionalisti. Ecco la citazione: «Al termine della guerra, i militi dei reparti Pontida e Montebello si arresero e vennero trasferiti al campo sportivo di Novara (tra essi, il giovane Franco Basaglia, che sarebbe divenuto negli anni Settanta il capostipite della psichiatria progressista.» La fonte di Vespa (o chi per lui) sembra proprio essere il “foibologo” Marco Pirina, oggi scomparso. Conoscendo il lavoro di Pirina, quest’ennesimo esempio di storiografia “creativa” è ben lontano dal sorprenderci.
5 novembre 2011: l’amministratore Piero Montesacro smonta la bufala portando in talk come fonte autorevole una monografia su Basaglia di Colucci e Di Vittorio. Provvede anche a rimuovere dalla voce “Franco Basaglia” la falsa notizia su Basaglia repubblichino.
1 maggio 2012: Theirrules inserisce la falsa notizia su Basaglia repubblichino nella voce sull’eccidio di Vercelli, asserendo falsamente che tale notizia è già presente nella voce su Basaglia.
21 luglio 2012: Presbite propone di avviare la procedura per il riconoscimento della voce sull’eccidio di Vercelli come voce di qualità.
20 agosto 2012: la voce sull’eccidio di Vercelli viene riconosciuta voce di qualità col voto favorevole del proponente Presbite, di Jose Antonio, di Arturolorioli e del “referee” Adert.
E così diventa “di qualità” anche la bufala sul passato repubblichino di Basaglia. Un’autentica calunnia che verrà rimossa solo nel 2014 dopo una segnalazione avvenuta su Giap.
@Wu_Ming_Foundt @footymac matricola carcere S.M. Maggiore Venezia del noto “fascista” Basaglia arrestato 4/12/1944 pic.twitter.com/5McHEa0SQn ( Iveser Venezia (@IveserVenezia) May 21, 2014).

Franco Giustolisi, la penna che spalancò «L’Armadio della vergogna»

varie-letizia-2443La scomparsa di Franco Giustolisi, storico collaboratore del manifesto, priva di una personalità forte e dal carattere senz’altro deciso non solo i molti suoi lettori ma anche i tanti tra storici, studiosi e magistrati che, nel loro campo distinto, si sono avvalsi della sua voce critica.
Dopo aver attraversato un trentennio da «inviato speciale» su politica, carceri e lotta armata nell’Italia degli anni ’60-’70, dalla metà degli anni Novanta, in piena transizione post-’89, Giustolisi si incaricò di fare i conti con le radici storiche e le aporie memoriali italiane che proprio dalla Guerra Fredda erano derivate. La sua inchiesta più nota ha finito per comporre una semantica che ha resti­tuito un’immagine diretta e irriducibilmente conflittuale alla storia delle stragi nazifasciste.
È infatti grazie all’immagine figurativa de L’Armadio della Vergogna, titolo del suo celebre volume che racconta l’occultamento della documentazione sulle stragi nazifasciste in Italia, che l’opinione pubblica nazionale, ha iniziato ad elaborare una vicenda che richiamava tutte insieme le ragioni della Guerra Fredda e quelle di Stato; l’impunità dei colpevoli e le ragioni mortificate delle vittime fino alle contronarrazioni antipartigiane usate per «dare un senso» e «spiegare» l’indicibile. Se oggi chiunque si avvicini alla materia può utilizzare quello strumento come sintesi di una dialettica com­plessa lo deve proprio alla sua capacità di rendere intellegibile una questione tanto complessa quanto fondamentale.
Lo Stato italiano mentì, occultando le carte e la documentazione delle stragi di civili, la classe diri­gente del paese concertò un silenzio politico «costiutente», prodromico ad ogni rifondazione di istit­uzioni travolte dalla frattura della guerra civile, l’opinione pubblica dell’epoca, infine, preferì dimen­ticare quelle tragedie e con esse le sue responsabilità rispetto al consenso al fascismo.
L’impronta ed il nome dati a quel lavoro di denuncia acquisirono all’epoca, era il 1994, e mante­ngono oggi una loro unicità di significato come accade solo a quel giornalismo d’inchiesta capace di sottrarsi al circuito della «disinformazione quantitativa» che oggi sembra rendere fatti ed eventi di qualsivoglia natura del tutto indistinguibili sul piano della rilevanza pubblica e valoriale.
Il metodo usato ed il senso attribuito agli eventi che Franco Giustolisi, cittadino onorario di Sant’Anna di Stazzema, ha raccontato nel corso della sua battaglia per la verità e la giustizia sulle stragi hanno permesso al suo lavoro di collocarsi in una misura disciplinare trasversale tra storia, diritto e politica, ricollocando l’inchiesta nella sua dimensione pubblica di rapporto tra diritto e dovere all’informazione nella società contemporanea di «rete». L’armadio della vergogna non ha «solo» ridato voce a chi venne travolto dalle logiche militari della guerra ai civili ma rappresenta quel profilo d’indipendenza dell’informazione che, necessario in natura, in epoca di «consensocrazia» diventa indispensabile.

Davide Conti (Il Manifesto del 11/11/14)

Presidio antifascista a Monselice

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Alle 10 di ieri a Monselice c’è stato un presidio antifascista organizzato dall’Anpi di Padova, contro la vergognosa proposta lanciata da un Assessore della Giunta del Comune di intitolare a Benito Mussolini una piazza della frazione di San Bortolo. Uno sfregio – anche alla memoria di tanti monselicensi – verso chi, durante il fascismo, lottò per la libertà del nostro Paese. Questo il discorso pronunciato da Stelvio Ziron, segretari dell’Anpi di Monselice, più volte minacciato dai fascisti della città:

Nel momento in cui tutta la cittadinanza si adopera per celebrare degnamente il centenario della prima guerra mondiale, quando si condannano i soprusi dei generali, quando Monselice non ha ancora sanato le ferite dell’ultimo conflitto sentiamo la proposta dell’assessore Andrea Tasinato di intitolare la piazza della Frazione di San Bortolo a Mussolini, (quanti illustri monselicensi possono essere ricordati? In primis la medaglia d’oro al V.M. Bussolin Bruno tanto per citarne uno) la notizia apparsa sui giornali provinciali e regionali ha provocato grande indignazione fra la popolazione.
Le Associazioni d’arma Combattenti e Reduci, Ex Deportati e Partigiani d’Italia particolarmente colpite da questa affermazione, vogliono ricordale che non tutti gli italiani hanno la memoria corta. Qui vicino al gazebo c’è una croce scolpita, di notte, su una pietra dai “montaricani” per ricordare Usaggi Pietro ucciso il 21.9.1921 con un pugno da un fascista perché l’Usaggi non aveva salutato il gagliardetto. Iniziava il terrore dittatoriale.
L’eccidio di Giacomo Matteotti.
L’obbligo di iscrizione al partito fascista per tutti i lavoratori o la fame.
Il confino o il carcere duro per gli oppositori.
Gramsci, Pertini, Saragat ( i nomi più noti) furono ospitati (ironicamente) in villeggiatura a Ventotene e poi sommariamente processati da giudici prezzolati.
La costituzione nell’Italia Meridionale di 43 campi di detenzione per gli oppositori al regime.
Il patto Roma – Berlino è stato di fatto l’asservimento ai tedeschi di Hitler. Successivamente il patto Roma-Berlino-Tokio.
L’uso di armi chimiche nella guerra contro l’Etiopia.
Le leggi razziali del 1938 che hanno escluso tutti gli ebrei dall’esercizio della professione statale o privata o dall’insegnamento.
Nel 1944 la cattura di tutti gli ebrei di ogni età ed inviati nei campi di sterminio.
Egli ha sempre dichiarato di avere otto milioni di baionette da mandare contro i carri armati. Aveva bisogno di 2000 morti dopo l’aggressione alla Francia nel 1941 per sedere al tavolo delle trattative.
Arriva il 25 luglio 1943 (si sveglia Casa Savoia) egli è arrestato. Con un colpo di mano tedesco viene liberato dalla prigione sul Gran Sasso divenendo succube di Hitler. L’8 settembre 1943 la nota dichiarazione di armistizio.
Le truppe italiane sono abbandonate, in tutti i presidi in tutte le caserme, anche all’estero, a se stesse preda dei tedeschi e inoltrati nei campi di lavoro in Germania.
Con la repubblica di Salò diviene il capo fantoccio della Germania nazista.
I Monselicensi ricordano le tante vittime civili – militari e i partigiani deceduti a centinaia, i reduci dai campi di annientamento a causa della ferocia nazi-fascista.
Testimonianze dei tanti internati deceduti e sopravissuti sono custodite nei tanti testi presso la Biblioteca Comunale di Monselice
Un dubbio ci rode: forse l’assessore è il mandante di quelle scritte infamanti apparse sui muri di Monselice?
In periodo di democrazia tutto è ammesso meno la diffamazione, perseguita dalla legge e la condanna a qualsiasi riferimento al disciolto partito fascista.
Non merita democrazia chi l’ha negata.

Qui tutte le foto del presidio: http://imgur.com/a/DhTeN